venerdì 26 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Donato Salzarulo
La neve nel cuore













Le vedo in trasparenza,
soltanto nel cono di luce
del lampione.

I

Michela, la prima figlia, ogni tanto
mi consiglia di chiudere,
di serrarsi nel giardino delle nostre
delizie, dei nostri batticuori,
dei nostri sguardi d’amore.
Cosa puoi fare, del resto, papà?
Cosa possiamo fare per toglierci
di dosso questo male?

Michela non ha speranza.
Forse, come Giuseppe, non crede
a nessuna redenzione terrestre.
All’osso il male è il peccato originale.
Ma se regaliamo tutto all’Assoluto,
neanche il respiro mattutino
riusciamo più a salvare.

Ogni giorno il giorno ricomincia.
Lo facciamo anche noi insieme a lui.
Ricominciare, quindi, ripartire,
riattraversare confini. Non vi sono
disegni divini ad impedircelo.

Nevica. Il cielo è ancora buio
e nevica.

mercoledì 24 novembre 2010

DISCUSSIONE
Tomaso Kemeny
e Giorgio Linguaglossa
a proposito della bellezza











Tomaso Kemeny, 9 ragioni per ribellarsi all’Impero del Brutto

  1. L’Impero del Brutto ha conseguito lo scollamento tra il mondo degli ideali-valori e il mondo effettuale, determinando la cassazione dei desideri umani più elevati, anche nella dimensione della pubblica simbolizzazione.
  2. La mancata simbolizzazione degli ideali nel tempo presente rovescia la tensione verso l’infinita bellezza-sublime nell’infinitamente piccolo e miserabile.
  3. Così il lavoro artistico finisce per focalizzare trovatine non essendo, l’artista come tale, più in grado di elaborare le tecniche necessarie per dare una forma ispirata alla materia.

martedì 23 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Emilia Banfi
Da drè di mùr [Dietro i muri]

                                  











Mùr de palasi                                   
vus quatà dai veder                             
serà    denter                                     
Vèn lung de tùbi                                 
indue l'aqua la cur                                  
serada    denter                                   
In del silensi el va sù                            
l'ascensur,  el'sò specc             
e la sciura del quart                    
cunt ul can                                          
serà     denter                                 
Scal lùster                                       
cumpagn d'una giustra ferma
semper frecc, bianc
serà    denter
Suta la ciapa l'su
na pianta grasa
geuba, piegada al veder
serada      denter
Ma un quèi vùn
fa sbat na porta
la cur la Luciana
cui gins strapà
i cavèi rus
la bici bianca i scar vieula
suta ghè l'Marco che
la porta     feura.

DIETRO I MURI.
Mura di condominio
sorde voci dai vetri
chiuse   dentro
Lunghe vene di tubi
dove l'acqua scorre
chiusa    dentro
Nel silenzio sale
l'ascensore, il suo specchio
e la signora del quarto
col cane
chiusi    dentro
Lucide scale
come una giostra ferma
sempre fredde, bianche
chiuse     dentro
Sotto prende il sole
una pianta grassa
gobba, piegata al vetro
chiusa      dentro
Ma qualcuno
fa sbattere una porta
corre la Luciana
coi jeans strappati
capelli rossi
la bici bianca e la scarpe viola
sotto c'è Marco che
la porta       fuori.
                                                                                                     

domenica 21 novembre 2010

SEGNALAZIONE BIS
Presentazione di POLISCRITTURE N.7 ottobre 2010

OGGI LUNEDI’ 22 NOVEMBRE ORE 18

alla Libreria Popolare di via Tadino

presentazione  del n.7 ottobre 2010

di

POLISCRITTURE


Intervengono Ennio Abate, Paolo Giovannetti, Marina Massenz
e alcuni redattori della rivista

sabato 20 novembre 2010

SEGNALAZIONE
Anna Paschetto
Seconda lettera a un pastore delle valli (romanzo)

(Su segnalazione di Leonardo Terzo, Dal sitoLe Aziende In-Visibili di Marco Minghetti & Living Mutants Society)


Anna Paschetto è l’autrice di Seconda lettera a un pastore delle valli (Claudiana, 2003) un originale romanzo che mischia generi e tecniche letterarie, sullo sfondo del confronto culturale fra “italiani” e “valdesi” e fra mentalità di generazioni diverse, formatesi dalla lotta al fascismo al ’68. Anticipiamo qui l’inizio del suo prossimo libro intitolato: Lasciare la casa in ordine.

SCENA DI ZONA AMBIENTE
Una grande stanza vuota fiocamente illuminata. Sulla parete di fondo si aprono due grandi finestre: due rettangoli di luce da cui non si vede nulla. Il pavimento è coperto di pacchi di giornali e cartellette piene di carte. In posizione quasi centrale un tavolo a cui è seduta una donna che scrive ad un computer. Accanto a lei altre due donne che a volte si avvicinano al tavolo a volte girano per la stanza. Sono tutte e tre vestite allo stesso modo: con uno scamiciato lungo grigio – come quello delle piccole donne del film, ma più essenziale e dimesso – sotto maglia nera girocollo e maniche lunghe.

NARRAZIONE: CITTÀ (Eugenia scrive e legge)
Nella città ci sono bellissimi terrazzi in alto sulle case: mondi verdi, piccoli paradisi privati. Con alberi di albicocche e gardenie e clematis e palme e siepi di ligustro. Fontanelle e pergolati e salotti in veranda. Guardando verso l'alto si vedono spuntare le cime di grandi alberi. E si possono ammirare in fotografia sulle riviste di giardinaggio. Doch uns ist gegeben... Le strade sono sporche. Sui marciapiedi si trova di tutto: cacche di cani e sugli angoli tracce verdastre di urina umana, sputi, a volte vomito, profilattici usati; e cartacce, e lattine, e mozziconi; erbacce crescono alte lungo i muri; dai sacchi neri dell'immondizia colano liquidi dei rifiuti in decomposizione; i muri delle case sono imbrattati di scritte tracciate di notte con le bombolette spray; dalle finestre solerti massaie scuotono i loro stracci impolverati sulle teste dei passanti.

venerdì 19 novembre 2010

SEGNALAZIONE
Luca Chiarei
Derive



Luca Chiarei del Laboratorio MOLTINPOESIA ha pubblicato questa raccolta di poesie.
Qui sotto una lettera inviatagli da Jack Hirschman

Caro Luca,
ho scritto queste parole dopo aver letto il tuo libro. Il tuo metodo di composizione è quello di un sibilo concentrato, un intero universo di significati che svela al lettore il suo senso più profondo. La tua missione è quella di portare alla luce l'anima attraverso una serie di implosioni liriche, epifanie laiche che creano brillanti radure illuminando l'interazione tra il suono e il silenzio. Da parole quasi sussurate emerge l'eterna dialettica tra le dimensioni visibile e invisibile della vita e della poesia.

Jack Hirschman




 *
Io ti sento ferita         aperta
taglio che non fa male
risalita

tu racconti di cicatrici
nella neve      di anestesie
ad invertire gravità      

carne aperta d’ambo i lati
consumiamo sui fuochi
ogni ora cercando
perimetri nel cielo

giovedì 18 novembre 2010

CONTRIBUTI
Leonardo Terzo
Un garbuglio etico-estetico irrisolto
di Theodor W. Adorno:
“È serena l’arte?”

In piccolo (su questo blog) abbiamo cominciato a discutere di poesia e sofferenza. L’amico Leonardo Terzo ci ha suggerito di guardare più in alto e nel passato proponendoci la lettura di un brano di Theodor Adorno, intitolato "È serena l’arte?" (in "Note per la letteradtura 1961-1968", pp.273-280, Einaudi, Torino, 1976). Adorno, si sa, oggi è fuori moda, forse sconosciuto a giovani e anziani e poi richiede denti filosofici forti. Ma perché i moltinpoesia non dovrebbero nemmeno tentare di masticare la sua splendida prosa-pensiero? Lo ha cominciato a fare lo stesso Leonardo Terzo con queste sue osservazioni. E’ un invito a seguirlo. Mi scuso per il momento di non poter inserire il testo di Adorno, ma lo farò appena possibile. [E.A.]

Nel saggio “È serena l’arte?” (Note per la letteratura 1961-1968, Einaudi, Torino, 1976), l’arte, giudicata da Schiller (Wallenstein) e Ovidio (Tristia) come serena, in contrapposizione alla vita che invece sarebbe seria, è accostata da Adorno al tempo libero, mentre la vita è accostata al tempo del lavoro. Dunque fatica contro divertimento, serietà contro distrazione. Sono soprattutto sfere divise. Ma anche disimpegno che contraddice il reale, o ristoro per rinnovare le energie lavorative. Secondo Adorno, Hegel sarebbe stato il primo a dire che l’arte non è un giocattolo utile o piacevole.
A mio parere, la differenza di base che permette di caricare la contrapposizione con valori di diversa natura, è quella tra realtà e finzione, (i romantici preferivano “immaginazione”), molto temuta per esempio da Platone e dai Padri della Chiesa. L’idealismo tedesco sarebbe infatti il primo a redimere invece l’immaginazione come speculazione inventiva, da re-impiegare nel mondo. In Inghilterra è la differenza ideologica fra novel realistico e romance fantastico: entrambi aspirano a intervenire nel mondo, l’uno sottolineando la base di realtà su cui impegnarsi, l’altro immaginando prospettive oltre la realtà.
Secondo Adorno, forse l’arte sopravvive nello svolgere un compito di contraddizione del reale, proprio perché è piacevole. È la mia teoria del piacere come una pallottola, senza il quale l’opera d’arte sarebbe una pistola caricata a salve. L’immaginazione, come speculazione filosofica, prima appare diversa dal piacere, inteso come superficialmente edonistico, ma poi il piacere si mischia alla scoperta creativa, e l’estetica diventa una filosofia che esplora una facoltà umana fatta di sensibilità, dimensione formale e “immaginale” del pensiero stesso. (Vedi il libro di Silvana Borutti, La filosofia dei sensi, Cortina, Milano, 2006.)

mercoledì 17 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Donato Salzarulo
La casa del respiro















«Ammetto di avere quasi una passione
per i ritocchi.»

 
I
Ho eseguito il concerto di una sinfonia
che non conoscevo.
Ho lavorato su uno spartito antico,
privo di pentagrammi,
con note ricavate dal respiro.
Tutto forse sarà chiaro alla fine.

martedì 16 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Eugenio Grandinetti
Meritocrazia


          















La società,si dice: ma sarebbe
una società se tutti fossimo
accomunati in una stessa impresa
per dividere in parti uguali perdite
e guadagni. Ma invece c’è chi dice
di meritare di più o perché nasce
più ricco,più aggressivo,o intelligente,
e c’è chi invece
nasce nella miseria e nell’abbrutimento,
e allora pare giusto che si premi
chi è nato avvantaggiato,perché gli altri
sono disonorevoli e non meritano
d’esser considerati uguali a quelli
che son ben vestiti ed educati,
che non sputan per terra e non bestemmiano
e sanno rimanere al loro posto
che qualcun per loro ha meritato.
Che poi sia il posto che fa il merito
è cosa naturale ed onorevole:nessuno
che sia rispettabile trascura
i propri familiari,né varrebbe
impiegare furbizia o prepotenza
se non valesse a darci alcun vantaggio;
e d’altra parte il nostro mondo è fatto
per quelli che s’arrangiano. C’è posto
in alto solo a chi s’arrampichi
sulle spalle degli altri:ma per gli altri
c’è solo posto in basso,per servire
o per fare d’appoggio a chi dall’alto
guarda con sufficienza gli altri e giudica
a suo arbitrio a chi  voglia concedere
gli avanzi dei suoi pasti
e a chi,calcando i piedi,far sentire
più grave il peso della sua potenza.

lunedì 15 novembre 2010

SEGNALAZIONE
Presentazione di POLISCRITTURE N.7 ottobre 2010

LUNEDI’ 22 NOVEMBRE ORE 18

alla Libreria Popolare di via Tadino

presentazione  del n.7 ottobre 2010

di

POLISCRITTURE


Intervengono Ennio Abate, Paolo Giovannetti, Marina Massenz
e alcuni redattori della rivista

Pensare in molti criticamente

Sul tema "Pubblico/privato" si confrontano Ennio Abate, Francesco Briscuso, Giovanni Calarco, Fabio Ciriachi, Marcella Corsi, Francesco Dalessandro, Salvatore Dell'Aquila, Sonja Felici, Luca Ferrieri, Cristina Finazzi, Mauro Fiorini, Fabio Franzin, Mario Fresa, Marco Gaetani, Idolo Hoxvogli, Gianfranco La Grassa, Attilio Mangano, Giorgio Mannacio, Maurizio Meschia, Ezio Partesana, Stefania Portaccio, Roberto Renna, Merys Rizzo, Alessandra Roman, Donato Salzarulo, Lisabetta Serra, Antonio Tagliaferri, Leonardo Terzo, Giulio Toffoli, Lucio Mayoor Tosi, Pier Paride Vidari, Carlo Viganò, Patrizia Villani

Poliscritture
r i v i s ta di r i c e r ca
e c u l t u r a c r i t i c a

Come dice il titolo, è una rivista
di scritture plurali. Vi trovano ugualmente
spazio riflessioni in forma di saggio breve,
poesia, prosa narrativa, critica o dialogo.
Ma la 'S' in rosso evoca in sottofondo
la polis, la città, la fonte antica della politica
e della democrazia. Si vuole così segnalare
ai lettori l'intenzione di ristabilire in nuovi
modi quella tensione costruttiva tra scritture
e politica che oggi sembra perduta

Sul sito www.poliscritture.it  trovate il PDF dei numeri precedenti

domenica 14 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Emilia Banfi
Ottima scelta









Mancava questa,
vi assicuro mancava
alla televisione c'era 
la fiera della bara
qualcuno con fare contento
si è sdraiato a provare
con  chiusi gli occhi a sognare
in che posa doveva restare
qualcuno nell'angolo
di velluto azzurino
posava il telefonino
-mettete una presa suvvia!
 dove carico la batteria?-.
Sul materasso
di morbida piuma
sistemava le membra un po' stanche
il sedere affondava,
sul cuscino la testa girava
- Su questo soffice letto
  bene si sta, 
  nessun mal di schiena
  per l'ETERNITA'!-

sabato 13 novembre 2010

CONTRIBUTI
Ennio Abate, Commento a
Fortini CHE COS'E' LA POESIA?
Terza e ultima puntata







In quest’ultima puntata sull’intervista a Fortini Cos’è la poesia? partirò da una riflessione sui post dedicati alla figura di Alda Merini e a sofferenza e poesia (Cfr. COMMENTI L'ape furibonda omaggiata e punzecchiataDISCUSSIONE Rilanciando sul caso Merini: No alla sofferenza produttiva No al populismo televisivo DISCUSSIONE Sofferenza è/e poesia?).
Che sproporzione d’attenzione! Tanto sono state vivaci, numerose e quasi incontenibili le prese di posizione sulla Merini e su sofferenza e poesia, tanto invece scarse e striminzite quelle sull’intervista a Fortini. Sintomatico, direi degli orientamenti dominanti oggi non solo nella Poesia Ufficiale ma anche tra i moltinpoesia. La poesia o è lirica o sembra non essere poesia, proprio come  diceva Fortini nell’intervista.
Sintomatico pure del fatto che molti (troppi) nella poesia cercano  qualcosa e altri (pochi in realtà) cercano altro. Detto più direttamente e quasi brutalmente:  troppi inseguono nella poesia l’io, che sarebbe il luogo dell’intuizione, dell’ispirazione e quindi dell’accesso privilegiato, immediato e quasi esclusivo alla vita, ai sentimenti “eterni”, al mistero e persino a Dio; pochi puntano a usare la poesia come strumento di conoscenza (diverso però da quello più razionale delle scienze) da parte di un io/noi (non monade, ma in relazione o in tensione con altri/e) e che quindi richiede un distanziamento dalla vita, dalle emozioni, dal mistero per costruire oggetti estetici, diversi da quelli pratici ma capaci pur essi di aiutare a pensare se stessi, gli altri, la società, la storia, il mondo con maggiore libertà, fuori per quanto possibile da ogni schema ideologico imposto (religioso, politico, filosofico). È stato per far conoscere e discutere questa seconda concezione della poesia che avevo proposto l’intervista a Fortini, che mi era  parsa importante (tanto che ci ho scritto sopra ben tre post) e credevo potesse meritare ben più riguardi.
Come mai allora il dibattito nel Laboratorio ha preso una certa piega “sentimentaloide” e giustamente Leonardo Terzo si è lamentato che sia caduto «sempre più giù»?

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Paolo Pezzaglia
Prese una bolla di vetro












Prese una bolla di vetro
e si predispose ad introdurre
nel buco quello che sapeva fare
non una nave ma una semplice poesia
si trattava di fare un esperimento
ci voleva un supporto
e pensò che la cosa migliore era
ancora una pagina di carta bianca
che fosse riciclata o meno non gli interessava
il mondo era fottuto quindi anche gli alberi
come gli uomini non gli interessava più di tanto
l’importante era mettere insieme delle parole
che stessero l’una al gioco dell’altra
in armonico contrasto
prese quindi il pezzo di carta che
gli era rimasto sul tavolo
il resto era finito nel cestino della carta straccia
(riserva  finita) prese una pinza sottile e lunga e
arrotolato il foglietto lo introdusse delicatamente
nel buco della bolla di vetro
era l’inizio era il foglio bianco di partenza
avrebbe potuto fermarsi lì e proporre una
poesia senza parole ma lui era stufo del
vano cazzeggiarsperimentale e disse fare
tutta questa fatica per prendere in giro gli altri
sono stanco in realtà era ormai sempre
stanco anche all’inizio di una nuova impresa tanto
valeva smettere subito oppure continuare e
così continuò con pazienza prese una parola che
diciamo era così “parola” poi ci vorrebbe un
aggettivo pensò perchè pensava all’antica
anche se forse  ecco “forse” sarebbe l’altra parola
stette zitto a lungo poteva bastare? il problema era
anche la coccoina c’era ancora? era diventato più
complicato  o forse semplificato ma come incollare
quella parola “parola” e poi quel “forse” che
la metteva in dubbio in modo che avessero
un senso sulla pagina bianca era
tutto così fragile e mobile la carta e le parole
da incollare gli tremava la mano e la pinzetta
vagava incerta doveva spingerla e cercare di
incollare ma non riusciva fu chiamato all’improvviso
così si distrasse e cadde la bolla che poi
forse era una bottiglia di vetro solo più panciuta che
si ruppe e il gioco era già finito
pensò avrebbe ritentato la prossima volta che
gli capitava una bottiglia vuota e qualche
parola da mettere insieme e fare una poesia.

giovedì 11 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Emilia Banfi
Il barattolo












In profumeria c'è uno scrigno
è il regalo più bello che ti puoi fare
la scritta in ORO fa sognare
è la CREMA, questa volta è proprio vero
questa volta sarà magìa
dei tuoi anni la metà volerà via.
Le tue rughe, rigagnoli del tempo
si spianeranno in un momento
nessun vento potrà seccare
il fluido che non fa invecchiare.
Pelle liscia, soda, nuova
come le statue del Canova
hai un seno un pò fiacchino?
diventerà la vetta del Cervino.
Il barattolo dorato
ha un costo mozzafiato
ma del prezzo che t'importa...
sarai giovane, finchè non sarai morta.
Lo prendo o non lo prendo?
Ci penso e aspetto un po'
dei miei anni, che son sessanta
tutto sommato son contenta
e se poi si sbaglia e mi toglie
i primi trenta?
Lo lasciò lì
tra un profumo e una ceretta
e m'allontano senza fretta.

DISCUSSIONE
Sofferenza è/e poesia?

 












Cos'è in gioco in questa nostra discussione?
Proviamo a pensarci e forse si chiarirà....


Ennio Abate 
 (Cfr. in questo blog anche COMMENTI
 L'ape furibonda
 omaggiata e punzecchiata)
 
 
 @ Emilia Banfi
 
 1. «La sofferenza dell'indigeno non produce poesia, essendo egli un indigeno ma 
 la potrebbe produrre in chi lo vede soffrire».
 
 Per me non la produce mai. La poesia nasce quando la sofferenza dà tregua, non 
 grazie alla sofferenza. Smettiamola con questa visione della sofferenza che 
 produce. 

Fara Butera
 
 Non mi trovo d'accordo con questa affermazione.
 Credo che l'estro creativo possa colpirci in qualsiasi momento, anche mentre si 
 soffre.  Perché asserire che esso debba sopraggiungere solo durante una tregua?
 L'impeto di comunicare sentimenti, in parole o in pittura, o in altre forme 
 d'arte, delicato o chiassoso, dolente o appagato, arriva senza calcolo né 
 premeditazione.  Inutile quindi rinchiuderlo in uno spazio emotivo, assurdo dare una 
 regola alla produzione. 

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Eugenio Grandinetti
Sisifo (o della conoscenza)

          












Girano
nell’universo illimitato ammassi
di galassie,nelle galassie astri
che trascinano con sé pianeti,
e i pianeti satelliti. Trascorrono
liberi all’apparenza i voli
caudati delle comete,
e ogni cosa ha il suo corso,
immutabile,ché non si scontrino
l’uno con l’altro in una catastrofe
incommensurabile.
Frammenti minimi vagano
senza regole:i maggiori
corpi li attraggono
dolorosamente,li assimilano
a sé: C’è forse
in tutto questo esterna
una volontà che li regoli
o è forse un meccanismo
autonomo che si regola
solo su basi fisiche?

mercoledì 10 novembre 2010

CONTRIBUTI
La vendetta del pornografo.
MICIO TEMPIO, un poeta dimenticato
di Giuseppe Beppe Provenzale

         Domenico Tempio 
                                                 (CT 1750-CT 1820)  
Il Nostro é il maggiore poeta riformatore siciliano, contemporaneo del Parini in Lombardia. Meno famoso o addirittura sconosciuto perché ha quasi sempre scritto in siciliano. Lingua ufficiale del Regno di Sicilia, quella degli atti notarili, delle bolle e dei regi dispacci. Sparito il Regno di Sicilia, il siciliano come tutte le lingue che non possiedono passaporto è stato declassato a dialetto rendendo “minore” la sua letteratura. Eppure ancor oggi il Tempio lo si chiama all’antica, “Micio” conferendogli familiarità e affetto, riconoscimento e adesione[1]. Micio Tempiu fu “… ammirato e lodato dai suoi contemporanei, ma dopo la morte la sua opera è stata quasi dimenticata, tranne alcuni componimenti di carattere licenzioso che, pubblicati alla macchia, gli hanno dato ingiusta fama di poeta pornografico.”[2]

SEGNALAZIONE
POLISCRITTURE N.7


Poliscritture
r i v i s ta di r i c e r ca
e c u l t u r a c r i t i c a

Numero 7
Ottobre 2010

Come dice il titolo, è una rivista
di scritture plurali. Vi trovano ugualmente
spazio riflessioni in forma di saggio breve,
poesia, prosa narrativa, critica o dialogo.
Ma la 'S' in rosso evoca in sottofondo
la polis, la città, la fonte antica della politica
e della democrazia. Si vuole così segnalare
ai lettori l'intenzione di ristabilire in nuovi
modi quella tensione costruttiva tra scritture
e politica che oggi sembra perduta

E' DISPONIBILE:per richieste scrivere a  poliscritture@gmail.com

COMMENTI
Micio Tempio




Commento di Lucio Mayoor Tosi
 

Cliccate su questo link e ci troverete la valida interpretazione di un testo di Micio Tempio.
Qua sotto invece riporto un passaggio che ieri sera che ha sorpreso un po' tutti per la modernità dei contenuti:


Oh che follia/ Taci, perché non sai la Teologia./ Questa sì bella usanza /da Sodoma abbruciata fu sodomia chiamata;/ ma perché sia peccato /io non capisco ancor./ Si l’adulterio è tale/ che sia dal ciel punito./ La fede coniugale viene a tradirsi allor./ Sta il gran peccato espresso /nell’accoppiarsi insieme/ diversità di sesso; ma se si sparge il seme /tra l’uomo e l’uomo istesso,/ che non sia permesso/ portami un argomento,/ una ragione, ed io questo cular desio/ discaccerò dal cor.
 
Non so dire se il verseggiare di Domenico Tempio sia da considerarsi poesia, a me sembrano dei recitativi. Il trattar di temi sociali, di filosofia e di buone o cattive creanze, usando il linguaggio crudo dell'eros, era molto in voga nella seconda metà del '700, eppure mi sembra che l'essere così diretti ed espliciti contenga un'innocenza salutare ancora valida, oggi che viviamo nella dittatura bacchettona, discriminante e fasulla dell'eterosessualità a tutti i costi. 
Grazie a Beppe Provenzale per la magnifica segnalazione. 

lunedì 8 novembre 2010

TRADUZIONI
Marcella Corsi traduce dai POEMS
di Katherine Mansfield


TRADURRE  KATHERINE MANSFIELD 
SENZA LASCIARE LA CUCINA

Tutto è piacevolmente al femminile in questo libro. Dall’immagine di copertina ai versi alla Nota del curatore (perché non curatrice?) che rende conto della fatica compiuta. E, non essendomi io mai davvero impratichito nell’inglese, conoscendo vagamente Katherine Mansfield  e tra il vento il riso e il volo (i tre simboli  che hanno guidato  la scelta dei Poems da tradurre) trovandomi a mio agio soprattutto col primo, sarei il meno indicato a parlarne.
Ma conosco Marcella Corsi, tra l’altro valida  collaboratrice di POLISCRITTURE e  del Laboratorio MOLTINPOESIA, e perciò, se per la Mansfield  mi limito a  pubblicare alcune delle poesie tradotte che più mi sono piaciute, due annotazioni mi sento di farle sulla traduttrice.
Marcella sa prendere di petto tutti  i problemi che il tradurre comporta. Si muove tra trabocchetti linguistici e teorici con una passione vigorosa e una forza elementare. Non si lascia intimidire dai precedenti traduttori,  quasi li salta puntando decisa «all’originale» e sull’empatia con la Mansfield, una scrittrice che - dichiara - al di fuori di quei suoi versi incontrati per caso era per lei all’inizio quasi una «sconosciuta».

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Luisa Colnaghi
La nebbia




 




Arriva a flussi leggeri
galleggia, cattura il  sole
si allunga in ombre  velate
sui vetri della finestra.

Falde di bambagia coprono
il gelo della campagna
i pioppi  all'orizzonte
sono fantasmi fuggitivi.

Non si sente  il suono
delle campane, tutto è  fermo
nel silenzio ovattato,
appeso al filo dei pensieri.

Gocce vaporose come
rugiada scendono lievi
sulla  mente catturata
dalla magia del momento.
 
Gli occhi s'interrogano
frugano nell'infinito, bianco
mondo senza odori
senza rumori di prossimità.

DISCUSSIONE
Rilanciando sul caso Merini:
No alla sofferenza produttiva
No al populismo televisivo









Commento di Ennio Abate 
(Cfr. in questo blog anche COMMENTI
L'ape furibonda
omaggiata e punzecchiata)


@ Emilia Banfi

 1. «La sofferenza dell'indigeno non produce poesia, essendo egli un indigeno ma la potrebbe produrre in chi lo vede soffrire».

Per me non la produce mai. La poesia nasce quando la sofferenza dà tregua, non grazie alla sofferenza. Smettiamola con questa visione della sofferenza che produce.
La sofferenza è sofferenza e produce  negli altri soltanto sofferenza o  istintivo distanziamento o cinismo. Solo una Maria Teresa di Calcutta, in base alla sua fede cattolica e all’esaltazione della Croce e della sofferenza di Cristo, può “amare” la Sofferenza (e magari anche alcuni sofferenti) e costruire una ambigua “macchina per alleviare la sofferenza”. Ambigua perché pienamente inserita nel sistema (che io chiamo capitalistico) che – non dimentichiamolo – produce progresso tecnico e scientifico ma anche grandissime sofferenze, fino alle guerre. Questa “macchina per alleviare la sofferenza” ha aspetti dannosi quanto il sistema (per me il capitalismo), ma gode del velo nobilitante dell’umanitarismo.

sabato 6 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Lucio Mayoor Tosi
Muhammad è un uomo religioso













Abbiamo trasmesso l’attenzione dei gatti. Buongiorno.  
Quel cappellino ti sta proprio bene, adesso che la luce è un lampo 
di chilometri , conviene farsi belli.  Il buio, il buio è il nuovo giorno 
dei capelli colorati, fiori sui giacconi scuri, parole a passeggio 
tra il denaro che dorme. Anche oggi abbiamo lavorato per lui
vecchio arido, bavoso mondo non terrestre.



Abbiamo trasmesso la vertigine dei palazzi e la loro ombra
ora solo riflessi di lago sul marciapiede. Chiuse le finestre degli uffici 
cessa  ogni pericolo, le strade borbottano la musica sordomuta dei dinosauri 
dalle frecce lampeggianti. Essere ricchi è avere spiccioli.

venerdì 5 novembre 2010

COMMENTI
L'ape furibonda
omaggiata e punzecchiata














Commento di Ennio Abate

Attirato dall’argomento e curioso di sapere cosa avrebbero detto di più e meglio rispetto a noi del Laboratorio MOLTINPOESIA, che ne discutemmo nel marzo 2010 (Cfr. in nota il resoconto), sono andato. Assenti per ragioni varie Majorino, Mussapi e Riccardi, omaggio e lettura critica sono spettati ai restanti. In breve cosa hanno detto?
Kemeny ha raccontato aneddoti curiosi e divertenti su alcuni suoi incontri con Alda Merini, è sembrato affascinato dalla sua esperienza umana dolorosa e ha letto due poesie di lei che egli giudica belle e, come si dice, resistenti al Tempo.
Lamarque ha parlato di produzione poetica fluviale, ha aggiunto che – come tutti i poeti - Merini  ha lasciato poesie belle e poesie brutte e che, in assenza di una più severa selezione, la sua fama di poetessa osannata in vita potrebbe  appannarsi ora che i riflettori su di lei si sono spenti.

COMMENTI
Quando la poesia si fa del bene.
Un reading trasformato in spettacolo:
MILANOICTUS di Dome Bulfaro

Commento di Giuseppe Beppe Provenzale
I reading sono superati, la Poesia ha bisogno d'altro. I disattenti sono avvertiti: da oggi si può ritornare ad ascoltare i poeti senza stramazzare strusciando il fondoschiena su una poltrona o semplicemente disertando i luoghi dove gli irriducibili si contano sempre meno numerosi e sempre meno motivati. Questa settima a Milano é successo qualcosa. Qualcosa di corale tra le migliori teste pensanti della cultura italiana (Fondazione Arbor, Mille Gru, SpazioStudio) e un testo (già reading) del poeta (qui anche performer) Dome Bulfaro, collaborato da uno staff di eccellenti.








MILANOICTUS
di Dome Bulfaro
(per continuare la lettura clicckare su ulteriori informazioni)

giovedì 4 novembre 2010

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Attilio Mangano
Le età
















1.
Se c'è un età per la malinconia 
o per la depressione io non lo so.
Ma quando arriva tutto scappa via
e il mare tu lo guardi da un oblò.

2.
C'è un età della grazia e del candore
quando il  sorriso di chi passa accanto
apre il mondo a uno strano stupore
in cui per legge è proibito il pianto.

3.
L'età dell'innocenza è come un mito
che inventa il tuo passato e rassicura.
Quando il ciliegio è tutto fiorito
e la rugiada bagna la verdura.

4.
Qual è l'età per la masturbazione?-
C'è chi crede sia solo un surrogato.
Nanni Moretti ha una soluzione:
la nutella è come il cioccolato.

5.
Qual è l'età perfetta per l'amore?  
Plagio, corrompimento, seduzione:
è sempre sotto vetro il minore
ma libera è la sua vocazione.

martedì 2 novembre 2010

APPUNTAMENTO
Lab. MOLTINPOESIA
alla Palazzina Liberty
mart. 9 nov. ore 18
Giuseppe Beppe Provenzale racconta Domenico Tempio


Domenico Tempio è uno studioso locale degno di tre o quattro saggi e due tesi di laurea? O un poeta del valore di Parini danneggiato però dalla geografia, dalla storia scritta dai vincitori e infine soffocato dalla lingua? Ai loro tempi Catania e Milano avevano lo stesso numero d’abitanti, la stessa storia di dominazione spagnola alle spalle, un’economia fiorente e la stessa quantità di poveracci. E allora?
La geografia ha posto le due città in bacini d’utenza assai differenti e di differente visibilità.
In un tentativo di correzione della storia scritta  hic et nunc tento di raddrizzarne le sorti. 

Trascurando la elevata produzione di Domenico Tempio, quella illuminista di impegno sociale, ho focalizzato la mia conversazione sulla sua produzione licenziosa. Egli, con notevole coraggio e la maggiore capacità espressiva della lingua siciliana, ha scelto di scandagliare pieghe e abissi di animi che non avevano visibilità nella società civile, né tanto meno voce. Una voce verista anti-litteram che rischia grosso con l’inventio di persone, situazioni e dettagliate descrizioni di particolari fisiologici. Questa voce e la ricercata espressività osano molto, ma  solo per rendere più impressiva e condivisibile la sua rigida morale, scopo celato o palese di ogni suo componimento. Porgo un assaggio con il più comprensibile componimento in toscano, scritto – tutto sommato – con una penna d’oca intinta nell’inchiostro grigio.
Da Il Padre Siccia
(seppia che si nasconde dietro l’inchiostro nero; già la scelta di questo nome è “la morale”)

Oh che follia/ Taci, perché non sai la Teologia./ Questa sì bella usanza /da Sodoma abbruciata fu sodomia chiamata;/ ma perché sia peccato /io non capisco ancor./ Si l’adulterio è tale/ che sia dal ciel punito./ La fede coniugale viene a tradirsi allor./ Sta il gran peccato espresso /nell’accoppiarsi insieme/ diversità di sesso; ma se si sparge il seme /tra l’uomo e l’uomo istesso,/ che non sia permesso/ portami un argomento,/ una ragione, ed io questo cular desio/ discaccerò dal cor.

Un prete pedofilo tenta di traviare un ragazzo, ci riesce ma il teatrino delle parti e l’immoralità dei due è nell’ultimo verso della pantomima: il cazzo entrò sì franco /e tu ti lagni ancor?

Un altro esempio, ma per via della lingua di maggiore difficoltà di comprensione, è la poesia la Monaca dispirata che nei suoi vagheggiamenti da tempesta ormonale brama tanto il pene da essere critica (e assai informata) su quanto ne viene sprecato nelle camerate della caserme dove grossi minchi di surdati/ chi ntra d’iddi lu darreri/si lu pigghianu arraggiati. Sprecato anche nei conventi dove cc inni sunnu/ beddi minchi rancitusi: non havennu nuddu cunnu,/ si la minanu oziusi.
Il coraggio di un linguaggio naturale e forte ha consentito al Tempio di creare libere immagini forti e camei di vite spicciole di persone mai personaggi. Una galleria di defunti senza una targa stradale di marmo né una lapide, eppure hic più viva di qualsiasi astrazione e mappatura geocritica.

Giuseppe Beppe Provenzale