giovedì 27 ottobre 2011

Franco Tagliafierro
Cinque poesie



PER SGOMENTO DELL'OLTRE

Come attesta il satellite
qui non è atroce l'epoca e stanotte
avremo sia meteore di stagione
che incantesimi di luna.
Il massacro
è in corso provvisoriamente altrove.

L'oltre quei monti, il dilà dal mare,
il dove pare che esistano uomini
con la testa di cane...
Era lo spazio
che attenuava la paura, non di essere
vittime, ma suscitatori di incubi?

Se rimescoli i prima i dopo i sempre
per sgomento dell'oltre ogni altro oltre,
pènsati solitario nel linguaggio:
dove pare che esistano silenzi
non simmetrici a nulla.



                   
CORPO LIBERO


Casuali nel vestire gli studenti,
che briosamente corrono a contendersi
i primi posti della gradinata;
sussiegosi in gorgiera e abito scuro
i dottori futuri specialisti,
a cui per tradizione è consentito
sedersi attorno al tavolo anatomico.
Il professore fa togliere il telo
e comincia a parlare nel microfono,
ma nessuno è intento a percepire
il senso e il suono delle sue parole.
Questo accade perché il nudo cadavere
- di suo avendo ormai soltanto il corpo -
si è sottratto a qualsiasi convenzione
e ora è lui che tiene la lezione,
lui con la sola sua corporeità...
Dice cose che nessun vivo sa.



COME UN PIERROT

Chissà, sceneggiatrice
la brezza dopo il torrido
e regista il giardino frusciando le betulle,
oppure avrò occhieggiato
più luna del dovuto
come il più raggirato lunare dei Pierrot...
fatto sta che mi accorgo
di una porta socchiusa,
la spingo finché cigola, impavido mi inoltro
per stanzoni in penombra
senza neanche avvertirvi
quel minimo di assurdo che c'è in ogni realtà.

Non qui, penso, è appagabile
la mia curiosità,
ma ecco che si annulla lo spazio alle mie spalle,
precipito in un buio
con brividi di tunnel,
mi invade la paura che sia interminabile,
sento aliti di vento,
stridore di cancelli,
urto contro un sipario che subito si alza...
e ritrovo immutato
da come lo lasciai,
stipato di cappelli, ognuno col coniglio,
quel ripostiglio in cui
non sono entrato mai.


NUBI SULLA FESTA

Nubi subito basse, e così cupe,
così grosse, così brusche e dispotiche
nel disporre del buio a tutto campo,  
che al primo lampo il luna park si spopola
e i teloni incappucciano le giostre
creando ambientazioni da film dark.

Ma la ruota panoramica gira,
si inghirlanda di luci e gira ancora,
sfidando l'incombente cataclisma,
grazie ad alcuni giovani che giocano
a fare i salvatori della festa
con la testa realmente fra le nuvole.

               "E che sai dirmi, mentre fai poesia,
               delle esistenze corse a rintanarsi
               dove è scarso il ricorso all'utopia,
               che nel loro scenario hanno soltanto
               la libertà di guizzo in un acquario
               e qualche volo intorno ad una torre?"

Per quanto se ne sa o si arguisce,
sarebbero disposte anche a stanarsi
se avesse ancora un senso l'avventura;
e magari perfino a riazzardarsi,
pur sapendo che sfocia nel risibile
l'agire dopo lunga autoclausura.

Però qualunque agire è un gioco a perdere
in un contesto ormai privo di margini
che soggiace a poteri incontrastabili        
e ti tollera giusto se diffondi
idee equiparabili allo sporgersi
fra il trepido e l'ardito da strapiombi.


CANTO NOTTURNO DI UNA ZANZARA


Qual fallo, qual sì nefando eccesso
Mi macchiò prima di nascere? O quale 
Delitto senza accorgermi ho commesso
Per essere malvista ovunque vada?
Questo mi chiesi essendo ormai svezzata
E ansiosa di godere e farmi strada,
Dopo che per tre volte fui scacciata
Da un luogo in apparenza funzionale
Al mio sogno di famiglia allargata.  
La ragione di tanta ostilità  
Mi fu evidente dopo aver sorbito, 
Per fame, ovvio, non per malvagità,
Un po’ di sangue da un animale
Umano provocandogli prurito.

Un’ava mia, anche lei molto inesperta,
Vide un serpente sul punto di mordere
Un uomo che dormiva all’aria aperta.
Per avvertirlo impiegò tutto il suono
Che con le sue ali le riuscì di emettere,  
Ma per svegliarlo non bastava un tuono.
Dovette pungerlo, lui si svegliò,
Non vide il rettile ma vide lei, 
E automaticamente la ammazzò.
Poi capì che era vivo grazie a lei,
Stando a quanto un poeta rivelò.

Alcune varietà della mia gente
Portano in giro batteri mortiferi,
E ciò mi duole, ma obiettivamente
Che colpa ne hanno loro se quei miseri
Gli si attaccano addosso dato che
Se non fanno così non sopravvivono?     
La legge di natura questa è,
E fa sí che gli umani finché vivono
Perseguitino noi a più non posso.

Ce l’hanno pure con gli scarafaggi
Perché offendono il loro senso igienico,
Ma non li uccidono in tutti i paraggi,
Mentre contro di noi vige, ecumenico,
L’ordine di sterminio: chiunque è un killer,
Dovunque è Auschwitz, chiunque è un Hitler.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Come al solito sorprendente Tagliaferro. Folletto s'infila ovunque sta mistero, ironia, dubbi, magìa. Chi lo legge non lo dimentica. Emy

Unknown ha detto...

..taglia proprio il ferro questo quintetto, emozione allo stato caldarrosta nuvola, GRAZIE! le seminerò per i tergicristalli dei parcheggi senza poesia.

Anonimo ha detto...

Lì per lì teatro, poi un bambino, poi la clownerie, poi la fiaba, il racconto, poi la saggezza, poi il sarcasmo... quante cose!

mayoor