venerdì 25 novembre 2011

Donato Salzarulo
Pomeriggio a Milano.
La lettura spiegata a chi non legge.

   

Dalla videopoesia  del post precedente a questa cronaca simpatetica da lettore classico, incallito, anzi "nevrotico consumista"confesso. Si parla della presentazione a Milano di un libro che di lettura e lettori tratta. Ferrieri - scrive Salzarulo - parla della lettura, accentuandone la dimensione del piacere. Lettura come «promessa di felicità». E aggiunge:...e definisce clinicamente il lettore un ammalato, una persona che ha contratto il vizio di leggere. Tra lettura e poesia il passo è breve o lungo? La videopoesia è un mezzo per sfuggire alla malattia del lettore o no?   [E.A.]

    


1. - Non ricordo l'ultima volta che ho preso la metro. Mesi fa, sicuramente. Sono un habitué della periferia, un amante degli angoli colognesi. I miei percorsi quotidiani sono quasi sempre gli stessi: casa, edicola, ufficio, villa Casati, libreria Celes, piazza della Resistenza, piazza Castello, piazza XI Febbraio...Un consumo veloce, indaffarato e, a tratti, inavvertito dell'esistenza e dei giorni. Decido di riprendermi questo pomeriggio, il venerdì pomeriggio di questo 14 Ottobre, col sole e i primi freddi, un po' malinconico e luttuoso. L’estate è durata un altro mese (ancora ne indosso i panni), ma s’appresta celermente a morire.

Decido di riprendermelo perché l'occasione è buona. A Palazzo Sormani, nella Biblioteca civica milanese, verrà presentato l'ultimo libro di Ferrieri. Luca me lo regalò a fine maggio. Lo lessi con curiosità e attenzione partecipe. Ho ancora l'impressione di una scrittura mossa e intelligente, affinata e sapiente. L'argomento, paradossale sin dal titolo («La lettura spiegata a chi non legge»), è nelle mie corde. Mi gira in testa pure qualche pensiero. Meglio, però, ascoltare presentatori autorevoli, sentire i loro argomenti. Più facile e anche più rilassante. L’accidia  non è un vizio capitale che detesto e ho proprio bisogno di distendere nervi e muscoli.

Nei frammenti di tempo, tra una commissione e l'altra, recupero il libro. Torno a sfogliarlo. L'incontro è alle sei. Ma decido di andare via prima, verso le quattro, appena rientrato dal Centro Commerciale e depositate sul tavolo le buste della spesa settimanale. Desidero girare un po' per librerie, cercare il monografico di Riga, dedicato a Furio Jesi. Sto leggendo la riedizione del suo libro sulla “cultura di destra” e mi piacerebbe saperne di più su questo autore morto giovane, a 39 anni. Destra / Sinistra è poi argomento di confronto coi miei amici, nella redazione di Poliscritture. Per alcuni sono categorie morte e sepolte, concetti d’altri secoli.

2. – Risalire le scale e sbucare dai sotterranei della metro dà sempre una sensazione di libertà. E quindi uscimmo a riveder le stelle. Il Duomo, voglio dire. La brulicante apertura della Piazza, l’imbocco della Galleria, l’andirivieni in tutte le direzioni. C’è gente seduta sui gradini del Sagrato. Un’autoambulanza cerca strada e, giunta all’ingresso di corso Vittorio Emanuele, accende la sirena.

Un tempo venivo più spesso da queste parti. Ero più a caccia di mondo. Più di tutte frequentavo la  libreria Feltrinelli di via Manzoni. Negli anni Ottanta arrivavo in bicicletta. Poi ho imparato a fermarmi in quella del Duomo, anche se, lo confesso, mi trovo a disagio. I megastore mi danno la vertigine e densi crampi allo stomaco. La quantità, m’illudo, che dia maggiori possibilità di scelta. Non è così. Non trovo, infatti, la rivista che cerco. «Prova in via Manzoni», suggerisce il commesso. Neanche a pensarci. Sono già le cinque e un quarto e, prima di domandargli se l’avesse da qualche parte, ho gironzolato in lungo e in largo per settori e scaffali e ho già trovato libri e riviste capaci di appagare la mia nevrosi consumistica: un libro di Morris sulle civette (ne ho in casa una collezione), uno di Sloterdijk sullo “stato di morte apparente”, condizione che aiuterebbe a far nascere il pensiero, un altro di Zolo sulla “paura, la fragilità, l’aggressività, il potere” e, infine, il più intrigante e appetitoso, un libro di Emanuele Coccia sulla “vita sensibile”. Quando mi ci metto, non scherzo!... Fra creature della notte e morte, gli argomenti dicono molto sul mio stato d’animo. Un po’ mi salvo con le riviste: compro l’ultimo numero di Aut-Aut su Foucault e la “Storia della follia” e di Nuovi Argomenti su Parise. Sempre morti sono, si dirà…Certo! Però, riflettendoci sopra, a proposito di lettura, una delle mie prime scoperte è stata proprio questa: «Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.» I libri come specchi di carta. Meglio: tavole di Rorschach...Luca, attento lettore di Proust, conosce questa citazione e cerca di darle un’interpretazione meno solipsistica (cfr. pag.138); più attenta al pensiero dell’Altro, al piacere della lettura e della scoperta del volto altrui.

Piacere della lettura? Indubbiamente. Ma anche rischi di rigetto, di bulimia culturale, di amori soffocanti. Parlo per me: partito da una condizione di indigenza libraria, ho sempre desiderato una casa piena di libri. Ora ne ho dappertutto. Uno scaffale s’innalza persino sul fianco sinistro del mio letto. Ma non sto bene, non mi sento soddisfatto, sono ansioso. Il desiderio, fattosi passione, (alquanto sciagurata, confesso), mi ha portato, giorno dopo giorno, a colmare l’appartamento di libri; però, mi ha anche regalato l’angoscia del non riuscire a leggere tutto ciò che compro o ho comprato. Negli anni dell’adolescenza o della gioventù, quando acquistavo o ricevevo in prestito un volume, sicuramente lo leggevo. Con la maturità, invece, è aumentata la passione degli acquisti, ma è diminuita la potenzialità di lettura. Sia perché, se non mi cattura sin dalle prime pagine, abbandono un libro facilmente; sia perché, la nevrosi consumistica, stimola il continuo ingurgitarsi di titoli fino all’oblio di quelli acquistati. Può accadere così, non solo di rinviare la lettura o di non leggere per nulla il libro comprato, ma di tornare a comprarlo. E’ il massimo!... Giuro che mi è accaduto quattro o cinque volte e mi sono molto allarmato: Alzheimer incombente? Stupidità irrimediabile?...Luca la chiama “ipertrofia dell’offerta” (pag. 159) e in pagine quanto mai condivisibili parla della necessità di un’ecologia della lettura e di una sua sostenibilità (cfr. pp. 157-162).  E’ da un quarto di secolo (ed oltre) che conosco quest’invito.  

Andrea Zanzotto racconta che, a dieci anni, lo portarono a vedere la grande Biblioteca di Treviso con più di centomila volumi. Rimase sbalordito. E lui che, oltre a credere nelle «righe morte della poesia», aveva un enorme interesse scientifico per tutto, ne ricavò, così sostiene, un vero e proprio «trauma fondamentale», una «turba esistenziale». Fra sé e sé disse: se dovessi vivere settant’anni, non potrei arrivare a leggere tutti i libri della Biblioteca di Treviso, neanche se lo facessi dalla mattina alla sera. Basta allora!...«Io farò solo il minimo possibile. Leggerò quel poco che si può leggere purché sia molto interessante, sicuro di perdere mille altre cose interessanti.»

Ecco, non ho avuto la fortuna di subire da fanciullo questo trauma fondamentale. So di dover morire non sapendo molte cose, ma per anni mi sono illuso di voler sapere non le cose essenziali, ma tutto. Forse in qualche angolo del mio corpo cova ancora questa stupida ambizione. Fatto sta che non riesco a far regredire la mia nevrosi.

3. - Torno all’aria aperta col mio sacchettino ecologico nella mano destra, zeppo di carta stampata, e nella sinistra il libretto di Luca e il bloc-notes bianco. Sulla via dell’Arcivescovado m’invade un flusso di nostalgia. Mi rivedo con un’amica, mentre percorriamo questa strada per andare al Palazzo di Giustizia, all’Avvocatura dello Stato o mentre andiamo ad un convegno alla Sala della Provincia.

E’ morta sei anni fa. Esattamente il 14 ottobre, un giorno come questo. Più freddo, però. Molto più freddo.

M’affretto. L’estate è agli sgoccioli e l’autunno indolenzisce le ossa. Via Francesco Sforza, 7. Palazzo Sormani è di fronte. Leggo l’indicazione sul cartello turistico giallo. Attraverso la strada. Riconosco Marilena e Nicoletta. Stanno aspettando sul portone. Insieme saliamo nella Sala del Grechetto. Che meraviglia! Non c’ero mai stato. Continuo a girare gli occhi sulle quattro pareti. Ogni tanto fisso qualche particolare. Intanto saluto Luca che si è liberato, per un minuto, dagli ospiti; saluto amiche e amici colognesi. Arrivano Bianca e Giuliana e si siedono al mio fianco. Insieme commentiamo la bellezza stupenda della Sala e poi…Poi continuo la mia perlustrazione. Ho di fronte la parete che fa da sfondo al tavolo della presidenza. Noto le stecche nere che dividono le quattro tele. Il tema è unico: un paesaggio forse al risveglio, una foresta con fiumi, laghi, monti e tanti, tanti animali. Tutti, direi, quasi tutti. Osservo un capriolo, un cervo, un gallo, una gallina coi pulcini, un’upupa e, in fondo, nell’angolo a destra, un uomo che suona un violino o qualcosa di simile. Un’immensità difficile da dire. Provo a disegnare sul mio bloc-notes la parete. Risultato pessimo. Come le piacerebbe, penso, come le piacerebbe questa Sala, lei che amava tanto questa città e che un po’ mi ha lasciato addosso quest’amore. Se per l’occasione fosse stata qui, m’avrebbe sicuramente illuminato. Una volta, ricordo, mi trascinò al Duomo e mi raccontò in lungo e in largo la sua storia. Che ho dimenticato, ovviamente. Molto si dimentica.

 

4. – Il quarto d’ora accademico è passato. La Sala è quasi piena e si comincia. La parola ad Aldo Pirola, direttore della Biblioteca, per un saluto. E’ persona che conosco, un colognese. Abbiamo lavorato insieme nel Forum, tra il 2004 e il 2005, a sostegno della candidatura a Sindaco di Vittorio Beretta. Parla forbito e con morbido calore. Pronuncia parole di benvenuto e ringraziamento agli ospiti, ai presenti e, in particolare, al gruppo folto di colognesi in trasferta. Poi, neanche a farlo a posta, e per quanto mi riguarda con molta gratitudine, accenna alla Sala dove siamo: è un interno di pittura barocca tra i più belli di Milano. Anzi, dice, «il più bello».

La Sala si chiama “del Grechetto” perché le tele che ammiriamo sono state attribuite all’artista genovese Giovan Battista Castiglione, detto così – questo Aldo non lo dice, ma lo aggiungo io -  «probabilmente per un suo vezzo di vestire all’armena e fingersi greco». (Notizia letta successivamente su Google: non sono forse un lettore io?...).

Le grandi tele, ventitré in tutto, non furono realizzate per questo luogo. Originariamente si trovavano nel Palazzo Lonati-Verri. Approdarono qui verso il 1880.

Rappresentano un ciclo dedicato al “mito di Orfeo”. «Infatti, guardate lì, all’angolo destro della parete alle mie spalle: c’è il disegno di un giovane uomo che sta suonando uno strumento simile al violino…Non è un violino, è una viola barocca e il giovane che la suona rappresenta Orfeo. Conoscete tutti questo personaggio. Dotato di poteri magici, è capace di incantare con la sua musica tutta la Natura: alberi, animali, rocce…Un grande seduttore, insomma…».

Ricordavo che Orfeo suonasse la lira. Ma si vede che Giovan Battista Castiglione o chi altro abbia disegnato queste splendide tele (l’attribuzione, infatti, è dubbia) assegnava alla viola barocca particolari significati. Forse è utile sapere che questo strumento, per la dolcezza del suo suono, è detto anche viola d’amore.  Ed Orfeo è protagonista di un’indimenticabile storia d’amore. Che farò senza Euridice! / Dove andrò senza il mio ben!...

Attivo nella seconda metà del Seicento, l’autore di queste tele non s’intende solo di mitologia. Risulta bene informato, continua Pirola, su flora e fauna di diversi continenti. L’America è stata scoperta da poco e con essa pomodori, patate e tanti animali fino ad allora sconosciuti. Su queste pareti ci sono tutti. Mancano soltanto i rappresentanti della fauna australiana: canguri, koala…

«Ma, bando, alle informazioni che aiutano a leggere queste piacevoli immagini!...»  Aldo s’avvia alla conclusione. «Siamo qui per parlare di altre letture, di parole stampate sulle pagine, di libri. Anzi di un libro, in particolare, quello dell’amico Luca Ferrieri, direttore della Biblioteca civica di Cologno…Grazie al suo lavoro, una delle migliori biblioteche d’Italia. Il nostro amico, del resto, è uno dei maggiori esperti del settore; sulla lettura ha scritto tanto…Ancora grazie per essere venuti…La parola, quindi, al dott. Ferrieri…No, mi correggo, a Massimo Belotti…».

 

5. – Massimo Belotti è direttore della rivista “Biblioteche oggi” e, mi pare, presidente dell’Editrice Bibliografica, la casa che ha pubblicato il libro al centro della serata. Esso è inserito nella collana «Conoscere la biblioteca». E Belotti avvia il suo intervento, parlando proprio del progetto editoriale che ne sta alla base.

L’Editrice Bibliografica copre un campo specializzato in letteratura professionale per bibliotecari e stampa libri destinati alla loro formazione.

«Perché, ci siamo chiesti, non stamparne anche per il pubblico delle biblioteche? Libri, cioè, per ragazzi, insegnanti, adulti. Per chi frequenta, appunto, la biblioteca…». Da qui il progetto di una collana agile, con libretti di non molte pagine, scritti in una lingua non gergale e settoriale. I titoli già usciti, prima del libro di Ferrieri, sono due: quello di Fernando Venturini («Le biblioteche raccontate a mia figlia»)  e quello di Caterina Ramonda («La biblioteca per ragazzi raccontata agli adulti»).

«Quanto la lettura sia parte integrante della cultura bibliotecaria è fatto che non ha bisogno di sottolineature. Abbiamo pensato, quindi, a un libro sull’argomento. E chi meglio di Ferrieri poteva scriverlo? La lettura spiegata a chi non legge. E’ un paradosso. L’autore lo chiarisce subito. Ma come è stato difficile convincerlo a scrivere in modo divulgativo: con periodi non troppo lunghi, eliminando le note a piè di pagina…Insomma, in modo chiaro e senza, tuttavia, semplificare il discorso. Pensate!...La collana stampa libretti che s’aggirano sulle 170.000 battute. Luca, nella prima bozza, me ne presentò 350.000!...»

Belotti è direttore editoriale. Conosce il mestiere e negozia col suo autore. Alla fine, però, è soddisfatto. Il libro è un po’ anomalo rispetto a tutti gli altri della collana. Si legge con piacere e contiene molti spunti e stimoli. Davvero fa riflettere sulla lettura ed offre a bibliotecari ed insegnanti strumenti per affinare le loro armi professionali.

«Io ho parlato come editore; gli ospiti, sicuramente meglio di me, sapranno indicare e apprezzare le qualità di questo lavoro. Prima di passare loro la parola, la scaletta prevede un breve intervento dell’autore. Microfono a Ferrieri, allora…»

    

 

6. – Guardo il mio bloc-notes. Neanche un appunto. Luca non parla a braccio. Non cerca lì per lì le parole, non esita, non inciampa, non torna indietro a precisare meglio un’idea, un concetto. Non riempie la sala di ripetizioni, intercalari, pause, ricami in aria con le mani. Cerca le orecchie, non i nostri sguardi. Legge. Come può leggere un esperto di lettura. Benissimo e in modo espressivo. Ma l’intonazione non è quella del parlato, di chi cerca di appendere alle proprie labbra gli ascoltatori. Legge una pagina. Poco meno o poco più. Un testo perfetto, sintatticamente ineccepibile. Tendo le orecchie, super-concentrato. Non posso perdermi neppure una parola. Devo seguirlo e comprenderlo. Non mi è facile, nello stesso tempo, fare andare la mano per gli appunti. E, infatti, non ne prendo. Forse così Luca vince l’insicurezza del parlare a braccio (insicurezza di tanti, me compreso), l’incertezza della performance, l’unicità di un atto espressivo che, se non registrato, si perde («Verba volant…»). E controlla bene ciò che dice; se ne assume la piena responsabilità. Uditore, invece, io mi dispongo a inseguire la complessità del periodare, il giro, più o meno stringato, delle strutture sintattiche, la precisione lessicale, il livello d’elaborazione del discorso. Ascoltare un intervento a braccio e uno scritto non è decisamente la stessa cosa. Scoperta dell’acqua calda. Vero. Penso, però, a certe situazioni: i reading di poesia, l’insegnante che legge un racconto, e così via. Per comprendere bene la lettura ad alta voce di un testo scritto, probabilmente è opportuno diffonderne copie tra il pubblico. In fondo, è la situazione degli studenti in classe. Dopo aver letto ad alta voce una poesia, un racconto o un brano qualsiasi; dopo che l’insegnante ha concentrato l’attenzione degli studenti in ascolto, occorre aprire il libro a pagina tale o tal altra, rileggere ed invitare a portare il segno e seguire.

 

7. – Ma cosa ha detto Luca nel suo breve intervento? Cose importanti, molto importanti. Innanzitutto ha messo in guardia il pubblico dalla forma-presentazione. Caveat!...

La presentazione è un atto temerario, forse anche supponente. Non va bene niente.

Non so se ha detto proprio così. Ma per via della rima, queste parole mi risuonano dentro memorizzate e sicuramente semplificate.

La forma-presentazione è un luogo liminare, una soglia. Si sta in questo luogo per parlare del non-luogo del libro. Richiamato, convocato, evocato… Boh?!...

Poi ha parlato della necessità di congedarsi dal suo libro, di distaccarsi. La forma presentazione risponde a questo bisogno di accompagnamento? Forse.

In realtà, penso che Luca si sia già distaccato dal libro dandolo alle stampe. Però, ha voluto, così mi è parso, sottolineare questo rapporto tra lui-autore e il libro suo prodotto.

Confezionato e distribuito se ne sta lì, per i fatti suoi, con le sue nuvole-fumetto in copertina: una più piccola, azzurro avion, rettangolare, con gli spigoli arrotondati e il nome dell’autore dentro; un’altra più grande, giallo ocra, ovale contenente il titolo. Se ne sta lì, fuori, sotto gli occhi e tra le mani, oggetto da sfogliare con le sue 220 pagine bianche, inchiostrate di parole, l’indicazione della casa editrice, la sua dichiarazione di appartenenza alla collana, l’immancabile Indice e la Bibliografia dei titoli citati; bibliografia vasta: un elenco di 24 pagine, per un totale, ad occhio e croce, di 430 titoli. Sbalorditivo. Cultura ampia, sicuro e ricco possesso della materia. In questi casi, si commenta così. Ed è così.

Io vorrei soltanto dire che, a differenza di quanto confessa Luca, non soffrirei per la rinuncia delle note a piè di pagina (cfr. pag. 10) né per l’eventuale omissione della bibliografia. Non è per mancanza di rispetto degli autori. E’ che nel campo delle idee non credo vi siano diritti riservati.

«Io non mi sono inventato quasi niente, anche se ho rielaborato quasi tutto.» Sostiene a pagina 11. Benissimo. E’ ciò che esattamente facciamo tutti.

«Nessun diritto è riservato / magari da me si copiasse / tanto quanto dagli altri ho copiato» verseggia Zanzotto. Mi ripeto spesso un aforisma: la cultura di una persona è tutto ciò che le rimane dopo aver dimenticato tutto. Non ricordo chi l’abbia pronunciato e dove l’abbia letto. Non ricordo neppure se sia proprio così. La lettura vive di equivoci, rimozioni, malintesi, fraintendimenti, omissioni volontariamente o involontariamente perpetrate. Il nostro autore lo sa:

«Leggendo, succede quello che succede sui confini, quando si sconfina, e scocca la grande potenza del malinteso. […] Il fraintendimento genera incomprensione ma anche charme […], può portare alla guerra o al dialogo, all’annichilimento o all’arricchimento. Perché possa avere un valore positivo, il malinteso, quindi, deve essere narrato e in questa narrazione consiste appunto la lettura.» (cfr. pag. 177)

Il suo libro non sfuggirà a questa sorte.

Ad un certo punto, mi è sembrato di capire che l’abbia paragonato ad un figlio con la valigia, pronto a partire e a vivere la sua vita autonoma, le sue emozioni ed avventure conoscitive, i pensieri che manifesta e stimola negli altri, i suoi riconoscimenti e disconoscimenti…Tutto vero.

Per quanto mi riguarda, sono rimasto intenerito dall’immagine venutami incontro nella prima pagina: Luca, bambino di tre anni, che legge, ascoltando storie: «mia mamma mi raccontava che ogni sera era una tragedia: Atto libbo!, le dicevo appena aveva finito di leggermi una storia.» Insaziabile. Di storie o della voce della mamma che leggeva?...

Il tema del rapporto autore-scritture prodotte (racconti, romanzi, poesie, saggi, ecc.) è di medesimità e, al tempo stesso, di alterità. Penso che, allo stato elementare, il modello più semplice sia quello dello specchio. Che rapporto c’è tra il mio Io, il mio corpo anatomico, e quello riflesso dentro? Per quanto impalpabile è un altro Io, non v’è dubbio. Eppure è lo stesso. Quante azioni l’Io compie sulla base di quell’immagine?...Noi abitiamo i nostri pensieri, le nostre conoscenze, le nostre emozioni, le nostre storie. La lingua è la nostra pelle. E sta sempre con noi e dentro di noi. Come l’immagine sorgiva del bambino di tre anni che chiede alla madre Atto libbo!... Noi abitiamo i nostri libri. Congedarsi da loro? Sì, è possibile. Ma non è facile. Ho l’impressione che le vie e i modi del congedo siano in larga parte inconsapevoli. Quando si percepiscono, il trapasso è già avvenuto.

  

8. – Prima di passare la parola a Fernando Rotondo, il gruppo Mali Weil fa il suo primo intervento video, accompagnato da musiche di Art Infected. E’ un gruppo di regia, composto da tre giovani che realizzano opere con diversi mezzi espressivi. Per l’occasione si tratta di inserti audiovisivi che tendono ad illustrare una frase scelta dal libro. In questa prima proiezione, si tratta di una definizione: «La lettura è ciò che succede quando leggiamo.» Ciò che succede mentre leggiamo sono occhi che si muovono, sguardi attenti, concentrati che decifrano parole, rumori esterni, sirene che finiscono sullo sfondo. I filmati, questo e quelli successivi, devo dire, sono davvero limpidi e appropriati…

Ora è il turno di Fernando Rotondo, docente presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Bicocca di Milano, studioso dei fenomeni della lettura, uno dei più grandi esperti di letteratura per l’infanzia e giovanile.

E’ una serata molto fitta, interessante e piacevole, dice, avviando il suo intervento e, subito dopo, richiamando quanto detto da Belotti sulla collana «Conoscere la biblioteca», si sofferma su alcune importanti caratteristiche dei suoi autori. Sono persone che dimostrano di possedere non soltanto ottime competenze professionali nel campo specifico, ma -  il che non è scontato – sanno scrivere; nel senso che sono capaci di produrre una scrittura di qualità, ricca d’immagini, similitudini. metafore, analogie, figure poetiche. Rotondo fa qualche esempio tratto dai libri sinora pubblicati: «Noi siamo vicini al foro della clessidra…», «Percepisco cose che non riesco neanche a immaginare», ecc.

Questa scrittura di qualità caratterizza molto il libro di Ferrieri, che usa la tecnica rodariana del “sasso nello stagno”. Le onde si allargano concentriche. Lo scopo è far pensare, suscitare idee. Alcune volte anche impertinenti.

E’ autore amante della “bella scrittura”: lavora di cesello, ricorre a metafore (es. il “corpo della lettura”di pag. 166), chiasmi (“Leggere e amare” “Amare e leggere”), titoli sorprendenti (“Ad alata voce”), cerca immagini poetiche.

Il prof. , a questo punto, cita un libro di Sepùlveda «Le rose di Atacama». Non ricordo il nesso, il perché. Probabilmente glielo avrà suggerito per associazione qualche paragrafo o capitolo di Luca. Atacama è un luogo che si trova nel Cile settentrionale, un deserto in cui piove una volta all’anno e, come per miracolo, diventa tutto un tappeto di rose. Per un giorno si vive in uno stato di bellezza assoluta. E’ l’effetto che può fare una lettura nel deserto della nostra anima?...Luca ha un paragrafo sul “Lettura e bellezza” (pp. 114-117). Parla della «componente sensibile, tattile, erotica della lettura» e della sua capacità di «scatenarne la bellezza». Quando questo succede, si butta «il libro per terra, si salta sul letto, si danza nella stanza vuota, si parla, si straparla, si impara a memoria, si dimentica il libro e tutto il resto: siamo soli, e insieme con lui, con lei, con chi vogliamo. Dio, come è bello. E non finisce mai.» (pag. 117). Forse è la stessa emozione che invade i cileni di Atacama, quando vedono fiorire per un giorno le rose del deserto.

Comunque, sostiene Rotondo, il libro di Ferrieri non necessita di lettura specialistica, anche quando affronta temi scabrosi come quelli delle statistiche sui livelli di lettura in Italia e nel mondo.

«L’Istat è nudo!...anzi verrebbe voglia di dire con uno slogan», riprendendo gli argomenti contenuti nella “dichiarazione di insubordinazione statistica” del cap. VII.

Chi è il lettore e chi il non-lettore? L’Istat considera lettore colui che ha letto “almeno un libro” nell’anno di riferimento. Un libro, quindi, un unico libro farebbe la differenza. Viene da ridere. Per Ferrieri, «la definizione più attendibile del lettore non è quella statistica ma quella clinica: lettore è colui che ha contratto la malattia, o il vizio della lettura.» (pag. 76)  

Il prof. Rotondo ripercorre sinteticamente gli argomenti affrontati nei capitoli 7-8 e 9 del libro, richiama l’attenzione sulle percentuali di alfabeti e analfabeti. Per Tullio De Mauro «il 70% degli italiani fatica a leggere e scrivere: il 5% è totalmente analfabeta, il 33% non sa decifrare un semplice articolo di giornale, un altro 33 è vittima dell’analfabetismo di “ritorno”» (pag. 102) e fa notare che due sono le assenze significative in un lavoro, come si è detto, pregevole:

I Festival letterari che spesso sono oggetto di tirassegno e, invece, a parere dell’ospite, non meriterebbero certe critiche perché chi frequenta questi luoghi ama i libri.

I Centri di Lettura per aver svolto un considerevole lavoro di promozione di questa pratica sociale.

So che per Ferrieri, conclude Rotondo, promozione è “parola dannata” e “brutta” (pag. 179), so che in questo campo aborre il proselitismo e ama il fomento della lettura, del piacere, delle idee. Agitare, contagiare, sono i verbi che preferisce. C’è da augurarsi che ciò sia sufficiente ad affrontare il futuro, la “strana lettura” (tecnologica) che avanza verso di noi. 

 

9. – Altro inserto video e poi intervento di Gianni Turchetta, ordinario di letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi di Milano.

Bel libro. Si legge con piacere. Grande lucidità teorica e vivacità. Oscillazione di toni fra humour e passione.

E’ difficile definire la lettura, è atto che si svolge nel tempo, soggetto al divenire. Perciò Ferrieri rovescia l’impostazione: da quella definitoria, che ha sempre in sé l’ansia del definitivo, a quella fenomenologica. «La lettura è ciò che succede quando leggiamo» (pag. 20). Compie, in tal modo, il medesimo gesto anti-essenzialistico del compianto Franco Brioschi che, a proposito di letteratura, disse che è ciò che definiamo letteratura. Non è una qualità delle cose, è una situazione sociale.

Ferrieri parla della lettura, accentuandone la dimensione del piacere. Lettura come «promessa di felicità.» (pag. 74).Insiste sul piacere della lettura perché sa di coinvolgerci emotivamente. E’ un piacere che non si può insegnare. Si può solo narrare, mostrare, vivere. «La lettura è il regno della notte, delle passioni e delle pulsioni: essa è insieme lutulenta e sottile, pratica l’arte del trascinamento e della distinzione con lo stesso afflato. Uno dei principali aspetti paradossali della lettura consiste […] proprio in questo: la lettura non ci insegna nulla, ma ci forma. […] La lettura è una lunga chiosa a margine del silenzio.» (pp. 16 -17)

Ferrieri riesce a commuoverci.

Conduce un appassionato attacco alla “pedagogia della lettura” praticata nelle scuole, dove domina un’idea di lettura tutta legata al “dovere”. Peggio: «la lettura viene utilizzata per colpire, sorvegliare o punire.» (pag. 94). E’ giusto polemizzare con ciò che la scuola fa, ma non va dimenticato che il piacere della lettura va costruito con pazienza.

Turchetta preferirebbe che prevalesse nella scuola una filosofia antistoricista, che si smettesse di pensarla come luogo in cui si debba fare tutto: dalla preistoria ad oggi. Sarebbe meglio se si partisse dal presente. E’ incredibile, infatti, che il poeta più recente fatto studiare a scuola sia, ad esempio, Ungaretti. Stiamo parlando di un poeta vissuto 100 anni fa!

Ferrieri sostiene che il lettore debba emanciparsi dalla “lettura obbligatoria”. La prima condizione di ogni liberazione è l’autodeterminazione. Il lettore deve essere libero di scegliere cosa, come e quando leggere. (pag. 132). In una biblioteca si può indubbiamente fare. Ma a scuola? Qui il piacere di leggere è vincolato al dovere. Mission impossibile.

Il libro ha una bibliografia bellissima. Annotazione che condivido. E’ una delle prime cose che notai. Spesso comincio a leggere un libro dall’indice o dalla bibliografia. L’indice perché mi piace leggere gli argomenti e immaginarne la trattazione prima di verificarla sulle pagine; la bibliografia perché mi piace verificare se sono libri che conosco e che, magari, ho letto.   

Il prof. guarda l’orologio. Il tempo a disposizione dell’intervento si sta drammaticamente restringendo. Accelera e procede, accennando a temi e argomenti importanti affrontati nel libro.

La lettura ha tanti aspetti e dimensioni: ad alta voce, di gruppo, silenziosa, proibita. La qualità della lettura e la sua legittimità dipendono dai diversi gusti. Come sostiene Ferrieri, «leggere è sempre leggere diversamente» (pag. 133)

La critica si esercita sui libri, ma anche verso le case editrici, che cedono alle cosiddette “leggi di mercato”. La lettura è un ponte tra la dimensione estetica e quella etica.

Per Sartre, è qualcosa che fa vivere il testo: un atto di libertà. Dal punto di vista etico, il suo momento più alto è la scoperta dell’alterità.

Nella mente ho un passo, per così dire, anti-proustiano di Luca:«La lettura è precisamente l’atto di rottura dell’ipseità del Medesimo: chi legge per specchiarsi, o per ritrovare ciò che già c’è, o per scoprire conferme a quello che pensa, è costretto a fare i conti col fatto che ogni lettura esiste per deragliare la sontuosa sicurezza del Medesimo.» (pag. 139). Forse su questo punto avrei qualcosa da dire. Lo specchio non duplica solamente: riflette certamente colui o colei (lo specchio un tempo era oggetto prevalentemente femminile!) che sta guardando, ma gli consente di guardarsi e di scoprirsi altro.

Il prof. continua: Ferrieri parla di chiamata. Ha ragione. La lettura, oltre che metterci in relazione con l’altro, ci chiama a realizzare un mondo.

Asocialità della lettura, sostiene l’autore. E’ vero, chi legge sta solo. Ma, come precisa, è un’asocialità sociale (pag. 62).

Particolare attenzione meriterebbe il discorso sul piacere/potere della lettura. Lo stesso dicasi

della “fisica della lettura” e della profonda affinità esistente tra il leggere e l’ascoltare. Giustamente, leggere è ascoltare, inteso come ascolto musicale, antropologico-psicanalitico, apertura all’altro, «come inclinazione dell’anima a comprendere, a ospitare le differenze, a riconoscere le somiglianze» (pag.172)

Vorrei parlare dell’effetto deprimente che ha sulla lettura lo stacanovismo/consumismo. (Tra parentesi: vorrebbe parlar di me, della mia nevrosi consumistica! Come se non avessi letto il capitoletto su “ecologia e lettura sostenibile”), della vera e propria “tassonomia dei lettori” che si può ricavare dal libro: lettore made-in Istat (di almeno un libro) e lettori forti; il fantasma del “lettore medio”  e quello comune; il lettore morbido e quello mancato.

E, siccome si tratta di spiegare la lettura al non lettore, per concludere condivido l’invito di Ferrieri a ritrovare in noi il non-lettore, a confrontarsi con la dimensione della non-lettura.

 

 

10. – Altro video. Poi Nicoletta parla dell’esperienza dei gruppi di lettura nelle carceri e Marilena legge un pezzo esilarante di Cavazzoni sul libro come ricettacolo.

Ancora un video e, infine, invito al pubblico per eventuali interventi.

Nella grande sala cade un grande silenzio.

«Beh, se nessuno interviene, chiudiamo ridando la parola a Luca». 

 

11. – Tornando a casa, mi si affianca un’amica e mi domanda:

«Perché non sei intervenuto?...Mi aspettavo che prendessi la parola…».

«Sono stato tentato», rispondo, «ma ho esitato e, infine, ho rinunciato.»

« Cosa avresti detto?... »

«Non molto. Giudico il libro molto positivamente e ne condivido in larga parte l’impianto. Avrei potuto portare nel dibattito la mia storia ed esperienza di lettore e quella professionale (prima di insegnante e poi di dirigente scolastico), ma alcune osservazioni sulla “missione impossibile” della scuola le aveva già fatte Turchetta e non mi andava di riprenderle…»

«Condividi “in larga parte l’impianto”?!...Mi sembra una formula di circostanza!... Non fai prima a dirmi cosa non condividi?...»

«Antipatica!...Ce l’hai con la mia supposta diplomazia!...Tu hai letto il libro?...»

«No…»

«Allora, non rompere!... Leggilo!... Lo so che tu sei una super-maestra e, quando leggi una poesia, una fiaba, un racconto o un capitolo di romanzo ad alta voce, tutta la classe resta lì a bocca aperta ad ascoltarti e i tuoi alunni sono anche contenti di rispondere oralmente alle tue domande, fare esercizi di comprensione e compilare schede…Lo so che in queste tue azioni non vedi nessun attacco al “piacere della lettura”, ma tutte le maestre non sono come te!...»

«Neanche tutti i bibliotecari sono come Luca!...»

«Allora, cosa vuoi?...Dicendo che condivido in larga parte l’impianto voglio significare proprio questo. Che tra quella di Luca e la mia storia di lettore e di educatore professionale ci sono somiglianze e differenze. Le somiglianze sono parecchie. Siamo compagni di letture (devo dirti quanti libri della sua bibliografia anch’io ho letto?), di azioni (abbiamo animato insieme associazioni culturali e politiche, abbiamo discusso insieme e programmato riviste), di spiegazioni (nel senso di azioni che si dispiegano, che si rendono visibili, che si mostrano). In breve, abbiamo molti principi, pensieri, concetti, conoscenze, motivazioni in comune. Ma abbiamo anche storie diverse. A tre anni, ad esempio, io non avevo una mamma che mi leggeva storie. Sono diventato lettore a sei anni, a scuola. Ma lo sono diventato, soprattutto, grazie a una zia semi-analfabeta e a una nonna paterna. Nel libro di Luca le zie sono funeste per la lettura e la pedagogia (p. 57-60). La mia, no. Sulla mia iniziazione alla lettura, ho scritto una poesia: A sei anni, / ho letto e riletto  mille volte / i nomi delle  strade…La conosci e sai che finisce con: a Natale mia zia / mi aprì le pagine di un libro nero / mi esercitai sulle parabole / del Vangelo.

Ma quanto dura l’iniziazione? Il mio maestro, ad esempio, è stato per me un iniziatore o, come preferisce dire Luca, un aiutante. Ti ho raccontato del mio timbrar libri, insieme a lui, al Patronato Scolastico. Forse non si nasce alla lettura e non ci si inizia in un giorno, in un mese o in un anno.

In secondo magistrale, ad esempio, il mio prof. di lettere fu sostituito per più di un mese da un supplente. Era, lo ricordo benissimo, un giovane alto ed elegante, allampanato e pieno di tic: chiudeva continuamente gli occhi, arricciando il naso; storceva spesso la bocca al suo angolo sinistro e inarcava le spalle. A sentir le compagne di classe, un bel giovane. Anche attraente. Ma una frana, una vera e propria slavina del corpo. Ebbene, a far lezione era un portento. Quando spiegava un canto dell'Inferno immaginava sicuramente di stare all'Università, declamava i versi senza guardare sul libro, commentava e raccontava gli affanni filologici e le congetture di questo o quell'interprete, si soffermava insistentemente sulla “Lettera a Cangrande”, come se l’avesse ricevuta lui stesso, sulla necessità di comprendere i quattro sensi della Commedia e via con la citazione: “sensus parabolicus sub literalis continetur...”

 

“Scusi, signor professore, gli chiesi un giorno, dove ricava tutte queste notizie?...Sul nostro testo non ci sono...”

“Da Erich Auerbach...Ha scritto un libro stupendo che si chiama Mimesis...”

Inutile dire che, tornato a casa, misi in croce i miei genitori per entrare in possesso di quel libro. Padre e madre che a malapena sbarcavano il lunario, mi accontentarono e fecero comprare da Grazia, una ventenne che studiava a Napoli, i due volumi di Auerbach, pubblicati dall'Einaudi. Come descrivere la gioia di quel possesso?...Luca scrive bene: “l'iniziazione è una pratica, e ciò che avviene in essa è una consegna. Questo strumento appare come qualcosa in grado di dare piacere e potere: sappiamo che il rapporto della lettura con entrambe queste sfere non è privo di ombre e controindicazioni, ma la magia dell'iniziazione esige che ciò che viene consegnato sia in grado di cambiare noi stessi e la realtà che ci circonda” (pp. 49-50). Infatti, da quel momento cominciai ad andare consapevolmente oltre i confini dei libri di testo obbligatori e delle letture scolastiche...»

L'amica sta ancora lì ad ascoltarmi. Lo fa con un sorriso sulle labbra. Sa di avermi provocato. Mi chiama affettuosamente “pentolone di fagioli” e sa che, se comincio, divento incontenibile.

«Basta!...Basta! Ho capito...Non sei intervenuto perché temevi di parlar troppo...Ma qualcosa, qualcosa che non ti convince del libro di Luca c'è?...Me la puoi dire velocemente?...»

«Sì, la troppa insistenza sul piacere della lettura, io sposterei l'accento sul desiderio.

Si tratta di intendersi sulla parola “piacere”. Il piacere è ovviamente meglio del dispiacere ed è un po’ il contrario del “dovere”. Un atto di libertà non so se confina sempre col “piacere” e se è del tutto privo di “dovere”. Certi atti di libertà comportano, ad esempio, insubordinazione, sacrificio e, perché no?, anche morte. Il piacere può indurre comportamenti coatti. Gli esseri umani – e forse non solo loro – si ammalano di troppo piacere. Luca stesso definisce clinicamente il lettore un ammalato, una persona che ha contratto il vizio di leggere.

Per Freud, la malattia può diventare un rifugio e, se il piacere di leggere diventa un rifugio, forse chi lo pratica  perde molti altri piaceri. E’ vero che c’è piacere e piacere. Ma, per quanto erotico, sensibile, mosso dall’amore sia il piacere di leggere chi può mai sostenere che sia preferibile al bacio di una bocca tutta tremante? Qui, il mio prof. supplente si  sarebbe impegnato per ore a spiegare le due lectio possibili: “tutta tremante” o “tutto tremante”?...Che sia Paolo il tremante o la bocca di Francesca, ci siamo intesi!...Un libro sarà galeotto ma non sostitutivo di un bacio.

Un’attività può essere piacevole o spiacevole, facile o difficile, noiosa o avvincente, ma se è mossa dal desiderio, mobilita grandi energie psico-fisiche. E’ Luca stesso a sottolinearne l’importanza nella quattordicesima “variazione”, come lui chiama i capitoli.

In queste pagine parla di come il pianeta lettura sia abitato dalle donne e della “portata rivoluzionaria” dei due “nuclei concettuali” messi in campo dai gender studies: “la priorità delle relazioni sul dato (testuale) e la natura desiderante dell’atto di lettura” (pag. 164). E insiste: “Se una lettura non bussa alla porta del desiderio non bussa da nessuna parte. Il desiderio nasce dalla mancanza, ed è in qualche modo uno stato opposto al piacere, anche se necessario e complementare, perché il piacere sancisce la realizzazione e la fine del desiderio”. (pag. 165).

Ma dove mai si è visto, caro amico?!...Il desiderio è illimitato. Se ogni volta che ci congiungessimo con l’amata finisse il desiderio, l’amore sarebbe tutto un altro arcano. In sintesi, credo che Luca non tragga tutte le conseguenze da questo possibile cambio di paradigma: dal “piacere del testo” barthesiano al “desiderio” spinoziano è in gioco un’antropologia.

 

Un'altra costellazione di pensieri che non mi convince del tutto ha un punto nell’aforisma che recita: “Ogni uomo è ciò che legge”(pag. 121), quindi basterebbe studiare i libri della vasta bibliografia di Ferrieri per toccare con mano la sua identità. Non è così. E’ vero che ogni uomo si specchia nei libri che legge, ma lo specchio è il primo strumento capace di fornire la “rivelazione di un io sempre abitato dall’altro” (pag. 177). Su questo argomento non posso che rimandare Luca ad un bellissimo libro di Andrea Tagliapietra: «La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica.»(Bollati Boringhieri, 2008).

Infine, ed ho chiuso, tutta la costellazione di pensieri relativi alla nascita e ai riti d’iniziazione alla lettura, mi trova d’accordo. Io, però, gli darei, ed è comprensibile, una torsione più psico-pedagogica. Gli aiutanti, se sono semi-analfabeti o analfabeti come mia zia o mia nonna, rinforzano i sentimenti di riconoscimento e autostima del lettore in erba col solo fatto di fargli da pubblico di ascoltatori; se sono autorità istituzionali (maestri, professori) devono essere capaci di attivare il transfert e tenere a bada il contro-transfert…»

«No!...Non cominciare con la tua pedagogia!...» L’amica prontamente mi interrompe.

«Vedi, come mi reprimi?!...Allora, ho fatto bene a non intervenire. In pochi minuti rischiavo di dire soltanto parole di circostanza…Una “lettura ben fatta”, scrive Luca, deve cercare di rispettare l’intenzione dell’autore e i bisogni del lettore, deve essere fatta “in situazione”, calando “l’opera in un altro tempo senza sottrarla astoricamente al suo” e collocandola “nella storia personale del lettore, restituendo in modo compiuto il senso di un’esperienza, di un’avventura intellettuale (pag. 141)…»

«Bravo!...» Esclama con un po’ d’ironia.

Insieme ad uno sguardo complice, infine, l’amica mi regala un altro sorriso.

Intanto, il treno della metro, sta tornando all’aria aperta, sta arrivando a Cimiano, dove ho lasciato la macchina.

«Io scendo qui!... Qualcuno vuole venire con me ?...» Chiedo al gruppo dei colognesi. Nessuno.

Tre o quattro continueranno fino a Cologno in treno ed altri scenderanno a Crescenzago.

Le portiere si stanno aprendo. E’ il momento dei saluti.

 

12. – In macchina, ripenso al pomeriggio e alla serata. E’ andata bene. Ho dentro di me ancora molte immagini e parole, pensieri, concetti, storie. Lo stato emotivo e sentimentale è migliorato un po’. Penso ad Orfeo. La sua vicenda non mi sarebbe tornata in mente, se non avessi partecipato a questa bella iniziativa. Serendipity.

Grande personaggio, Orfeo. Capace di animare con la sua lira o con la sua viola d’amore tutti gli esseri viventi e non viventi. Peccato che per aver girato lo sguardo indietro non riuscì a riportare la sua Euridice sulla Terra. Fu trasgressione di un divieto quella sua. Forse necessaria.

Orfeo non avrebbe potuto salvare Euridice perché nessun artista potrà mai salvare la sua amata e riportarla in vita.

E’ proprio così.

Riportarla sulla pagina, però, si può.

Questo, sì. 

 

 

14 - 27 Ottobre 2011        

 

    

 

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Grandissimo Donato! Questo scritto l'avevo già letto giorni fa , mi sa che dobbiamo aprire un reparto per questi malati che non sono molti ! Non è un vizio è una dolcissima malattia , perchè vizio? Spero tanto che questa infezione si propaghi ma dicono che abbiano trovato il vaccino. NON VACCINATEVI! Io sono rimasta a bocca aperta leggendoti caro Donato ! Grazie a te e ad Ennio. Emy

Unknown ha detto...

Cerco di esprimere il motivo principale per cui mi è piaciuto molto questo sblocco in” notes “, di diario racconto, “donato” a queste pagine di un “altro “ libro ancora. Concetto chiave della biblioteca infinita del mio amatissimo Borges.
Il punto che congiunge è simbolicamente su due raggi dello stesso cerchio, nella/della stessa citta invisibile, che invece è visibilissima anche grazie al libro”donato”..alla fine mette a fuoco questo pi greco, e non a caso uso questo simbolo, visto il grechetto …
il mondo Libro, del vissuto di Donato, pur appartenendo a un suo vissuto che non conosco ma immagino diverso come lui non conosce il mio, porta allo stesso centro del discorso che dona quella possibilita di trasferimento al visibile, in cui abita l’apparente invisibile .
Tutto può essere preso come esempio, doppio nel doppio all’infinito, di questo trasferimento necessario a far respirare soggetti e oggetti da una realtà ( compresa la fantasia e l’invenzione per restituirne realtà) che altrimenti, se non venisse scritta e letta, rimarrebbe in ben altra malattia e (socio)patologia .
Faccio un esempio terra terra . Se io non avessi letto questo “libro” di donato , non si sarebbe incrementato in me il paradossale senso di ignoranza benefica in questo caso, quello di sapere che in tanto invisibile dentro la citta, vi sia invece quanto di visibilissimo traspare raccontandola, cosa che è in questo libro di Donato dentro altri libri.
Alcuna importanza deve avere per me(ipotetica e non ipotetica) se ne condivido lo stile, o il contenuto , le emozioni o le ragioni, la prosa o la poesia, perché basta aver avuto la presenza di questa traccia, appalesata da invisibile a visibile, quando normalmente il visibile che passa il convento,degli stessi luoghi articolati da Donato, è tutto tranne che fatto di queste tracce.
Deve essere stata la parola “metropolitana” la chiave magica che mi ha sollevata in quella buona ignoranza e deveaver fatto scattare anche questa volta il bisogno vitale(di buona malattia) che ho di animare il luogo in cui vivo di “presenza libro” continua.Tale da raccontare il luogo in altro modo , rispetto a come senza quella presenza lascia tutti alienati (consapevoli o no, non fa differenza), per come tutto appare devastato, innaturale, antiuomo e ti costringe continuamente a uno sforzo immane, che ti vivi facendo parlare in un tuo libro anche solo pensato, senza nemmeno bisogno di scriverlo, ogni cm in ogni secondo della città… tracce che nascondono “altro”, come il visibile portato alla luce in questo racconto.

Unknown ha detto...

Il vissuto è diverso, ma porta allo stesso cerchio, pur in andate e ritorni di direzioni opposte e con bel altri ritrovi e libri.

Basta anche un titolo, come per altri risvolti dice infatti Donato, per consumarsi di altro, dato da questa presenza libro.

Non è perché lo prendi fra le mani e gli occhi, o perchè lo vedi fra quelli negli altri viaggiatori di carrozze , in mezzo a passeggini,silenzio o chiachierriccio, nei titoli più idioti, o meno , a cui abbini o disabbini il volto di un altro libro, che è quello viaggiatore umano , come te , che lo accompagna.

E’ che cerchi di vederlo anche quando non c’è, soprattutto quando devi abbandonare il sotto per un sopra, che è tutto tutto nuovo, e che al contrario del Grechetto, dovrebbe far salire o scendere in piani molto piu banali rispetto ai suoi , o quelli di un libro, o quella di certi luoghi che emanano antico, dentro un altro antico dei ricordi.Eppure questi piani non funzionano piu nemmeno nel banale "trasporto" meccanico: la bruttezza del nuovo è tale perché nulla funziona, né su un piano né fra un piano e l’altro ..E se puoi arrivare al centro del cerchio , vicino al Grechetto, non vedendo l’ora di emergere dal sotto al sopra, dall’invisibile al visibile etc etc , non è così in direzione contraria, tutto sottosopra. Velocità schizofreniche ,del tutto elettorali..lentezze giallo nero per dirla alla Mayoor, e poi una buca nel deserto della Comasina. Non c’è ricordo ,o libro, o galleria a cui agganciarti . Ti tocca salire forzando i tuoi “piedi” su scale e ascensori tutti nuovi e tutti fermi , immaginando che la cinetica mazzettara è stata piu veloce degli impianti che saltano in continuazione.
Non c’hai nessun Grechetto ad aspettarti in cima alla salita e cerchi il tuo libro disperatamente, lo trovi fra le reti metalliche a protezione di topi e sterpaglie,in cui vedi un digitale di un vecchio orto sociale, lo fai parlare del suo contadino , aggrappandoti a un visibile che potrebbe da un momento all’altro scomparire in una colata di cemento per un “bel” parcheggio. Allora immagini un altro libro a raccontarne il trasloco da un orrore all’altro e ti fa dunque grande temperatura come il poster di Carlito’s way, poter leggere il racconto di Donato di un’altra pietra , della stessa città invisibile.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Continuo a diffidare della tesi barthesiana del "piacere della lettura", di cui Luca Ferrieri, amico di lunga data e tra i "silenti" della mailing list dei moltinpoesia (sarà che qui il piacere della lettura è assente?), è da decenni il portavoce nel suo lavoro di direttore di biblioteca e anche di redattore di "Poliscritture" a cui collaboriamo assieme.
Nè l'abilità suadente con cui Donato Salzarulo accompagna questo suo percorso, mi convince. E' vero anche che gli muove delle obiezioni.
Ne elenco alcune per essere preciso:
1. "Piacere della lettura? Indubbiamente. Ma anche rischi di rigetto, di bulimia culturale, di amori soffocanti";
2."Ma a scuola? Qui il piacere di leggere è vincolato al dovere. Mission impossibile";
3. "Il piacere è ovviamente meglio del dispiacere ed è un po’ il contrario del “dovere”. Un atto di libertà non so se confina sempre col “piacere” e se è del tutto privo di “dovere”. Certi atti di libertà comportano, ad esempio, insubordinazione, sacrificio e, perché no?, anche morte.Il piacere può indurre comportamenti coatti. Gli esseri umani – e forse non solo loro – si ammalano di troppo piacere. Luca stesso definisce clinicamente il lettore un ammalato, una persona che ha contratto il vizio di leggere. ".
Ma al massimo, anche lui, si sposta dal "piacere" al "desiderio":"«Sì, la troppa insistenza sul piacere della lettura, io sposterei l'accento sul desiderio".
Che per dirla in modi popolari, se non è zuppa è pan bagnato.
Ora io sarò testardo e passerò per un bacchettone in mezzo alla folla plaudente, ma devo ricordare che non sono d'accordo.
Lo avevo tanto tempo fa mandato a dire a Luca stesso così:

IL LETTORE FELICE

Vive dentro la città riciclata
ma solo nei quartieri residenziale
del testo
una nicchia quieta malinconica
non senza asperità e lacerazioni
o crepe.

Vi accoglie, dice, i simili.
Agli altri
a lungo o per l’intera vita
non lettori
naufraghi alle prese con gli squassi del mondo
imploranti salvagenti non parole
per pudore
offre del piacere
solo l’esempio.

Lo ribadisco ora. Con Luca e Donato siamo amici, ma lo resteremo meglio se ci diciamo in faccia le verità che pensiamo. E, sempre popolarmente parlando, "chi s'offende è fetente" [chi se la prende,è poco saggio; o ha la coda di paglia].
Intendo dire che ci sono libri importanti e saggi "pallosi" che col cavolo procurano "il piacere della lettura". Provate a leggere Das Kapital, per es.
Forniti della password "piacere della lettura", possiamo saltarli o neppure accostarli e sentirci persino intelligenti e modernissimi.
Ma saltiamo così anche zone pesanti della realtà che quei libri hanno indagato e le cancelliamo dalla nostra mente e dal nostro cuore. E così ci sentiamo tutti calvinianamente leggeri, mentre il mondo casca giù.

Unknown ha detto...

Ennio hai esposto mirabilmente quel sotto e sopra ,e anche quel dovere /piacere che intendo io ..pur non avendo i tuoi strumenti

.. diciamo però che pur essendo estranea a un gruppo di intellettuali( quale mi sembra di capire siete in collegamento con Luca e Donato), a te preme sempre il lato sociale, o sociopoltico(sia da lettore che da scrittore ,etc etc) rispetto ad altri che forse hanno altre strade, compresa quella "intimistica" , inserita comunque in uno scenario sociale, generato di per sé da quel convivio amicale,letterario, bibliotecario.

se io ho una visione che il movimento dal centro alla periferia, è diverso da quello che parte dalla perfieria al centro, ma entrambi sono due facce della stessa citta invisibile, fatta di corpi centrali e perifierici alienati dal proprio centro(mente/cuore), posso averlo proprio per "la fatica " che comporta la comprensione di un 'alienazione ante-litteram, compresa quella di escludermi o includermi la fatica di certi libri, rispettoo ad altri.

Non ho la conoscenza nel caso concreto dei vostri vissuti , della condivisione o separazione dal corpo di questo tuo " Il Lettore Felice", ma ci sarebbe da farne un post contro ogni ipocrisia e alienazione.

Anonimo ha detto...

Ad Ennio: Quanti come me leggono e scrivono per piacere? Tanti ? Pochi? Certo non ho letto e non leggerò mai il Das Kapital. Non leggo ne per sentirmi intelligente ne per sentirmi modernissima, ma per essere più libera leggo tutto , confronto mi faccio una mia idea del buono e del cattivo. Le letture scolastiche le ho quasi tutte dimenticate, ricordo a malapena gli autori. Ripenso invece con immenso piacere al mio primo libro s'intitolava "Miti, saghe e leggende antiche" era illustrato ed i racconti mi presero al punto che nessun gioco e nessuna buona merenda avrebbe potuto distrarmi. Quando leggo desidero ogni volta provare quell'emozione quel voler essere lì dentro quello che sto leggendo, quasi sempre ci riesco e se questa voglia tarda a venire lo chiudo ma aspetto altri tempi , più adatti a quel testo, che però quasi sempre non arrivano. Pazienza.l'Anna Karenina sarà il mio prossimo libro l'ho sempre sfiorato, letto un poco, chiuso e riaperto, mi attrae la sua scrittura perfetta , la storia, ma mi faceva paura ora è arrivato il momento , il piacere,la voglia ,l'immersione. Mi preparo come quando ci si prepara per incontrare l'amato. Che bello! L'intelligenza c'entra , non c'entra? Che ti devo dire a me basta la mia.Oh se avessi studiato con più energia !Non sarei cosi "intimista", ma che ci vuoi fare la vita con una mano ti da con l'altra ti toglie. Emilia

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Emilia:

A parte il fatto che non ho messo etichette ("intimista" ad es.), il problema non è di leggere Marx "per sentirsi intelligenti", ma per capire appena un po' di più il mondo, che di solito capiamo *anche* attraverso i libri che ci sono arrivati e che ci hanno appassionato.
Io non capisco perché bisogna leggere solo o soprattutto per il "piacere della lettura".
Non accetto quello che è diventato UN COMANDAMENTO, simile a quello di fare dieta o mangiare solo bilogico, ecc.
E' quest'accondiscendenza alla moda che non mi va. Sai quante cazzate si leggono con l'illusione del "piacere della lettura"? E quanti libri importanti non si sfiorano neppure più perché ci si è convinti che sono "pallosi" e basta?
Salire su una montagna alta è faticoso, ci vuole esercizio, allenamento ecc. E molti preferiscono passeggiare o fare jogging in pianura, perché è di moda o si sono convinti (li hanno convinti) che fa bene alla salute o così fan tutti/e. Ma se ho capito che bisogna salire su una montagna per vedere un altro paesaggio che in pianura proprio non si vede m'impongo il lavoro necessario per farlo.
attorno al '68 in uno scantinato di bar studiavamo libri "pallosi" di Marx insieme a operai immigrati mezzo analfabeti.
Lo facevamo perché ci eravamo convinti che servisse ad uno scopo politico che ci prendeva. Non per il "piacere della lettura".
Poi è andata com'è andata. e tutti si sono buttati a leggere per provare il "piacere della lettura" propagandato da Repubblica e dai vari rivoluzionari pentiti ospitati e pagati per fare i nouveaux philosophes. No, a me non basta la mia intelligenza. (Tra l'altro l'intelligenza non è mai "mia", è diffusa, è sociale). Né il "mio" piacere.

Anonimo ha detto...

Hai ragione Ennio hai davvero ragione, ma che ci posso fare io non riesco a fare nulla se quello che mi accingo a fare non mi piace. Quando faccio ciò che non mi piace lo faccio perchè sono obbligata a farlo, per il cosidetto dovere,che poi alla fine trasformo in piacere ma che in realtà non lo è. Che ti devo dire la mia intelligenza forse edonistica è mia se volete ascoltatela, fatene ciò che più vi aggrada ma è solo un prestito non la lascio al servizio di nessuno.L'amore che provo per il prossimo fa in modo che questa mia intelligenza abbia il suo giusto riconoscimento. Niente di più comprese le delusioni. Ripeto la vita con una mano ti da con l'altra ti toglie. Il mio sè non so quanto valga ma ho imparato a conoscerlo.La lettura a volte lo arricchisce a volte lo delude come la vita. Mille volte mi son sentita dire: Leggi questo o questo o questo, ti servirà- Giusto, vero, lo farò quando ne sentirò la voglia. Non sono o meglio non rispondo all'idea di intelligenza-cultura-sociopolitica ecc., vi prego non cercati di farmi sentire in colpa e qualche volta ascoltatemi forse ho cose da raccontarvi che di là non avete mai sentito...
Emilia.

Moltinpoesia ha detto...

Abate Ennio a Emilia:

Tranquilla e nessuna voglia di incolpare. Il mio discorso non è rivolto *a te*. E' rivolto a me, a tutti e a nessuno. E' rivolto a quell' *io-noi", che forse stiamo costruendo anche attraverso dialoghi e polemiche. Sono anni che dico certe cose e anche gli amici o le amiche a cui le dico vanno per la loro strada. Si vede che i tempi non sono maturi. E poi non è detto che non possa essere io a sbagliare.

Anonimo ha detto...

C'è una figura femminile che apre e chiede la recensione di Donato al libro di Luca, è una figura importante parla di vita e di desiderio.
E' uno scritto che ha uno stile inconfondibile, molto originale.
Grazie Donato, ti leggo sempre con... "piacere"
Giulia

Anonimo ha detto...

la lettura come piacere il piacere della lettura.. L'interpretazione di Donato Salzarulo ha il pregio dell'originalità nei contenuti e il dono della piacevolezza nell'esposizione.
Penso che il primo contatto con il libro sia quello dell'interesse per l'argomento e per l'autore, poi ,di solito, viene il resto.Da una lettura ne scaturiscono altre, da un autore altri autori.
L'importante è leggere con senso critico intelligenza,senza farsi fuorviare in questo dai messaggi che il testo trasmette.
Lo scritto di Donato mi è piaciuto molto perchè con percorso ,apparentemente leggero attraverso Milano, ci fa leggere luoghi, immagini (la sala del "Grechetto") ,rievoca persone e affetti.
L'ho seguito volentieri, mi ha fatto riflettere e mi nato il desiderio di saperne di più.
Maria Maddalena Monti

Anonimo ha detto...

Grazie a tutti per gli interventi e gli apprezzamenti. Il dibattito sviluppatosi è molto interessante. Non riesco a rispondere a tutti, a meno che non mi metta a scrivere un altro post di dieci pagine. Mi limiterò a toccare in questa replica cinque punti:

1. - Quando si diventa “librodipendenti” o “bibliodipendenti” penso che si possa correttamente parlare di “vizio” o di “malattia”. Se c’è dipendenza vuol dire, infatti, che si è di fronte ad un’abitudine, ad un comportamento coatto. Di vizio non parla solo Ferrieri. Lo fa, ad esempio, anche Vittorio Sermonti che intitola una sua antologia personale di letture proprio «Il vizio di leggere» (Rizzoli, 2009).
Il bibliodipendente è un “lettore forte”. Non si accontenta di un libro l’anno, come i lettori censiti dall’Istat. Ne legge più di uno al mese.
Comunque, stando ai dati Istat del 2009, il 45,1 % degli italiani di età superiore ai 6 anni ha letto almeno un libro non scolastico l’anno (25 milioni e mezzo). La maggioranza della popolazione si tiene ben lontana da questa pratica.
La fascia dei lettori saltuari (da 1 a 11 libri l'anno) è consistente: quasi 22 milioni di persone sopra i sei anni d'età.
Chi legge più di 12 libri l'anno, infine, rappresenta solo il 6,9 % (3 milioni e 900 mila).
Siccome il 20% dei laureati non legge MAI un libro, devo dedurre che la “passione di leggere”, se non vogliamo definirla vizio, non si contrae necessariamente frequentando le aule scolastiche o universitarie. Come si contrae?...Le ragioni che possono scatenare l’infezione sono sicuramente molteplici. Ognuno/a ha la sua storia più o meno singolare. Io ho detto la mia, Ferrieri la sua. Voi come siete diventati lettori forti?...

2. ”Il verbo leggere non sopporta l’imperativo” scriveva Gianni Rodari. Da qui l’idea, che non mi sembra balzana, del piacere. Forse, le letture fatte per piacere personale, risultano più proficue di quelle fatte per obbligo o per dovere. Piacere, in quanto sostantivo, è parola con diversi significati:
a) godimento fisico o spirituale (i piaceri della tavola, dello studio, della campagna)
b) divertimento, distrazione (un viaggio di piacere, una gita, ecc.)
c) onore, soddisfazione (E’ un piacere conoscerti!)
d) favore, servigio (Ieri ti ho fatto un piacere)
e) desiderio, volontà (Andò contro il suo piacere)
Si può negare che leggere possa produrre anche un godimento fisico e psichico? Si può negare che una poesia ben fatta, un romanzo ben architettato, un ragionamento ben condotto, un’invettiva ben costruita possano suscitare nel lettore un’intensa soddisfazione o un piacere intellettuale? Si può negare che si possano leggere libri anche per divertirsi e distrarsi? Gli autori impegnati, che hanno studiato (in questo caso leggere forse non basta!) il Capitale o i Grundrisse per capire come funziona il capitalismo, scrivono forse solo saggi? Non praticano mai le scritture comiche? Non possono ridere perché non possono dimenticare neanche per un minuto la tragedia, il male, l’oppressione, lo sfruttamento, l’infinito dolore del mondo sociale e non?...Ecco, mi sembra che non si possa negare questa dimensione “piacevole” del leggere. Anche quando si decida di leggere VOLONTARIAMENTE la “Scienza della Logica” o la “Critica della ragion pura”. Credo che nella lettura vi sia una dimensione estetica…persino erotica!

Anonimo ha detto...

3.– Se al leggere, oltre a provarsi a definire l’atto come fa Ferrieri, applichiamo qualcosa di simile alla Regola delle 5 W: “Chi legge…Cosa legge…Dove legge …Quando legge…Perché legge...” probabilmente riceveremo risposte diverse, legate a contesti sociali, storie, eventi. Io, ad esempio, nel decennio 1967-77 ho letto pochissimi romanzi e molti saggi.
Oltre alle cinque W, bisognerebbe aggiungere il “come legge”. Esiste una storia della lettura. Quella silenziosa, intensiva, fatta in isolamento, nella mente, è frutto di una “rivoluzione” avvenuta intorno al Settecento. Studiare, per i dettagli, oltre alla ormai classica «Storia della lettura» di Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, il bel libro di Rosamaria Loretelli «L’invenzione del romanzo. Dall’oralità alla lettura silenziosa» (Laterza, 2010).

4. - Ho cercato di spostare l’attenzione dal “piacere” al “desiderio” perché non mi sembra che l’uno sia zuppa, l’altro pan bagnato. Non significano, infatti, la stessa cosa. Cosa significhi piacere l’ho detto sopra. Il campo semantico di desiderio, invece, è:
a) aspirazione, moto dell’animo verso chi o ciò che procura piacere, o che è utile, buono, necessario (si può desiderare la rivoluzione, pur sapendo che non è un pranzo di gala!)
b) avidità, cupidigia (desiderio di vendetta, brama di piaceri sensuali)
c) senso di mancanza, di privazione, di bisogno (si desidera ciò che non si ha…)
d) ciò che si desidera (solo questo è il mio desiderio)
Desiderio (cupiditas) è categoria spinoziana. E mi meraviglia che Ennio la metta sullo stesso piano del piacere (categoria che nutre, in senso lato, filosofie edonistiche). Mossa dal desiderio (che può ricercare il piacere, ma non solo...il potere, ad esempio, dove lo mettiamo?), la lettura è atto culturale, vitale. Leggere con attenzione e passione, oltre che aiutarci a conoscere il mondo, ci mette nelle condizioni di poterlo trasformare; ci rende più liberi, più coscienti e consapevoli, più creativi, meno soggetti a pregiudizi e condizionamenti. Questo, in astratto. In concreto, meglio valutare caso per caso.
5. - Un’ultima cosa sul “piacere di leggere”. Che leggere soprattutto romanzi potesse essere un piacere o fonte di piaceri, prima di Barthes (che, in verità, parla di “piacere del testo”), lo pensavano fior fiore di autori, a cominciare dal Rousseau della “Novella Eloise” per il quale leggere romanzi rappresentava un attentato alla purezza femminile. «Le brave ragazze non leggono romanzi» è il titolo di un libro di Francesca Serra, che racconta questa vicenda. Le brave ragazze non devono leggere romanzi perché sono facilmente “impressionabili”, si immedesimano nei personaggi, sognano storie d’amore, non si accontentano della vita che conducono, si eccitano, si danno alla masturbazione, diventano ninfomani, ecc. ecc. Insomma, questi grandi maschi temevano proprio, guarda caso!, il piacere della lettura…
Buona domenica
Donato

Anonimo ha detto...

a Donato:

PIACERE d'averti conosciuto. Emy