giovedì 17 novembre 2011

Giorgio Mannacio
Ricerca interminabile
e da terminare


Questo intervento di Giorgio Mannacio ben rientra nel discorso sul destino della poesia. Avverto: non è leggero, eh! ( E.A.]

I.
Se l’attività poetica si manifesta e si conclude nella elaborazione di un testo di particolari qualità attraverso un lavoro continuo e pressochè sistematico, è impossibile che lo spirito costruttore non incontri sul proprio cammino spezzoni di altri versi ( concepiti in altro tempo e messi da parte dalla memoria ) o, ancor prima, brandelli di reminiscenze del più svariato contenuto. Ciò comporta, inevitabilmente , che nel progetto originario ( che è costituito da un obbiettivo finale da raggiungere attraverso l’uso di un determinato numero di parole disposte secondo un certo ordine ) si inseriscano stimoli diretti ad ottenere l’aggregazione alla prima fase di materiali non ancora strutturati o parzialmente strutturati.
Gli spezzoni o brandelli rappresentano, come i precedenti già inseriti in una certa forma , un momento dell’esperienza dell’autore che è discontinua ma tende a diventare un continuum se interagente con la prima serie di esperienze.
Gli elementi del secondo momento ( quelli non strutturati o parzialmente strutturati ) possono presentarsi come consonanti con quelli della prima o dissonanti rispetto ad essa , ma con tali termini non si intende esprimere una sorta di giudizio di valore. Si vuole solo indicare un criterio di selezione  tra esperienze diverse ma tutte proprie di un soggetto, esperienze che – nell’ordine del tempo fisico – possono essere di diverso senso e di divergente qualità.
Del resto tale rilievo ha scarso senso. Se si pensa al dato indiscutibile che una certa poesia ( in ciò simile a tutti gli altri prodotti del pensiero ) si fa “ nel tempo “  e che nel tempo si manifestano tutte le modificazioni delle nostre reazioni emotive, si deve ammettere che i brandelli rimasti sepolti ( perché selezionati negativamente per qualche  ragione ) possano riacquistare direzione e senso nel tempo necessario perché si sviluppi l’originario  progetto.
Il detto oracolare di Eraclito ( il sole è nuovo ogni giorno ) acquista , in questo particolare ambito, una valenza specifica. Si è indotti a pensare che la “ chiusura “ di un testo poetico, nel senso proprio di “scrittura dell’ultimo verso “  sia, teoricamente, impossibile e progetto vano. In effetti la ricerca poetica è, in sé, una ricerca interminabile perchè dato un gruppo di parole significative, le associazioni possibili sono pressochè infinite e, come si è detto, è il tempo a suggerirne, via via , di nuove.
II.
Non tutto ciò che è logicamente sostenibile si presenta , poi, nell’esperienza , umanamente praticato o praticabile. Il che impone di essere prudenti nelle conclusioni. Anche i poemi più lunghi – quelli che per loro intrinseca qualità presentano il maggior numero di associazioni , si impongono una fine ( ad esempio la morte di Ettore o il ritorno di Ulisse ). Anche i romanzi programmaticamente aperti alle libere associazioni si strutturano secondo un limite temporale di “ rilevamento dei dati “ ( vd l’Ulisse di Joyce ). Si sarebbe tentati di dire , se non fosse un rilievo banale, che ogni autore  interviene “ sulla natura “ ( la libera ed interminabile serie delle associazioni ) attraverso un momento di “ volontà e cultura “ ( un ambito limitato di associazioni ). L’esperienza del fare poetico sembra individuare una difficoltà a procedere per associazioni interminabili e a privilegiare, invece, la necessità, più o meno intensa, di un intervento di “ chiusura “.
III.
Lasciando da parte alcune considerazioni “ critiche” sul surrealismo che possono trarsi da tali osservazioni, sono , però, direttamente coinvolte , da esse, alcune conseguenze circa le diversità che si possono riscontrare tra “ poesia epica” e “ poesia lirica “. La relatività della distinzione e forse, più radicalmente, la sua stessa utilità nulla tolgono , mi pare , al rilievo che essa può servire a sistemare diversamente due diversi atteggiamenti dell’esperienza poetica.
Si potrebbe dire che la poesia epica ha – ad oggetto – un fatto “ storico”( cioè assunto come tale ), definito o  definibile nei suoi aspetti cronologici: inizia un certo giorno e finisce in un altro. Ne possono essere individuati anche i limiti tematici .Questo tipo di poesia “ impone” – per così dire – la posizione della propria fine. Essa si identifica con la conclusione della storia assunta ad oggetto ed essa può variare solo quanto alle modalità formali di chiusura ( il tipo di ultimo verso ).
Le cose sembrano necessariamente cambiare se oggetto della poesia è una “ emozione “. Uso ancora dei termini approssimativi ma di intuitiva comprensibilità.L’emozione non si identica col fatto generatore di essa,non si articola in vicende storicamente databili ( tale requisito prescinde dalla natura reale dei fatti narrati ). L’emozione è “ puntuale “E come tale non ha , propriamente, dimensioni né spaziali né temporali. Nel progetto di descriverla ( qui l’etimo ci aiuta in modo singolare in quanto contiene proprio l’atto dello scrivere : cristallizzare in una forma stabile ) non entra il fine di “ una storia “ che di fatto non esiste.
Nella narrazione ciò che è fuori dell’andamento lineare dell’evento narrato può definirsi “ digressione “ . Nella “ lirica “ è “ nuova associazione “ cioè aggregazione di “ emozione “ a “ emozione “. Quella interminabilità predicata  in linea generale per ogni tipo di esperienza poetica  assurge , in questo caso, a “ schema strutturale proprio “ . Si assiste, però, al verificarsi di  un curioso paradosso . La poesia lirica – strutturalmente interminabile – assume, nell’esperienza, una forma quanto mai concentrata  e breve. Si sarebbe tentati quasi di pensare che il poeta lirico finisca – di fronte all’ineluttabilità logica che scaturisce dalle premesse – per smarrirsi e provare un certo spavento di fronte ad esse. La naturale tendenza a porre “ limiti” ad ogni operazione ( anche, dunque, a quelle mentali ) si pone quindi in termini più rigorosi e più pressanti come risposta alla “ tentazione “ della interminabilità. Del resto il paradosso è solo apparente se si riflette che – nella sua essenza ( prescindendo cioè dalla catena delle associazioni ) -  la “ descrizione di una emozione “ non può essere “ se non puntuale “.
IV.
La sfida di quello che ho chiamato  “ poeta lirico” è dunque , nella prassi della sua scrittura, particolarmente difficile e presenta ancora una volta un apparente paradosso. Privato del “ limite naturale “ imposto al proprio lavoro dal “ termine della vicenda epica “ fissato a priori, il poeta lirico deve concentrare tutte le proprie energie nel “ discernere” ( quasi a posteriori ) a “ quale punto fermarsi”, quale è , cioè , la “ temperatura critica “ sotto la quale non si ha che gelo e oltre la quale non si ha che cenere. L’esperienza lirica, che parte da “ una emozione “, sembra esigere dunque, a mio giudizio, un quid pluris di intervento razionalizzatore e una più cogente guida mentale.

Giorgio Mannacio, ottobre 2011.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ah! Questa emozione! Non esisterebbe il poeta se non ci fosse l'emozione . Va guidata, celata come il diavolo nelle nuvole di Giotto, poi qualcuno la scopre e diventa importante...
Conosco bene le poesie di Giorgio Mannacio , emozioni sotto il manto prezioso delle sue parole. Dalla sua raccolta "Dalla periferia dell'impero" eccona una:

IL PESO DELLE PIUME

Impara a vivere con le ombre
Sono creature
anomale della luce, congetture
sui confini dell'esistenza.
La loro inconsistenza è una catena
tenace, anello
tra memoria e progetto
Non è il respiro che ne dissolve
il silenzioso, gentile aspetto
ma una amara,invincibile nostalgia.
Così senza fare alcun cenno
volano via.

Giorgio Mannacio

Anonimo ha detto...

P.s. il commento sopra è firmato Emy