«Come sai anche per me la lettura è importante. Con il mio
gruppo a Monza abbiamo letto (o riletto) in ordine Il Castello di Kafka, Ulisse
di Joyce, Proust Chez-Swan, Gogol Le anime morte, il Riccardo III e Antonio e
Cleopatra di Shakespeare. Ora stiamo leggendo Tolstoi e andiamo avanti con
le nostre regolette con grande soddisfazione». Paolo Pezzaglia, amoroso cultore
dei miti, lo sguardo volto ad Oriente, contro il Lucifero (televisivo) propone
l’antidoto del circolo di lettura. E gli trova antecedenti antichissimi: i circoli che si formavano
spontaneamente, di notte vicino al fuoco nel mondo contadino. «I
circoli di lettura hanno un’incredibile forza magnetica, tutta da esplorare ed
utilizzare», dice. Non ci avevo pensato, ma
da sempre, quando ci riuniamo in
Palazzina Liberty, ci mettiamo in circolo per discutere. Magnetismo o spirito democratico? Nel circolo di
Pezzaglia si legge «bene, lentamente, a voce alta, senza esagerare;
un tono medio leggermente impostato, senza voler fare gli attori». Ma è meglio
lasciargli la parola…(E.A.)
Ho recentemente organizzato
un mio piccolo circolo di lettura.
Se dicessi che è stata
un’idea mia, originale, sarei un po’ troppo
egocentrico e, in realtà, è invece solo una vecchia storia: niente
invenzioni, né privative quindi.
Io sono sempre alla ricerca
di qualcosa che smuova la coscienza, la mia per prima.
L’amata preda è sempre lei, Sofia, la conoscenza, sorella della
coscienza…ma avendo la fatale tendenza ad assopirmi, ho ritrovato con gioia
questo vecchio arnese dimenticato, come nuovo! La lettura ad alta voce!
Potrebbe essere considerata
una strana vecchia mania, un po’ da stranotti, come dicevano una volta i
milanesi bene.
Con il gruppo, meglio se
disposto in circolo, la voce ritrova il suo antico splendore e il testo nuova
vita: si ricrea così quell’antica elettricità, quella sensibile magia che fa
vibrare il classico, collaudato testo letterario che abbiamo scelto. Era
rimasto in attesa per noi. Pazientemente addormentato sul suo scaffale.
A volte quasi un antico
fossile…e sembra rivivere. La sua bellezza riappare.
Così si materializzano i
vecchi poeti cantori, tra i quali “quelli” che chiamiamo col solo nome di Omero…in realtà un susseguirsi in fila di
Omeri…ispirati da muse e dei così vicini…che gli soffiavano direttamente negli
orecchi, col flauto di Pan, con la cetra
di Orfeo. La divina ispirazione dei poeti, che non muore.
Il migliore, o forse solo
l’ultimo, quello che aveva cominciato a perdere la memoria, il nostro Omero,
aveva dovuto scriverlo, il manoscritto
greco che ci è arrivato. Anche se l’ultima ipotesi lo dice turco di Smirne, o
giù di lì, per stare alla nostra geografia.
Così era avvenuto in culture
sorelle, quelle del Mahabarata, di Gilgamesh, delle Saghe Nordiche, insomma
tutte le antiche storie. Allora i circoli si formavano spontaneamente, di notte
vicino al fuoco, ad ascoltar quello straniero ispirato, magari cieco, o
accecato (la cosa sembrava favorire l’ispirazione…) considerato magari un pò
balengo, che, a memoria, scaldato e spinto forse dal vino (è una vecchia
tradizione) cominciava a raccontare ancora quella vecchia storia della guerra
di Troia…nessuno in paese meglio di lui… e come si scaldava, giocando con
parole e pause. Il risuonare delle rime prendeva gli ascoltatori, commuovendoli
ed entusiasmandoli fino a quando anche le braci cominciavano a spegnersi. L’ora
era ormai tarda, lo confermavano le stelle, e portava sonno e sogni… il suono,
il canto di quelle parole risuonava fissandosi nelle menti, anzi in quella
memoria più alta che alcuni chiamano oggi subconscio, perché non conoscono
l’Akasha, o hanno dimenticato Mnemosine, madre delle muse, la Memoria appunto…
Sembra che Elemire Zolla
dicesse, ma non saprei più dire dove l’ho letto o sentito dal suo allievo (e
mio maestro) Francesco Solitario, a chi gli parlava di cinema e televisione:
“ma io ho i miei sogni da seguire non mi interessano quelli degli altri…”
Quelle attività oggi tanto celebrate, che certi nostri personaggi supponenti
(lascio a voi di individuarli) scambiano per la più moderna delle culture, sono
state escogitate (è solo una mia insana ipotesi!) da qualche superiore autorità
di dubbia anzi maligna ontologia.
Le cose facili infatti ci
attirano sempre più, il mondo stesso diventa sempre più facile, e allora, che
cosa c’è di più dilettevole, quando non si è più ragazzi col sangue in
ebollizione e voglia di andare, che lasciarsi andare sulla nostra poltrona,
scivolando sempre più giù, nel modo più informale e privato?
“Sono a casa mia,
stravaccato davanti allo schermo e lo comando, pigro e insoddisfatto con la
potenza acquisita del telecomando. “Padreterni siamo”, ci suggerisce il vecchio
Lucifero, con l’accento palermitano dei padrini televisivi… lui, mago com’è, si
sa frantumare come Proteo in mille personaggi: sullo schermo poi fa di tutto e
si diverte: fa il presentatore, l’intrattenitore, il comico, le veline (meglio
la quantità)… chi più gli resiste? Lui sta facendo il suo lavoro, si cura coè
della nostra rovina finale, nel dettaglio e alla grande. Come poteva meglio
gestire la cosa con tanti miliardi di umamoidi in giro sul mondo? “Manca il tempo e dobbiamo chiudere…” dice
sempre più indaffarato, e nello stesso tempo cerca di darti anche quel senso di
tranquillità così necessario appunto per noi modesti padreterni, per il momento
ancora ben nutriti.
Così io, sempre modestamente
(perché cosa posso farci io?) ho reinventato i circoli di lettura, come cura,
come antidoto. L’acqua calda dirà qualcuno. Dica pure.
Io propongo la lettura,
quella fatta a voce alta, in gruppo, in circolo, perché è vero l’unione dà
forza.
E’ il cerchio (diciamo concentrarci, infatti) che aiuta.
I circoli di lettura hanno
un’incredibile forza magnetica, tutta da esplorare ed utilizzare.
Ho provocato amici ed amiche
(tra le quali ovviamente la mia Fiò, quella che io chiamo la mia prima moglie).
Hanno risposto le amiche. Gli uomini si sono defilati. Sopravvivranno solo
spiriti femminili? Nell’Empireo intendo. Penso di sì.
Ho avuto lo stesso anche
qualche resistenza iniziale, a volte giustificata data la novità della cosa:
“ma perché proprio Kafka, l’ho letto a vent’anni, forse non l’ho finito
neanche, non lo reggo…”
Ho tenuto duro: “non vorrete
leggere il solito ultimo bestseller…quello leggetevelo voi, se volete…”
Così, con qualche incertezza
iniziale, con qualche mia egocentrica durezza, ma sempre con maggior
entusiasmo, abbiamo proseguito, leggendo bene, lentamente, a voce alta, senza
esagerare; un tono medio leggermente impostato, senza voler fare gli attori,
ma con l’intenzione ben chiara di voler
capire, di far risaltare quello che lui, Franz, nel nostro caso, aveva voluto
mettere nel testo. Quel testo che lui amava fino volerlo distruggere perché non
si sentiva più in grado di perfezionarlo e si sentiva mancare le forze. Era il
suo ultimo libro “Il Castello”, era malato, e niente più lo soddisfaceva, e non
sapeva più come andare avanti. Il fallimento di autore ed opera insieme. Ma
Max, il suo amico che gli aveva detto di sì - l’avrebbe bruciato nel caminetto - e poi invece se lo
tenne ben caro, fortunatamente.
Anche Franz l’aveva letto
agli amici, forse in circolo, e, con quelle situazioni angosciose senza scampo,
s’erano fatti, dicono, delle gran risate… perché il tragico confina con la
comicità, nella commedia umana, nelle svariate miserie che continuano a
perseguitarci. A volte gli amici non sono poi così gentili, in vita…poi, nel
ricordo, magari ti rivalutano.
A volte, spesso, gli amici
amano più ridere che capire…
Io non amo questa mania
molto diffusa di esaltare tanto i nostri comici: i nostri fatui, o accaniti,
ridolini televisivi per esempio, in molti casi si atteggiano a supponenti
padreterni.
Ci rido anch’io, a
volte, ma con diffidenza.
Mi piace la satira, ma non
quella strumentale, a senso unico.
Il nostro circolo di
lettura, a un certo punto è divenuto
“Circolo di Lettura Franz” in onore del
nostro primo autore.
A far fuori Il Castello
c’abbiamo messo una decina di riunioni. Rigorosamente un’ora di lettura, tutti
i lunedì alle 5 di pomeriggio. Abbiamo capito subito che bisognava rispettare
una certa disciplina. Niente tè, niente pasticcini, solo la possibilità di un
sorso d’acqua in corso di lettura, a gola secca…
La lettura viene appunto
fatta in circolo, a turno (perché ormai siamo più democratici rispetto ai
circoli antichi così come li ho rievocati): cinque, dieci minuti per ciascuno,
in senso orario, o al contrario. Va bene tutto, ma ci vogliono delle regole da
rispettare. Io suggerisco le nostre per incominciare…
Dopo un po’ di volte si
legge così volentieri che non si vorrebbe
smettere più…ci vuole una clessidra, a trovarla, o uno che dirige,
“tocca te”, ma sembra sempre di togliere a chi sta leggendo...
Occorre mantenere una
posizione impegnata, a testa eretta, il mento leggermente rientrato, senza
farsi accorgere…perchè è essenziale la massima semplicità di tutti. Via, via
procedendo nella lettura si migliora, la cantilena che spesso vizia la lettura,
o altri difetti si attenuano da soli e…il testo appare nella sua forma
migliore: le parole risuonano come forse l’autore avrebbe voluto e “ce lo
sentiamo seduto a fianco”.
“Che cosa leggere” è
l’argomento più difficile: i libri, anzi
gli autori stessi si affollano,
tutti col loro libro in mano, dietro a chi li propone…si discute e alla fine si
prova a votare, come in tutte le assemblee per bene. Ma prima abbiamo fatto
degli assaggi. Alla fine l’ha spuntata, tra molte perplessità di tutti,
l’Ulisse di Joyce. Mammamia. Tutti
l’avevamo iniziato, nessuno portato avanti a tanto meno finito.
Un’impresa. Proviamo. Nelle letture preparatorie e silenziose che avevo voluto,
come responsabile del minigruppo (uno ci vuole) avevo perso tutti gli
entusiasmi iniziali. Così era successo con tutti gi altri precedenti tentativi
di leggerlo. Stò benedetto flusso di coscienza. Spesso strampalato e spesso
imbarazzante. Lungi da me l’idea di offendere le più “timorate” signore del circolo
col linguaggio forte di Joyce. Eppure l’esperimento della lettura a voce alta,
con gli accorgimenti della giusta lentezza, della concentrazione,
dell’emissione di voce neutra, non teatrale ma comunque impegnata, sta portando
in evidenza un testo bellissimo, nella sua estrema complessità e ricchezza.
Siamo ancora agli inizi. Vedremo come va a finire. Vi saprà dire, alla prossima
volta. A proposito anche a me piacerebbe sapere se qualcuno di voi vuole fare
l’esperimento della lettura in circolo così come ho cercato di illustrarvela.
Sarò molto contento se mi scriverete su questo argomento, ecco il mio
indirizzo: ppezzaglia@gmail.com Ciao, ciao.
1 commento:
Caro Paolo, anche nel mio gruppo ( oddìo gruppo, siamo in tre più uno scultore, più amici occasionali) siamo soliti leggere qualche brano ad alta voce, ma rigorosamente di poesia. Poi commentiamo come viene, quando viene, finché si passa ad altro. Essendo in pochi non abbiamo ritualità particolari, e spesso le poesie le scegliamo a caso per il gusto della sorpresa o della riscoperta.
Questo della lettura ad alta voce però non è il centro del nostro lavoro. Appena pronti usiamo la voce per improvvisare versi. E anche noi ci siamo dati una ritualità (delle regole), di solito tre minuti a testa. Per l'improvvisazione di solito non commentiamo perché è bene rispettare la ricerca di ciascuno. L'importante è dare spazio, attenzione, e se capita anche disattenzione, tanto quando ti tocca lo fai comunque. Poi improvvisiamo insieme, a più voci e non sempre dialogando.
Abbiamo una videocamera che riprende il tutto, beviamo, fumiamo, ridiamo...
Il nostro quindi non è esattamente uno studio, seppur magico e rinvigorente come dev'essere il vostro, è un evento creativo. La lettura in se' è un piacere, un modo per darci delle misure. Penna, Zanzotto, ultimamente Balestrini... i poeti sono anche la nostra ricchezza. Ci fanno stare bene e ci fanno compagnia nei nostri sforzi.
mayoor
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