giovedì 15 dicembre 2011

Ennio Abate
Sulla gestione dellle "buone rovine"
di Franco Fortini



UNA PERSONALE, EXTRA-ACCADEMICA, OPINIONE.  

«…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela vostra, trasformatela. Combattete!’ »
(Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani,  Boringhieri, Torino, 2000)

1.

Nel dibattito dei moltinpoesia  ho, quando ho potuto,  richiamato l’attenzione su Franco Fortini (1917-1994). Su questo blog tra l’ottobre e il novembre 2010 ho dedicato vari post (si trovano facilmente scrivendo il suo nome in ‘cerca’)  per commentare una sua intervista del 1993 concessa alla RAI, «Che cos’è la poesia». È un esempio di discorso extra-accademico (non automaticamente antiaccademico) sui suoi scritti  e la sua figura, che per me ha una lunga storia alle spalle. Fortini ha influenzato  indirettamente la mia ricerca (qui), pur restando per me, anche quando ho avuto modo d’incontrarlo di persona, «maestro a distanza». Quel mio rapporto con lui fu tardivo e problematico, ma profondo; e ne ho dato un dettagliato rendiconto (qui).
Dopo la sua morte nel 1994, ho - prima in samizdat poi sul Web[1] - praticato, com’egli suggerì, un buon uso delle rovine: della tradizione culturale e politica del comunismo (usiamola questa parola, anche se sporcata, demonizzata e divenuta incomprensibile ai più); e, quindi, anche dei suoi libri, che alla storia di quel grande movimento, in modi sempre vigili e sofferti, si richiamarono senza i pentimenti o gli sbrigativi autodafé di tanti voltagabbana.
2.
Se escludo due iniziative pubbliche, promosse nel 1995 dall’Associazione «Ipsilon» di Cologno Monzese, dove abito - una raccolta di «testimonianze» su Fortini, diventata poi libretto; un ciclo di incontri sui suoi scritti, intitolato Ladri di ciliegie e organizzato presso la Biblioteca Civica della stessa città - in seguito ho potuto discutere di Fortini episodicamente e quasi sempre in privato. L’ho fatto con amici e conoscenti, presunti o reali “fortiniani”, alcuni disponibili e amichevoli, altri professorali e spesso (non so perché) diffidenti e ostili. Constatando uno scarto crescente: mentre io ho continuato ad attribuire a Fortini e ai suoi scritti un significato positivo - partigiano, metaletterario, metapolitico - i miei interlocutori,  per lo più come me provenienti dalle esperienze di “nuova sinistra” degli anni Sessanta-Settanta, se ne allontanavano esprimendo varie riserve.

3.
Intanto, attorno al 1996 se non sbaglio, grazie al lascito da parte della moglie - Ruth Leiser Lattes - all’Università di Siena  del suo archivio privato era stato fondato il Centro Studi Franco Fortini; e cominciavano a uscire i primi volumi della rivista «L’ospite ingrato», ora anche on line. Partecipai con entusiasmo, muovendomi a mie spese tra Cologno e Siena, ai primi incontri promossi dagli amici di lunga data di Fortini. C’erano Edoarda Masi, Cases,  Mengaldo, Raboni, Ranchetti, Nava, Luperini e molti altri. Pensai di aver trovato il luogo pubblico, privilegiato addirittura, nel quale continuare assieme ad altri la riflessione sulle opere di Fortini. Non mi sentivo né un pesce fuor d’acqua né un intruso, incoraggiato anche dalla presenza a questi primi incontri di molti altri “fortiniani di strada” come me. Non  andò come speravo. L’ipotesi, pur ventilata nei primi tempi, di un confronto “dialettico” tra accademici e non accademici, da  praticare magari in incontri seminariali su “temi fortiniani”, dileguò presto; e l’accademizzazione del Centro prevalse.  
A scanso di equivoci, non ho mai svalutato un serio lavoro accademico, cioè  specialistico, sul lascito fortiniano (o più in generale), anche perché all’università di Siena Fortini  operò intensamente e per una fase lunga e importante della sua vita. Basta, però, sfogliare alcuni numeri de «L’ospite ingrato», per  rendersi conto  sia dell’ottimo lavoro archivistico e di commento ai testi fortiniani e persino di un rilancio attualizzante di alcune  delle sue questioni di frontiera; sia, però, del taglio quasi esclusivamente accademico di  gran parte dei testi ivi pubblicati.  Io mi aspettavo, invece, una modalità di lavoro da «gruppo aperto»[2] (o abbastanza aperto); e col tempo il Centro Fortini  mi è parso accartocciarsi in ambiti esclusivamente interuniversitari. Si è affermato pure, a mio parere, un canone interpretativo: un “Fortini per tesi di laurea” da una parte; e un “Fortini poeta” contro o a scapito del “Fortini ideologo”, e cioè politico e comunista, certo fin troppo in primo piano nei poi vituperati anni Settanta.
Tale canone, sempre a mio parere, ha depauperato o velato gli aspetti combattenti dell’eredità fortiniana e ricondotto anche il Fortini più “ingrato” nell’alveo di un umanismo davvero tradizionale o eccessivamente “etico-profetico”. E  proprio mentre una cultura umanistica, incapace di uscire da certi  suoi storici limiti elitari e in  crescente difficoltà rispetto al salto politico-tecnologico e globalizzante del Capitale, si indeboliva, allentando i suoi già tenui legami con Marx usando come alibi la cosiddetta «crisi del marxismo».

4.
Ho avuto poi  solo un’altra, isolata, possibilità di confrontarmi   pubblicamente su Fortini in un ciclo di  incontri (catacombali) organizzati in occasione del decennale della sua morte dal «Punto Rosso» di Milano nell’aprile 2004.[3] Al più importante convegno senese «Dieci inverni senza Fortini», sempre del 2004,  non fui invitato neppure tra i “relatori di contorno”; e ho letto per conto mio gli atti. Nel frattempo, del resto, quasi tutti i “fortiniani di strada”, che avevano affollato con me i primi incontri del Centro, si disperdevano. E, dopo qualche vano tentativo di far presente i limiti di un lavoro da «gruppo chiuso», io pure ho seguito  con crescente distacco e da lontano le sue attività, preferendo intervenire occasionalmente e da isolato esodante (nel 2007qui e  nel 2010 qui).

5.
Su questo blog del «Laboratorio Moltinpoesia» - «gruppo aperto» ed extra-accademico, che a scanso di illusioni spontaneiste o di snobismi all’inverso  ha  anch’esso inconvenienti non trascurabili -, nelle ultime settimane si stava riavviando,  sia pur in modi approssimativi e contraddittori, una discussione della figura di Fortini e della sua eredità. Le prime tappe  le vedevo: 1. nel rilievo, per me sorprendente, che Giorgio Linguaglossa ha dato alla figura di Fortini nel suo recente Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana dal 1945 al 2010 (e ho dichiarato subito  il mio interesse per questa scelta: qui); 2. nel «Commento al commento di Erminia Passannanti sulla poesia  Neve e faine di Fortini» sempre di Linguaglossa (qui); 3. in uno scambio sull’eredità di Fortini di mail e commenti sul blog tra me e Erminia Passannanti. Lei ha difeso la tesi del “Fortini poeta” ed io - niente di terribile, credo - ho riconfermato un mio dissenso. Che è di lunga data. Lo dimostra una mia lettera del 2000 - qui - a Luca Lenzini, che quella impostazione accoglieva fin nel titolo di un suo accuratissimo studio, Il poeta di nome Fortini (Manni, Lecce 1999).

6.
A me pare importante che un tale ripensamento prosegua su questo blog e nel «Laboratorio Moltinpoesia» con chiunque - fuori o dentro l’accademia - ci sta e lo considera utile. Per me l’opera di Fortini è un falò che ancora brucia. Credo che quelli che ne sentono l’esigenza e l’urgenza possano avvicinarsi, non  solo per scaldarsi, ma per rifornirsi di buoni tizzoni con cui illuminare il buio in cui ci siamo venuti a trovare. Ridiscutere, perciò, alla fine del 2011 e in un Paese politicamente e culturalmente alla deriva, la sua figura,  le sue poesie e le sue  prose, permetterebbe di recuperare una potenza di riflessione oggi del tutto mancante nei discorsi che trattano di poesia e letteratura. Lo dovranno fare  soprattutto i giovani; e vincendo una tendenza a vedere in  Fortini, sì, un maestro, ma quasi esclusivamente  un “maestro letterario” che potrebbe  giovargli  per una carriera professionale, trascurando proprio il Fortini più ingrato e, cioè, il critico della poesia e della letteratura. Certamente Fortini  va considerato un classico da riusare  tenacemente, ma non per inserirsi nei riti postmoderni  prevalsi nelle università, nell’editoria  e nello stesso Web. Piuttosto per combatterli. (Tutte da rileggere e commentare, ad esempio, sarebbero le due voci Classico  e Letteratura nella vecchia Enciclopedia Einaudi). Inoltre  penso che questo riuso debba porsi l’obbiettivo di scegliere tra i suoi scritti e delineare, se non un “Fortini per tutti”, un “Fortini per molti” (diciamo pure ambiziosamente per i moltinpoesia). Sicuramente  non più un  “Fortini per pochi”, se per ‘pochi’ s’intendessero gli intellettuali accademici odierni, in genere, tranne eccezioni, sempre più scoloriti e «gruppo dominato della classe dominante» (Preve).  
Varrebbe la pena allora di  rileggere  gli Atti del convegno del 2004 «Dieci inverni senza Fortini» e, distinguendo contributo per contributo,  criticare la parte che va criticata. Smontare e rimontare quel volume ricco di saggi (ponderati e/o ponderosi)  per scegliere ciò che serve oggi a noi, che abbiamo altri tipi  di interlocutori, di possibili destinatari e di problemi. Nel far questo dobbiamo tener conto dei mutamenti avvenuti (che non significa adeguarvisi). Si è avuta una cesura totale - «non c’è più religione, non c’è più comunismo» - tra l’epoca vissuta da Fortini (e Pasolini) e quella in cui noi ancora viviamo. In questa credo che dovremmo muoverci  da esodanti e contrabbandieri. È una posizione malvista, che  ci renderà indigesti sia agli “umanisti”   sia agli “scientifici” troppo convinti di sé, oggi ancora più contrapposti tra loro. Ma è la più adatta per  scegliere tra le rovine quelle buone  e nel nuovo ciò che non si riduce a «vino dei servi».

15 dicembre 2011





[1] Cfr. la rivista “povera” «Laboratorio Samizdat» e la rubrica Nei dintorni di Franco Fortini su «Poliscritture» (cartaceo e sito: http://www.backupoli.altervista.org/rubrique.php3?id_rubrique=31).
[2] I termini ‘gruppo chiuso’ e ‘gruppo aperto’ fanno riferimento a uno scritto di Elvio Fachinelli ched ho ripubblicato di recente qui.
[3] Cfr. «Se tu vorrai sapere…». Cinque lezioni su Franco Fortini a cura di Paolo Giovannetti, Edizioni Punto Rosso, Milano  2004.

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