domenica 22 gennaio 2012

CRITICA
Giorgio Mannacio
Variazioni non canoniche
sulla immortalità della poesia



1.
Oggi che la poesia è diventata per molti oggetto di banalità quotidiane è forse arrivato il tempo di svolgere alcune variazioni di pensiero sulla sua immortalità.
Che la poesia sia immortale è affermazione comune. Essa è più vera e al tempo stesso meno impegnativa e importante di quanto appaia.
Si può iniziare una analisi non canonica di essa dall’osservazione  – senza illusioni – sul destino delle grandi opera di architettura. Al pari delle case dei terremotati, anche le Mura Aureliane si stanno sbriciolando . Il sito archeologico di Pompei conosce altra cenere. Nella prospettiva del tempo storico di lungo periodo, di tali gioielli nulla rimarrà in piedi. Se ipotizziamo – cosa possibile date le nostre enormi capacità tecniche – che essi possano essere ricostruiti “ come se la distruzione non fosse avvenuta “ , è onesto riconoscere che si tratterebbe comunque di “ cose  diverse dall’originale “ , di “ copie o falsi “ .
Identica sorte attende opere mirabili della pittura. Identicamente ipotizzabile, cioè, sia la loro fine sia la loro riproducibilità come “ falso “ in senso proprio ( se la quantità e qualità dei restauri finisce per sostituirsi al dipinto ).
Per tali manifestazioni artistiche dello spirito umano si può dire che l’immortalità è assicurata da una serie più o meno perfetta di falsi.
2.
Per la poesia le cose si presentano in modo diverso.
All’inevitabile usura del foglio sul quale è scritto un testo poetico, si può ovviare indefinitamente
con la riproduzione del testo attraverso le tecniche di riproduzione tradizionali ( il cosiddetto ‘cartaceo’ nella terminologia informatica ) o le più sofisticate dell’informatica stessa.
Ma tale riproduzione non è “ un falso “.
Il passaggio tra quello che sta prima del foglio e che è per così dire pronto nella mente per essere trascritto   e quello che sta dopo ( il foglio scritto ) non esige altro intervento sulla “ materia “ ( il marmo, la tela, i materiali da costruzione ) ma semplicemente l’inerte esternazione della cifra mentale , rispecchiamento che , a certe condizioni, si può ripetere all’infinito.
Le condizioni sono: a) o la trasmissione del testo attraverso l’oralità praticata da tutti gli uomini a venire ; b ) o la trascrizione del testo su un materiale che “ non fa parte della parola “.
Ma sia la prima ipotesi che la seconda non realizzano la conservazione mediante “ restauro” bensì la mera riproduzione della parola in sé.
In un certo senso si svuota la “ questione omerica “ se intesa come ricerca quasi poliziesca dell’autore  dei due testi famosi e resta – invece – la loro oggettiva presenza, materia di analisi critico/estetica e anche storica ( dal punto di vista del rapporto tra tempi e descrizione di fatti e luoghi ).
Il testo poetico, una volta concepito, impone la sua esistenza e non incontra alcuna “ resistenza “ o “ opposizione “ da parte della materia. Sotto certi aspetti – assimilando le note ai segni dell’alfabeto – poesia e musica si assomigliano più di quanto non sembri. La poesia si può dire “ a memoria “ e i talenti musicali suonano senza spartito.
Se un poeta vivente scrivesse L’Infinito di Leopardi  sarebbe non  un falsario, ma un copista. Se un pittore vivente rifacesse a puntino La Tempesta di Giorgione non sarebbe La Tempesta di Giorgione ma un falso Giorgione.

3.
La poesia è dunque “ immortale “ perché una volta scritta è suscettibile – nell’arco indeterminabile della storia umana – di non venir mai meno in quanto riproducibile all’infinito senza interventi umani che “ la riscrivano in modo originale”. La poesia – qualunque poesia – ha un solo originale.
Si può pensare – a questo punto – che la reiterata affermazione dell’immortalità della poesia , l’orgogliosa affermazione oraziana dell’aere perennius si fondi sulla consapevolezza di questa sua caratteristica . La quale riposa – curiosa ambiguità propria delle vicende umane – proprio sulla sua fragilità naturalisticamente intesa .   Verba volant, è vero. Come ricorda Dante si disperdono al vento i responsi della Sibilla. Ma scripta manent. E il mantenimento dello scritto sarà sempre “ lo scritto delle origini”.
Dunque, poeti piccoli o grandi, una stessa sorte li accomuna tutti.
( Coda “ politica “ : a patto di essere graditi a qualcuno che ci ristampi ad infinitum )

Giorgio Mannacio, gennaio 2012.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Giorgio, come hai ragione...devo trovare il modo di incidere qualche poesia su lamina di rame, seppellirla in un posto sicuro prima di mettermi finalmente tranquillo ad aspettare la fine...
Devo prima meditarci e su sceglierle bene: le lamine di rame non si possono sprecare, se la cosa si diffonde diverranno carissime...
Paolo Pezzaglia

Anonimo ha detto...

Scrivere è lasciare la tua vita in mano agli altri a tutti senza prezzo come l'amore che dai nel caso fosse amore . Ognuno ne farà ciò che vorrà ma che t'importa se sei poeta davvero non t'importa. Emy

Anonimo ha detto...

Moltiplicabile sì, ma non ripetibile.
Per anni ho fatto pittura digitale, questo genere di pittura non ha un originale di partenza che si possa riprodurre, l'originale consiste in una serie di informazioni numeriche e se ne sta sepolto nel computer. Ne diva che ogni stampa è un originale, non una copia di qualcos'altro. Ovviamente, e più ancora che per qualsiasi giudizio estetico, ne va del valore dell'opera che, cessando di essere unica, scombina le regole del collezionismo ( e gli affari di chi ci campa).
Da un anno a questa parte sono tornato mestamente alla pittura, all'opera unica. L'ho fatto con riluttanza, pensando di essere tornato giocoforza alle caverne. Invece è stata una piacevole sorpresa, il corpo partecipa alla creazione e nel complesso ho potuto osservare che si tratta di un'esperienza umanamente più coinvolgente. Insomma lo trovo più faticoso, ma anche più divertente.
Sono e resto comunque un sostenitore della riproducibilità, e non solo perché sono figlio dell'epoca dei consumi, ma perché sono contento per il fatto che chiunque possa tenersi in casa una copia della Gioconda ( ce ne sono a miliardi in giro per il mondo). L'originale non ne soffre perché le opere d'arte durano nel tempo per il fatto che tengono conto della permanenza... a dispetto dell'impermanente di cui son fatti i prodotti di consumo.
L'eternità, in poesia, deriva dall'aver scritto qualcosa che permane, che non può esaurirsi nel consumo. E per questo può bastare l'originalità di un verso, pure che tratti di attualità, l'importante è che non vi si anneghi.

mayoor

Anonimo ha detto...

Caro Tosi, non siamo in rotta di collisione. Il mio scritto voleva solo essere una provocazione sulla c.d immortalità della poesia per arrivare ( attraverso una distinzione teorica e logica tra moltiplicabilità e ripetibilità ) alla conclusione che la poesia è la più " fuori mercato" di tutte le arti salvo il caso che non ci interessa, ovviamente, del libro antiquariio contente magari delle sciocchezze. Non so se arriverò ad una stesura definitiva ma mi sto cimentando in questa direzione attraverso l'indagine del fine pratrico delle arti. Quanto alla Gioconda il tuo testo è capitale nel senso di....pena capitale. Se diciamo con San Tomamso che è bello ciò che piace perchè non arrivare al tuo risultato ? Non mi spaventa più di tanto. Ma forse spaventa i critici e ciò - forse - vale anche per i critici di poesia. Un cordiale saluto. Giorgio Mannacio

Anonimo ha detto...

... oh, per copia della Gioconda non intendevo parlare di quegli obrobri dipinti a mano. No, mi riferivo alla semplice riproducibilità dell'immagine con la stampa.
Ciao, auguri per la tua ricerca.

mayoor

Anonimo ha detto...

Andy Warhol sosteneva, o dimostrò, che non tutte le opere possono essere riprodotte all'infinito, che alcune esauriscono la loro forza attrattiva anche dopo poche repliche. Mi pare infatti che un suo ritratto di Marlon Brando, ma non vorrei sbagliare, raffigurasse il ritratto dell'attore per tre volte, ma la quarta restò in bianco. Mentre invece la Coca cola, come sanno tutti, riempì senza difficoltà interi pannelli.

mayoor