lunedì 23 gennaio 2012

Anna Cascella Luciani
non ho sorelle
da "La vita negli orli"
in "tutte le poesie 1973-2009"



I

non ho sorelle, mamma, di cui
scrivere di cappotti
sulla neve - una volta t'ho
detto "mi piacerebbe avere
un fratellino" ma non c'era
padre e tu - giustamente -
rimanesti male ma
non dicesti niente - com' era
tuo uso - tuo costume -
né alla bimbetta o ragazzina
poteva essere chiara allora
la ragione (il chiaro era
solo il mare di celeste -
i giochi sotto casa - l'erba
nel prato vuoto della guerra -
il freddo dei geloni e la tua
distanza- io piccola
in Abruzzo tu nel Lazio
dove insegnavi in una
elementare di San Polo e là -
grande - io abito a Roma -
dove sono nata nell' anno
di guerra 1941 - spesso
ho pensato di arrivare -
andare a vedere quella scuola
elementare - se ci fosse .
ancora ma non l'ho mai fatto
e a volte - in primavera -
qui a Roma - lo penso ancora -
qui a Roma dove morì sotto
una carrozza il tuo bisnonno
Domenico - il mio trisnonno -
venuto a Roma a cercare
lavoro dall' Abruzzo - così
raccontava tuo padre Alfredo -
il mio nonno - e diceva
che forse fu sepolto dentro •
il Verano - oltre San Lorenzo -
ma non trovò tombe né iscrizione
una volta che dall' Abruzzo
venne a Roma proprio
per ritrovarlo vivo
nella memoria in vita
che si ha dei morti - del chiaro
- dicevo - sapevo solo
1'arruffio delle creste
d'onda dell' estate - a Pescara -
tornati dallo sfollamento -
era il' 44 - scuola materna
poi - fino alla terza -
quella elementare alla Villa
Montani - requisita
dall'autorità comunale -
la quarta la feci in una scuola
statale in via Leopoldo
Muzi - tu insegnavi
nell'altra - quella del Lazio -
ma - a Pescara - nella casa
del glicine c'erano nonno
nonna e le tue sorelle -
conobbi subito i pini - sotto
casa - e i vasi d'erba
profumata che la signora
De Cinque aveva al terzo
piano - basilico - rosmarino -
lei e suo marito avevano
un negozio in via del Corso -
vendevano pane - salumi -
olio - il vino - questo
nella mia infanzia del dopo-
guerra ma ricordo anche -
forse un momento prima -
quando andavo con zia Enrica
in Corso Vittorio Emanuele -
anche lì un negozio di cui
ricordo il profumo forte
del pesce essiccato -
ed ancora le tessere da fine
della guerra - poi la ripresa
leggera ma migliore -
e al mare - con nonna sotto
l'ombrellone - io a nove
anni e una bambola - credo -
nelle braccia e negli orecchi
il grido della donna
che passava ogni giorno
sulla riva "Bombe calde
bombe calde" e la crema
- se nonna ne comprava una -
si scioglieva in bocca -
lo zucchero sulla pasta
della superficie rimaneva
attaccato sulle dita - poi
- più in là - sulla spiaggia -
quasi la ricchezza - "cocco
cocco - cocco fresco" era
il richiamo esotico rispetto
alla provincia - le noci
di cocco arrivate dai confini
aperti - il frutto del pino
- invece - nel parco sotto
casa che a me bambina pareva
il luogo dei segreti come
il mare alla fine della strada
misterioso per quella sua
estensione - per la vita
dell' acqua - i pesci -
le conchiglie - i pescherecci
- paranze e lampare - il porto
lontano nell'infanzia a piedi-
o forse in bicicletta -
la retta dei ricordi
fra le curve del tempo -
e delle onde)

II

e la vita della Topolino
la prima automobile con cui
arrivammo a Roma - zio Ugo
guidava - c'era zia Enrica
che aveva sposato tornato
dalla prigionia - il primo
uomo a stare nella casa
dopo mio nonno - e c'eravamo
- in macchina - mia madre
ed io - tra le montagne
in Abruzzo - le gole
di Popoli - le valli -
correva la Salaria dal bel
. nome che a me ancora
ragazzina ricordava il sale
del mare di Pescara
e lungo la via - andando
verso Roma - a sinistra
una casa grande - o era
una chiesa - affondava
nell'acqua - ci fermavamo
a guardarla - l'erba
cullata dalla superficie
del fiume - o cosa era? -
una falda affiorata -
acqua dai monti -la corrente
entrava dalla porta aperta -
abbandonata - molto più tardi
capii che era per me
una preveggenza d'Ofelia
come quel negozio - a Pescara -
che - con le tessere
di guerra e i generi
alimentari più importanti
mi sembrò - negli anni
del ricordo -la dispensa
di Robinson nell'isola - poi
ci fermavamo sempre
a Tagliacozzo a prendere
panini e ancora in viaggoe arrivava Roma - zio Ugo
era nervoso per le troppe
strade e credo
si ritornasse tardi di sera -
il buio delle curve ma
della città ricordo poco -
dove andavamo? cosa vedevamo? -
ricordo di più il Giubileo
del '50 -la partenza
presto sull'autobus
di mattina - nonno - nonna
una zia - c'è una fotografia
in Piazza San Pietro - a Roma
e la fontana - una delle due -
ma è da qualche parte - chi sa
dove - ricordo però il mio
sguardo verso quell'acqua
verticale - a Pescara
non c'erano fontane forse
perché bastava la tanta acqua
del mare ad abbellire macerie
e rovine della guerra - ricordo
di Roma dove dormimmo -
un luogo d'accoglienza
per i pellegrini - i letti
divisi da lenzuola tirate
come tende - un odore di spigo
di pulito - forse una casa
di suore - poi ho un ricordo
della Scala Santa dove tutti
andavano in ginocchio - forse
- prima -l'interno enorme
di San Pietro - ma il viaggio
soprattutto -1'andare verso
Roma dove - frequentavo
le medie - tornai con mamma
e la scoprii davvero
la città dov' ero nata - era
stato a Piazza Quadrata -
in una clinica che aveva nome
Sant' Anna - ma non sono mai
andata a ritrovarla eppure
ci sarò passata davanti
tante volte con la Circolare -
il 30 di un tempo che
c'è ancora e parte da Piazza
Risorgimento - con mamma
dormimmo in una casa
d'una amica del nonno -
nel quartiere Prati - dove
abito oggi - nel 2005 -
allora larghissimo - alberato -
era il '54 o il '55 -
il primo viaggio con mia
madre - andammo al Palatino -
lì un uomo si fermò a parlarle
mi sembrò quasi volesse
accompagnarla - poi scendemmo
lei ed io per i Fori - i Mercati
di Traiano - la Colonna -
le chiese quasi gemelle
lì di lato - il Colosseo
invece lo ricordo meglio
anni dopo - mio nonno
era venuto a Roma da Pescara -
il luogo di D'Annunzio
e di Flaiano - entrambi
di casa a Porta Nuova -
la cittadina vecchia - rimaste
 con la guerra quattro strade -
ricordo verso sera a Roma
nonno contro il Colosseo
un poco illuminato - l'innalzarsi
degli archi contro il cielo
e un suo sguardo verso
di me - molto tardi capii
il significato per la famiglia
materna del mio venire
a Roma - un osare dove
qualche sorella di mamma
non aveva osato - abbandonare
il dovere dello stare -
del rimanere - del crescere
invecchiare lì nello stesso
luogo (ma io non avevo
un padre a Pescara
da lasciare - ero nata
a Roma - senza padre -
e a Roma volli ritornare
e a distanza di anni - ora
. lo penso - quasi fosse -
quello - un rientro nel primo
vagito che non sento)

III

il mio bisnonno si chiamava
Andrea - figlio di Domenico
morto a Roma sotto
una carrozza - per breve tempo
abitò nella casa dei glicini
a Pescara - tornati
dallo sfollamento - ho una
fotografia di prima della guerra -
vicino all'altra casa
saltata con la ritirata
dei tedeschi - era il '44
il giardinetto pubblico
c'è ancora - dalla strada
fino alla riviera - le tamerici
chiare a primavera - le palme
che poi il Comune prese
a riparare - a chiuderne
i ventagli nell'inverno
in cui il vento soffiava
forte dal mare - portando
. a riva conchiglie come doni -
a volte la neve sui mosconi -
lasciati sulla spiaggia
ad aspettare la prossima
stagione -lo ricordo
ammalato in una stanza
ma non la morte - non il funerale -
e so che quando entravo
mi diceva d'aprire un cassetto
del comò e mi regalava
delle arance - mandarini -
sfere preziose di quel
dopoguerra - è quasi
l'unico ricordo che ne ho -
lo ritrovai alla Cappella -
al camposanto alto
che guardava il mare - andavo
sempre là con una zia
nei giorni attorno ai primi
di novembre - la bisnonna
Enrichetta là
in fotografia - non ricordo
di lei niente - so solo quello
che mi raccontava nonna -
la stradina che andava
alla Cappella piena di lumi
di candele - i crisantemi
pesanti e le larghe
dalie - allora era lontana
la morte da me così bambina -
sembrava quasi una festa
la folla di zingare - lunghe
gonne - ori - coralli -
sulle tombe delle loro
famiglie - sulla destra -
nello slargo a sinistra
la fontanella dove andavo
a prendere l'acqua
per i vasi - si metteva
a posto l'altare - la tovaglia -
se la zia s'attardava
un poco facevo un giro
nei viali alberati di cipressi
guardavo le foto - le date
di nascita e di morte -
leggevo le frasi lasciate -
ma non credo capissi cosa
volesse dire - forse allora
mi pareva come un grande
libro - le parole -
le fotografie - e dopo
tanti anni mi resi conto
che era stato simile
in quel tempo ad uno Spoon River
trasportato -le città uguali
dei morti - di quelli
che a qualcuno furono cari -
c'era una tomba accanto
alla Cappella - senza
una scritta - senza alcuna
foto - solo dell' erba
e lasciavo sempre qualche
fiore - chi sa a chi - forse
all' abbandono - un senso
di mancanza - di sgarbo che fosse
così sola con le altre
curate tutt'attorno (la morte
lasciò in pace la famiglia
materna per molti anni -
fino al '68 - poi
si presentò tutta d'un colpo -
zia Enrica - aveva solo
47 anni - lasciò un figlio -
dopo i diciottanni - Alfredo -
nato quando avevo otto
anni - zio Ugo il padre -
lo zio dei viaggi a Roma
con la Topolino - raccontava
i dieci anni di prigionia
in India con gli Inglesi -
Alfredo chiamato a lungo
''Alfredino'' per distinguerlo
dal nonno - ne portava
il nome - da adulto diventato
paleontologo - quasi - troppo
presto perduta la vita
della madre - volesse
portare a vita vite
scavate)

*La poesia è a pag. 493 di Anna Cascella Luciani, tutte le poesie 1973-2009 ,Gaffi Editore, Roma 2011

57 commenti:

Anonimo ha detto...

... il verso breve è perché si vorrebbe parlare a bassa voce?

mayoor

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate

Quanta golosità e sensualità inquieta affiora nella memoria (non a caso familiare) di Anna Cascella!
Perciò ho scelto questa poesia lunga tra le tante del libro. (Altre ne sceglierò più avanti). Ho notato poi che man mano i nomi familiari (genitori, parenti) si mescolano a quelli della letteratura, le immagini della campagna a quelle della città (Roma). L’andamento della poesia è leggero ( forse per questo i versi di Anna Cascella in generale sono brevi…). Il piglio narrativo è confidenziale. Come se si rivolgesse a lettori/ici che la conoscono e le vogliono bene. Lei poi sembra ben poco intimidita dagli inganni o dai trabocchetti tipici della memoria. C’è solo un accenno ai buchi della memoria (“della città ricordo poco -/ dove andavamo? cosa vedevamo?”) e alla fatica di scavare nel "passato".
(Forse questa poesia rappresenta solo degli appunti preliminari?). E la figura simbolica di uno “scavatore di professione” (Alfredo) è solo accennata nel finale:…”da adulto diventato/ paleontologo - quasi - troppo/ presto perduta la vita/ della madre - volesse/
portare a vita vite/ scavate”.
Questa poesia (o altre simili, generalmente definite "autobiografiche") andrebbe messa a confronto con un saggio che ho letto quasi in contemporanea: Una teoria dell’autobiografia di Maria Anna Mariani segnalata su Le parole e le cose (http://www.leparoleelecose.it/?p=2984). Ne stralcio per incuriosire alcuni passaggi:

[continua]

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate [continua]:

1. Auto-bio-grafia: una prima persona parla di sé (autos); racconta la propria vita (bios) usando il medium della scrittura (graphia). Questa è la più immediata definizione di autobiografia, ottenuta scomponendo la stringa del nome nei suoi elementi costitutivi.[1] Le tre componenti corrispondono ai problemi posti dal genere e alle critiche che lo accompagnano: le insidie della prima persona, che non può conoscere se stessa; l’incompiutezza e l’inafferrabilità della vita, che è informe e acquista un senso compiuto solo dopo la sua fine; la menzogna legata alla scrittura, che falsifica l’esperienza traducendola in linguaggio.
2. la vita, in sé, non esiste. Un’autobiografia non racconta direttamente la vita passata di un individuo. Il passato è un oggetto perduto. Ma non completamente: esiste ciò che ne conserva le tracce e permette in qualche modo di ricostruirlo. Si tratta dei documenti e della memoria: è interrogandoli che si va alla ricerca del tempo perduto […]Mentre però i documenti sono dati inerti, e aspettano che qualcuno sia in grado di decifrarli e criticarli, la memoria è una struttura vivente e interpretante
3. Leggendo un’autobiografia ci si trova di fronte allora non alla vita passata di un individuo, ma a quel che della vita passata si è conservato nella sua memoria, in questa facoltà mutevole e viva. *L’autobiografia è il racconto della memoria che un individuo ha della propria vita.*
4. la memoria ha un rapporto paradossale con il passato: pretende di custodirlo – e intanto non fa altro che deformarlo.[…] I ricordi non restano infatti immutati nel tempo ma vengono modificati a ogni nuova evocazione.
5. Come dare un senso compiuto alla propria vita se non è ancora finita? Come pretendere di farsi giudici di se stessi prima della fine? Il problema di bios è eticamente il più grave per l’autobiografia e assume qui le sembianze di una violenza interpretativa, perché pretende di imporre l’ordine di un discorso alla materia incompiuta del vissuto.
6. l’oblio non è solo ciò che si dimentica, ma anche ciò che non viene fissato, disperdendosi per sempre.
7. Una selezione naturale del tempo, che integra l’oblio al lavoro della fissazione del ricordo. Selezione naturale che prepara una selezione successiva, quella artificiale operata dal racconto. Come per ricordare è necessario dimenticare, per raccontare è necessario omettere.
8. Per narrare la propria autobiografia (Les Mots, Gallimard, Paris 1964) Sartre afferma di essersi dovuto trasformare nel necrologio di se stesso. Ma essere d’accordo con Sartre significa concepire la scrittura della vita da una postura imbalsamata, che si svolge in un tempo puramente retrospettivo: immutabile. Invece l’autobiografia si scrive nel tempo della rammemorazione, che è vivo e cangiante. E che fugge anche in avanti.

Anonimo ha detto...

Ad Anna Cascella Luciani

Trovai mia nonna
nel vecchio armadio
il cappottino nero per i funerali
e quei guanti di lana grossa
accanto ai miei un buco sul pollice
La zia veniva da lontano a trovarla
lontano era Cittiglio quindici fermate
e mia madre non voleva nessuno accanto
quando il male prese mia nonna
il suo letto e il crocefisso
il teschio INRI cercavo di capire
Nonna al funerale dentro la bara
col vestito della festa bianco e blu
e poi tutti a casa io cominciavo a capire.

Emy

Anonimo ha detto...

Ennio grazie per questo post. Emy

Anonimo ha detto...

Come aspettare senza fretta che un verso di poesia si degni d'arrivare. E intanto azzerare cent'anni e anche più, per quella frenesia che imporrebbe ad ogni verso di farsi portatore di un linguaggio imprevedibile.
Come sgusciare fuori dai guai, all'apparenza dovuti a faccende intestine del far poesia, con la coscienza che non serva altro nuovo, semmai un semplice inizio... simile alla scossa leggera di un treno che parta. Era solo una fermata, il viaggio riprende dai ricordi senza fretta. Una prosa scritta con caratteri troppo grandi su un quadernetto troppo piccolo comporta che si vada a capo così. E come dicevo ecco che un verso di poesia arriva ( ma cos'é?), come una piuma che s'adagia sul diario, ma tabbastanza pesante da interrompere ogni ricordo.

mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

... poesia della memoria? (prosa della memoria?)... in fin dei conti queste composizioni della Cascella potrebbero essere scritte senza andare a capo, come prosa, e non è detto che il testo ne perderebbe... con ciò voglio dire che ormai in certo tipo di "poesia" l'a-capo è più un intralcio che un vantaggio... e allora, mi chiedo: non sarebbe meglio abolire l'a-capo?

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Il dubbio è venuto anche a me. Ma non si limita a questa poesia di Anna Cascella. E' più generale. I confini tra due generi - una volta ben distinti - della poesia e della prosa sono saltati. E abbiamo ibridi, contaminazioni di vario tipo. Gli esempi sono tanti e andrebbero documentati autore per autore o testo per testo. Questo andare della poesia verso la prosa o viceversa ha motivazioni profonde o è un semplice vezzo o artificio? E' scelta meditata o improvvisata? Soprattutto qual è il suo senso? Un amico mi ha rimproverato proprio per l'alternarsi("rimescolamento") di parti in prosa e parti in poesia nel mio "Immigratorio". Ci sto riflettendo. Non mi va né di dargli del tutto torto né però di rinunciare a proseguire la mia ricerca in questa direzione.

Anonimo ha detto...

Ennio, riflettendo senza l'a-capo la tecnica muore un po' e la poesia resta nelle parole che vivono liberamente la loro vita senza vincoli e compromessi. Ma la musicalità, il ritmo, che soprattutto nella recitazione devono essere evidenziati penso che ne sarebbero forse danneggiati e forse anche la sola lettura, ma il mio potrebbe essere o meglio diventare solo un pensiero nostalgico. Emy

Anonimo ha detto...

Sono convinto che prosa e poesia possano contaminarsi con ampia, reciproca soddisfazione, così come avviene, per esempio, nella contaminazione fra prosa narrativa e prosa teatrale, altro esempio di contaminazione per me interessante. Il farlo non è sterile esercizio di stile quando la motivazione risiede nella necessità di superare i limiti comunicativi intrinseci all'una e all'altra modalità linguistica. Credo che la libertà guadagnata dalla modernità vada sfruttata fino in fondo, e che il "rimescolamento" sia indice di vitalità, cosa vera in fin dei conti anche per gli esseri umani.
Per quando riguarda le poesie qui postate mi sembra che il limite del verso sia la sua brevità, per me poco adatta al racconto lento e disteso che la memoria richiederebbe. Mi viene da pensare a questi a capo come ad una forma di "ordinamento" grafico del pensiero, non tanto ad un loro senso specifico o preciso valore fonico. Ma sono anche certo che la poetessa abbia scelto questa forma a ragion veduta. Mi piacerebbe conoscere il suo pensiero.
Ciao!
Flavio

Anonimo ha detto...

Trovo che questi a capo,diano l'idea del ricordo impresso nella mente come flash che scorrono dando solo una visione degli attimi che la poetessa sostituisce con le parole. Il risultato del componimento risulta ben frammentato, come se si volesse correr dietro ai ricordi per paura di smarrirli o per fermare nell'oggi il più possibile dell'ieri, a questo punto l'a-capo , senza riflettere, diventa indispensabile. Emy

Anonimo ha detto...

@Emy La tua spiegazione mi convince molto per alcuni punti, dove si sente un'urgenza, un flusso più libero del pensiero, ovvero dove i nessi diventano meno rigidi, più liberi, quasi sognanti. Dove i ricordi si fanno narrazione ben strutturata sento che la frammentazione del verso breve non regge più tanto. Almeno, così mi pare...
Ciao
Flavio

Anonimo ha detto...

Secondo me Anna Cascella ha tenuto conto dell'aspetto visivo del componimento, secondo principi di continuità e scorrevolezza senza sussulti.
In generale, per quanto riguarda gli a-capo, mi sembra che nella maggioranza dei casi, per quel poco che ne so, gli autori facciano proprie delle regole altrui, cioè delle regole acquisite. Si ha l'impressione di scegliere liberamente, ma si va pescando nel pret à porter.
Io credo si debba tenere conto del fatto che la poesia non è di facile lettura, e quindi sarebbe utile dare una mano al lettore. E gli a-capo in questo senso possono fare molto.
E' inutilmente faticoso affastellare versi complessi già di per se', solo per ragioni ritmiche, meglio separarli. Non tutto ciò che si scrive ha lo stesso peso e la stessa importanza.

mayoor

Anonimo ha detto...

@Mayoor Quando parlavo di "ordinamento grafico del pensiero" andavo nella tua direzione, ma forse non s'è capito...
F

Anonimo ha detto...

Direi allora che l'a-capo ha ben ragione d'esistere per la lettura e per la comprensione del testo che si sottopone non solo alla riflessione ma a qualcosa di più, alla musica, al ritmo, alla trasposizione del pensiero in un contesto strettamente legato al poeta e alla sua espressione rivolta anche ad un io/noi e lasciatemelo dire non ultima all'emozione. Emy

Anonimo ha detto...

Il verso breve è il segno visivo, ormai acquisito a livello popolare, che contraddistingue il testo poetico distinguendolo da qualsiasi altro. Difficile e forse dannoso rinunciarvi, ma non dovrebbe essere un dogma. Mi pare che Giorgio Mannacio, pochi giorni fa proprio su questo blog, abbia fatto cenno alla questione della riproducibilità dell'opera d'arte. Ecco, secondo me le poesie si potrebbero stampare tranquillamente nella giustezza delle colonne di un quotidiano andando a capo e mantenendo il testo bloccato ai margini; almeno questo è pensabile per le poesie con versi lunghi, senza dover ricorrere per forza a fastidiosi slash.
Sul piano della comunicazione, certo, ne andrebbe della sacralità delle poesie e produrrebbe l'effetto di un evidente abbassamento del linguaggio, ma non è detto che sia un male. Del resto è evidente che moltissimi poeti stanno scegliendo linguaggi più colloquiali...

mayoor

Anonimo ha detto...

Verso sera si compì la vicenda. Steso il verbale chiuso il caso. Lei tornò a casa e lui la seguì la raggiunse alla porta domandò di entrare. La cucina invasa dalle mosche – sul tavolo briciole due banconote bottiglie mezzo piene una grattugia un cavatappi due pentole un pettine – un pettine in cucina,? Dio, ma questa...
in una cesta la frutta già andata un binocolo e tovaglioli accartocciati... sporchi, Dio che schifo... la puzza è proprio forte apriamo la finestra?

Scusandomi con Maffia per aver usato il suo testo per l'esempio, non vedo proprio dove potrebbe esserci danno se il testo è posto in giustezza.

mayoor

Anonimo ha detto...

... e proviamo con la brava Emilia Banfi:

L'avevamo portato in una casa di riposo non si poteva evitare questa scelta, freddamente per non piangere con lui presente.
Non si poteva evitare ogni cosa nelle mani era un'arma , una bomba una guerra, faccende vecchie rabbie mai sopite amare voglie, sconfitte.
Al morire disse piano:
- Bambino buono stai fermo e zitto nel banco della scuola stai composto.-
Tirò un sospiro la moglie rimasta sola.

L'emozione verrebbe meno?

mayoor

Anonimo ha detto...

Le poesie son testi da leggere, ma testi così particolari che è impossibile confonderli con altri... almeno nella maggioranza dei casi.

may

Anonimo ha detto...

Ennio Abate :)

Ave, Risorgimento! Io sul tuo 150tenario non ti mento e perciò... RISORGI, MENTO!
Tondo, prominente bubbone monumento e certo documento della faccia di merda di questo popolo defunto che col suo parlamento si bea d'essere italiano per andare a servire l'amerikano contro il solito Hitler stavolta africano.

mayoor

Anonimo ha detto...

... e Giorgio Linguaglossa:

La grande casa immersa tra gli aranci. Un vento freddo la percorre a ritroso. Nel cofanetto, i gioielli di mia madre, il bocchino d'avorio, le lettere avvolte in un nastro azzurro, il quaderno viola dove è scritto il destino. Sullo stipite del tempo, l'algida immortalità dell'angelo:
"Vivete in casa e la casa non crollerà."

Resta il problema di quel "destino" che il poeta aveva evidenziato, ma sono certo che sarebbe risolvibile.

Ciao
Mayoor

Anonimo ha detto...

(fuguriamoci con le poesie della Cascella)

m.

Anonimo ha detto...

Hai ragione Mayoor, tutto si può fare in fondo il pensiero non ha a-capo, ma per me l'a-capo ha sempre significato soprattutto pausa , attenzione, quell'attenzione che si deve rivolgere al fatto, alla musicalità, infatti la metrica in molti casi non mi convince per quanto riguarda il risultato dell'insieme perchè spesso interrompe il pensiero e la musica della parola, il lettore sente il freno e spesso non ne capisce il significato di quell'interruzione. Certamente sto parlando a chi le poesie si limita a leggerle e nient'altro e penso che oggi questo fatto vada tenuto in seria considerazione. E' comunque il contenuto che conta , ma penso che sia come vedere un bel mare blu , calmo e vederlo invece con tante tonalità interrotto da onde e vento che gli fanno cambiare forma , che arriva a te non solo come mare ma anche ti fa pensare alla sua vitalità, al movimento che passa anche in te e ti fa mare. Insomma l'a-capo per me ha sempre significato tutto questo e trovo che sia senz'altro non indispensabile ma per me molto utile. Ciao Emy

Anonimo ha detto...

Hai ragione Mayoor, in fondo se ne può fare anche a meno il pensiero non ha a-capo.La metrica in molti casi toglie respiro e musicalità, ma per me l'a-capo ha sempre significato, pausa, emozione da scoprire, attenzione . Tutto questo lo dico soprattutto a chi legge poesia ma non la fa e penso che oggi ciò vada preso in considerazione. L'importane è il contenuto poetico, ma vedi senza l'a-capo, è come vedere un bel mare blu calmo invece di vederlo con tanti colori ,movimento,onde bianche, vento e la sua voce,il suo essere arriva a te e l'immagine ti fa mare. Forse sto esagerando ma il movimento nella scrittura di una poesia compreso l'a-capo per te non sarà importante ma secondo me è molto utile. Ciao Emy
p.s.: avevo già mandato il commento ma non è comparso...

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Quando presentammo con Paolo Giovannetti alla libreria Odadrek di Milano il mio libretto "Donne seni petrosi" dichiarai che molti dei componimenti lì presenti senza a capo (e che quindi si presentavano come "prose") li avevo scritti ( o meglio: buttati giù..) inizialmente in versi. E confessai (senza pentirmene neppure oggi)che, così facendo, avevo guadagnato spazio.
Ho poi per caso, sul sito di Absolute poetry, in un intervento del 4 nov. 2010, tra il divertito e il sarcastico, dello stesso Paolo Giovannetti, che è studioso di metrica, visto ripreso questo episodio con le seguenti parole:

"Tre opere di poesia ho presentato negli ultimi 3-4 mesi; e in due casi si è verificato lo stesso (nella mia prospettiva) incidente, anche se manifestatosi in modo opposto. A domande da me poste intorno alla fattura del ritmo poetico, è successo che un autore (autrice, nella realtà) dichiarasse che i suoi versi costituivano in origine una prosa, in un secondo tempo spezzettata in linee; e che un autore (maschio) all’opposto confessasse che le sue ‘prose liriche’ dapprima erano versi, i quali però – anche per ragioni di spazio (sic!) – si erano poi compattati in prosa. In nessuno dei due casi, i poeti – nient’affatto giovani, tra l’altro – consideravano le loro scelte un problema. Si trattava di questioni tutto sommato ovvie, naturali, normali nel loro laboratorio".
[http://www.absolutepoetry.org/Con-che-orecchio-odono-i-poeti-e]

Lo riporto per andare più a fondo nella dicussione...

Anonimo ha detto...

Certo Ennio, per me è solo questione di spingere la libertà oltre i confini, e non ne farei quindi una questione di regole. Ma, ad esempio, converrai che il tuo testo che ho trascritto sopra, nella continuità acquista una velocità insospettata.

mayoor

Anonimo ha detto...

Fiorisce nel campo un fiore, piccolo nella sua fattura, breve nel suo stelo. la sua fatica è di nessuno la sua pace è dell'ape che si poserà.

Fiorisce
nel campo un fiore
breve
nel suo stelo
la sua fatica è
di nessuno
la sua pace è
dell'ape
che si poserà.

Emy


Così forse mi son fatta meglio capire...molto semplicemente come era mia intenzione.

Anonimo ha detto...

Scusate riprendo la poesia avevo dimenticato un verso

Fiorisce
nel campo un fiore
piccolo
nella sua fattura
breve
nel suo stelo
la sua fatica è
di nessuno
la sua pace è
dell'ape che si poserà.

Anonimo ha detto...

Non riesco sempre a dare giudizi definitivi, può accadere che dopo un certo tempo riesca ad entrare, per quel che posso, nel mondo poetico di un altro/a per apprezzarne le qualità poetiche e in genere non mi pongo il problema del verso lungo o breve, prosa o poesia poiché può capitare allo stesso poeta di usare ora questa ora quella soluzione a meno che non abbia fatto una scelta fondamentalista. Certi stati d’animo possono richiedere forme affini. Può darsi che la misura del verso pur breve e l’uso dei trattini nella Cascella siano lasciati semplicemente al caso o all’ abitudine. Forse lei stessa ci potrebbe illuminare anzi, lancio un S.O.S affinchè intervenga.
Quello che più mi interessa evidenziare in questo dibattito è che spesso al mercato della poesia, la scelta del verso breve o prosa poetica venga ancora usata nel migliore dei casi come “rimprovero” oppure, come arma da alcuni critici “accreditati” per screditare altri poeti. Sono sicuro che versi di una sola parola verrebbero bocciati ancora oggi da sedicenti critici perché si dice che il verso è fatto “di altra sostanza” eppure ci sono esempi di poesia di grandi poeti (roversi, palazzeschi ….) basati su scelte di rime prosodiche prive di rime, a ritmo spezzato da pause e versi brevissimi formati anche da una sola parola . Altri esempi di versi informali arrivano d’oltreoceano, il "verso triadico a scale", diviso in tre segmenti che racchiudono il vero ritmo dell'idioma anglo-americano come la metrica variabile di William Carlos Williams
"Shadows cast by the street light
under the stars,
the head is tilted back,
the long shadow of the legs
presumes a world taken for granted
on which the cricket trills"
Ombre proiettate dai lampioni
sotto le stelle
testa piegata all'indietro
la lunga ombra delle gambe
presuppone un mondo dato per scontato
sul quale trillano i grilli.
Qui le pause della poesia rappresentano le pause naturali della lingua anglo-americana parlata, che trovano una risonanza anche nel ritmo delle sonorità jazz.
Che dire poi di Withman che abolisce l’ordine metrico, il suo metro corrisponde al ritmo dei polmoni del cuore il verso con lui si allunga e si allarga, diventa spazio geografia attuando una rivoluzione estetica e conducendo la poesia verso la prosa. Si libera dalla rima, il suo verso di ampio respiro, mette in discussione il verso canonicamente inteso.
L’argomento non sembra superato credo che il dibattito dovrebbe volgere sui risultati del lavoro poetico per apprezzarne la poesia foss’anche scritto seguendo il modello del pentametro giambico.

Anonimo ha detto...

@Ennio Suppongo non sia sorprendente che le modalità creative, il modo cioè di arrivare ad un certo "prodotto" artistico, in prosa o in poesia, possa variare, e di molto, da autore ad autore, e a volte anche nello stesso autore a seconda del momento creativo. Nella creazione ognuno naviga a vista...le regole, i paletti, le strutture più o meno rigide a cui attenersi, aiutano a non perdersi, ma non si sostituiscono all'autore. Alla fine è ciò che si vuole comunicare che conta: come ci si arrivi, be' quella è proprio tutta un'altra storia.
Ciao
Flavio

Anonimo ha detto...

per non essere fuorilegge : il post su cascella palazzeschi withman williams ecc. è di enzo giarmoleo

Anonimo ha detto...

Grande Enzo! Emy

Anonimo ha detto...

attendo il post di Ennio sull'argomento sento che sta per arrivare. Emy

Anonimo ha detto...

Emy, ma ora solo per il gusto di provocare:

Trovai mia nonna nel vecchio armadio il cappottino nero per i funerali e quei guanti di lana grossa accanto ai miei un buco sul pollice
La zia veniva da lontano a trovarla lontano era Cittiglio quindici fermate e mia madre non voleva nessuno accanto quando il male prese mia nonna il suo letto e il crocefisso il teschio INRI cercavo di capire
Nonna al funerale dentro la bara col vestito della festa bianco e blu e poi tutti a casa
io cominciavo a capire.

Tra l'altro questa trasposizione, non qui ma in generale, mette in evidenza quanta prosa ci sia un po' dovunque

may

giorgio linguaglossa ha detto...

cari amici,
è vero, sia molte mie poesie che quelle di Dante Maffìa possono essere scritte senza andare a capo, anzi, questo è un esercizio che dovremmo fare tutti, è una verifica che dovremmo fare continuamente quando scriviamo versi...
ma le poesie della Cascella ripropongono (a mio avviso in modo acritico) la poesia della "memoria tribale" della memoria famigliare senza prenderne de dovute distanze (!!) voglio dire che se si accetta la "memoria" così com'è, cioè come un pacco chiuso e sigillato (ma da chi?) allora la poesia della memoria sarà una poesia della memoria feticizzata, ridotta a cosa immodificabile e inalterabile... fatto sta che la memoria non è qualcosa che sta lì immutata in mezzo alla mutazione incessante dell'universo. quello che è la mia memoria adesso differirà da quello che sarà tra dieci minuti della mia vita... insomma, vorrei dire che la poesia della Cascella ha tutti i difetti del minimalismo degli anni Ottanta quando ebbe una certa voga, ma oggi la sua proposta mostra tutti i segni del tempo, è invecchiata, è una proposta acritica... non si può trattare la memoria in questo modo con una lirica intonsa, un verso breve (si sa che un verso breve è molto più facile di uno lungo!)... eppoi, mi dispiace ammetterlo, memoria più linguaggio lirico dà come prodotto un risultato buonista, conciliante, in una parola, io non ci credo a quello che ha scritto in poesia l'autrice... non ci credo perché il cotto mi sa di posticcio, di artefatto, di condito con spezie aromatiche e di profumi...

Anonimo ha detto...

e ora con verso prosaico alla Cascella:

Trovai mia nonna
nel vecchio armadio
il cappottino nero
per i funerali
e quei guanti
di lana grossa
accanto ai miei
un buco sul pollice
La zia veniva
da lontano a trovarla
lontano era Cittiglio
quindici fermate
e mia madre
non voleva
nessuno accanto
quando il male
prese mia nonna
il suo letto e il crocefisso
il teschio INRI
cercavo di capire
Nonna al funerale
dentro la bara
col vestito della festa
bianco e blu
e poi tutti a casa
io cominciavo
a capire.

Il testo resta invariato, ma ciò che cambia è la voce poetante.
Questo porta a dire che la lunghezza del verso è il recitato scritto del poeta.
Dunque dove sta la poesia?
Da un'altra parte, secondo me, come suo solito. E c'entra relativamente con la lunghezza dei versi scritti.

mayoor

Anonimo ha detto...

@Giorgio Linguaglossa Mi trovo d'accordo con lei sull'uso e l'abuso della memoria di cui parla. Gli sprazzi che percepisco nella poesia della Cascella sono quelli (rari) dove i nessi mnesici si fanno più labili, il racconto, la narrazione (al di là del verso breve di cui avevo già accennato), le memorie, non mi hanno interessato più di tanto.

@Mayoor Spesso mi trovo d'accordo con quello che dici. L'esperimento sui testi lo trovo tuttavia troppo "laboratoristico" per avere significato. I testi così trasformati diventano cartoline. E' vero che poesia e prosa si contaminano, ma non sono la stessa cosa e non possono trasormarsi l'uno nell'altro, se non per gioco. Almeno, io la vedo così.
Ciao!
Flavio

Anonimo ha detto...

A Mayoor,
No no no e no l'ultima versione della mia poesia alla Cascella è davvero orribile come ti sei permesso!!!! Ah Ah Ah sto scherzando ma è un vero orrore... Emy

Anonimo ha detto...

A Linguaglossa :

La memoria in poesia è una grande fregatura , da sempre quel senso di trisezza,malinconia difficile da togliere. Sono d'accordo con lei quando parla della memoria feticizzata, ma il ricordo d'infanzia spesso è legato alle cose, alle sensazioni fisiche, a musiche o rumori che nel tempo non cambiano , noi cambiamo certo, ma spesso ci sforziamo ogni giorno di ricordare un po'ciò che ci ha fatto felici o addolorati proprio per non dimenticare quelle sensazioni che per un attimo o più ci fanno sentire diversi da come oggi siamo. Certamente la poesie non deve essere lo scrigno dei ricordi ma un lavoro fatto di momenti anche lontani che danno al nostro tempo un valore o un disvalore di sicuro effetto. Il mio parere è che nella banalità dello scrivere un ricordo, la bravura sta nel collocarlo nel nostro tempo per meravigliarlo o per demolirlo. La seguo Saluti Emy.

Anonimo ha detto...

Il terremoto sostituisce il naufragio
alla radio si fanno belli di male
si truccano col terrore alle guance
il rosso del sangue alle labbra
il nero dei lutti alle ciglia
si rincorrono nell'etere come merda
nei tubi ed io dovrei demonizzare
il ricordo?

Emy

Moltinpoesia ha detto...

Abate Ennio:

Anna Cascella non usa il PC. Proverò a telefonarle e a informarla di questa discussione.

Anonimo ha detto...

x Flavio
non darmi retta, a me piace scherzare, almeno finché mi viene consentito. Non intendevo offendere nessuno. A volte la provocazione e il gioco possono smuovere qualche riflessione in più. Questo è un mondo ingessato dalla cortesia e dal chi-va-là, e spesso le poesie che leggo mi sembrano prive di autore. Seguo con interesse le cose che scrivi e spero di leggere presto tue cose nuove.
Ciao

mayoor

Anonimo ha detto...

Just for fun!
Vi invio un frammento di una poesia di Ginsberg che ha una predilezione per le frasi lunghe, in parte prese dal lungo verso in prosa di Kerouac, come una lunga poesia. Ma non è una prosa poetica. E' uno scritto che nessuno si sognerebbe mai di riscrivere sotto forma di prosa poichè ci andrebbe di mezzo il ritmo, la partecipazione del pubblico durante la performance poetica. Su You Tube " Allen Ginsberg reads America". Provate ad ascoltare anche se non si capiscono tutte le parole si capisce il clima :

America
America ti ho dato tutto e ora non sono nulla.

America nelle tasche ho due dollari e ventisette centesimi, 17 Gennaio 1956.
Non sopporto la mia mente.

America quando avrà termine la guerra tra gli uomini?

America fatti inculare assieme alla tua bomba atomica.

Non mi sento bene non stressarmi.

Non scriverò il mio poema se prima non cesserà la mia follia.

America quando sarai angelica?

Quanto scaglierai per terra i tuoi abiti (ti spoglierai)?
Quando ti osserverai attraverso la tua tomba?
.......................................................................
ciao enzo

Anonimo ha detto...

la poesia della memoria e' sempre elegiaca anche quando sia apparentemente epica.

l'elegia e' un genere con delle sue regole e figure.

e contempla la presenza dei morti. morto anche chi scrive dunque in parte.

riproporre l'elegia non e' un crimine se la si pone in modo prosastico ed antilirico perche' si e' deciso di riattualizzarla e portarla ai nuovi livelli di poeticità' contemporanei...

ognuno scrive come gli garba.

anna e' una firma, le sue scelte sono inopinabili ormai. \

può piacere o meno , ma non le si può dire devi scrivere cosi' e non cosi'>

e' una questione di scelte di stile, di prospettive espressive.

poi si arriva ad una eta' in cui diventa indispensabile scrivere contemplando il prosastico e l'elegiaco poiché' si partecipa meno alla vita e più al passato.

molto belle queste riflessioni poetiche memorialistiche di Anna sul vissuto familiare...

erminia passannanti

Anonimo ha detto...

Che ci possiamo fare, gentile erminia, si vede che in qualcuno serpeggia ancora quell'animo futurista, tutto nostrano, che pur facendo torti (e danni) a iosa esprime comunque una vitalità benefica e rinnovatrice.
La freschezza narrativa di Anna Cascella Luciani secondo me è indiscutibile, tanto che non ne farei una questione di età (l'autrice è del '41. C'è ancora tempo, gliel'auguro, per invecchiare), quanto se mai di scelte ben precise e ragionate. E s'è preso spunto da queste sue poesie, non certo per contestare (che si debba scrivere così e non così non è stato detto, e non è nemmeno implicito in quanto s'è discusso), ma per riflettere su alcune maniere della scrittura dei versi. Come dice Flavio è solo una faccenda "laboristica" tra addetti. Anche a me piacciono le sue poesie, ma in queste s'attarda nel prosastico in modo... sorprendente, via.

mayoor

mayoor

Unknown ha detto...

Questa dibattito , a uno sguardo non A.D. amministratore delegato o meglio non A_Detto, rioffre da micro a macro "materia" notevole per considerazioni sulla RELAZIONE fra le parti.

Impostate le cose così come sono, non può che riprodursi sempre lo stesso copione che ripropone in modo drammatico la separazione degli elementi maschile/femminile , nel caso specifico la penna al foglio, come la nota al pentagramma.


Già il foglio bianco ha una sua poesia , così pure la parola musica che lo riempirà..ma vi è quasiuna tensione presistente , che nel caso di questo scenario per addetti ai lavori, aumenta perchè

1

partecipano sempre gli stessi elementi, e appena ne arrivassero di nuovi ( es Flavio o Stefano, Erminia o la sottoscritta) vengono sotrtoposti a una determinata "forza",

per i lettori invisibili , addetti o non addetti, il tutto rappresenta uno stato d'allerta per cui è meglio non occupare spazio, accapo o non a_capo



2
il problema piu "pesante" è il gusto che come è naturale divide o unisce , dipende dal sentire comune che un insieme rispetto ad un altro può esprimere , con grande competenza o meno, per avvalorare ogni sua tesi sulla "dominanza" diciamo "scientifica" delle ragioni volta a sostenerla. Ma in realtà come dice bene Erminia , è solo questione di gusti però è stata inutilmente attaccata con "modi" non alternativi o futuristi, ma classici di forza di un certo "ph" della parola che fa di Mayoor un antagonismo tipico della contemporaneità di tanti sgretolamenti della parola stessa e non solo.

" Il dibattito" è utile laddove non serve a rafforzare le proprie posizioni ma ad arricchirle di altri sguardi, come è a volte per il lettore non addetto ai lavori, sufficientemente distaccato per poter "sperimentare" la morte da un ego all'altro di se stesso, fino a contenervi senza dissociarsi, pezzi diversi del mosaico piulontani e piu vicini. Cosa che lo scrittore o il poeta o l'artista, elegiaco o meno, prosaico o meno, futurista o meno etc etc non può "FORSE" fare con gli stessi strappi o meno ma comunque armonici, perchè calato nella sua "voce" , il suo conflitto e la sua forza.

ps
io sono nessuno per dire che la poetessa Cascella non incontra il mio gusto..non deve freegargliene nulla a lei per prima , se non mi trascina a capo o meno, di questo o quel bandolo , matassa o groviglio,, del presente e/o della memoria.

Se le forme , come i contenuti, sono saltate tutte per l'uomo "contemporaneo"(sia nella sua emotività che sentimentalità che nel sapersi mettere in relazione con la propria anima COME quella altrui) posso presumere volente o nolente che lo siano anche per l'arte poetica, dunque la lascio libera di essere cosi come è, tanto più sapendo che è una persona che ha almeno un giorno più della mia vita, anzi alle spalle molti piu giorni, ergo molto piu "vecchia" di me. Non è educazione borghese o chissà cosa da abbattere da chissa quale futurismo , il rispetto dell'altro il cui venir meno sempre piu precario è anche nell'iperbole del conflitto maschile/femminile nell'uomo contemporaneo ( lo dico perchè anch'io per prima ho manifestato tutto il mio conflitto, INUTILMENTE, inalberandomi fortemente con Abate e Linguaglossa..della cui produzione poetica non metto in dubbio il valore, ovviamente per il discorso fatto sopra alcune cose di loro incontrano il mio "gusto", altre no..è naturale, è G(i)Usto )

Anonimo ha detto...

il verso, la stanza, la caesura sono la' per dare la cadenza ad un pensiero, tutto qua. non hanno altro scopo, e dunque se uno/una offre cadenza ad un pensiero prosastico con la scansione metrica che piu' gli garba, e lo spezza andando a capo, lo fa per indicare al lettore come leggerlo e come recitarlo, questo e' il senso dell'andare a capo, la poesia, tutto qui. in anna di queste poesie c'e' anche una enfasi sull'operazione antilirica in senso formale. come a dire: "a voi non sembrerà' ma questa per me, autrice, e' una poesia".

certo il "ta ta tan ta tan ta tan ta tan ta tan" dell'endecasillabo a monte partiva per cantare o cantilenare o scandire o battere un pensiero e comunicarlo poi magari trascritto...ma era un modo di memorizzare il pensiero, non necessariamente una estetica di come debba apparire un testo x sulla pagina per essere inteso come poesia, come lo e' la preoccupazione di oggi. per me la poesia e' la musica, la cadenza, il ritmo, la metrica insomma del pensiero x, porto al lettore dopo che a se stessi...non il testo sulla pagina anche se e' utile vedere e chiarire dove il poeta vuole a sua discrezione mandarci a capo per aiutarci a seguire quella musica mentale sul suo spartito verbale. non so se abbia senso ma questo e' quello che penso...anche a me il senario e il settenario mi sono sembrati a lungo non-poesia, da ragazzina e preferivo il deca /endecasillabo e le rime....per ricordare le poesie che mi venivano imposte a scuola. e ho dovuto arrivare alla tarda adolescenza per accorgermi che "Mattina" di Ungaretti era una poesia pur non avendo successioni di da-capo, e negando infatti la forma contraendola oltre la forma a ground zero, la non-forma o la hyper-forma,

erminia

Anonimo ha detto...

in altre parole, questo pensiero memoriale di anna, porto in forma di poesia, e non di prosa per una scelta precisa, in "non ho sorelle, mamma, di cui... " e' o meno poetico se si condivide la sua poeticita'...non perche' risponde ad una data regola strutturale o concettuale, di cosa debba essere o meno la forma-poesia, in quanto il poeta e' la' proprio per rompere la gabbia formale e imporre qualcosa di nuovo e di suo, senne' e' un mero ripetitore...

a me il pensiero espresso in "non ho sorelle, mamma, di cui " pare molto poetico. e trovo utile la suggestione datami da anna come direttrice dell'orchestra dei suoi ca-capo... erminia

Anonimo ha detto...

La spiegazione di Erminia molto chiara, mi trova d'accordo soprattutto quando si riferisce all'a-capo per indicare al lettore come deve leggere o recitare. Recitare una poesia in modo da accontentare il poeta che l'ha scritta, cioè rispettando pause,a-capo ,musicalità è molto importante anzi direi indispensabile. I componimenti della Cascella se letti ad alta voce, rispettando questi tanto discussi a-capo (cadenze), danno al lavoro un sorprende risultato. Provateci! Emy

Anonimo ha detto...

Che dici Ro? Io sono ancor meno nessuno di te... e se risali a leggere i commenti dall'inizio capirai che non ho tentato alcuna opera di sgretolamento. Poi sì, ma l'ho fatto con tutti, maschi e femmine.
Ringrazio erminia per aver approfondito in modo umano, e davvero competente, quanto aveva in precedenza liquidato con "ognuno scrive come gli garba."

mayoor

Anonimo ha detto...

@erminia grazie per le sue osservazioni che trovo davvero interessanti e illuminanti. Sto imparando molte cose. Per quanto riguarda i memoriali rimango dell'idea che debbano avere un interesse generale, altrimenti credo si espongano ai rischi di cui parlava Linguaglossa. Credo comunque che l'approccio mentale alla scrittura di memorie sia molto diverso se si tratti di prosa o poesia.
@mayoor non mai pensato che il tuo approccio fosse offensivo per nessuno. Anzi.
Ciao
Flavio

Unknown ha detto...

Ciao Mayoor , nema problema per me , sicuramente ho letto male non solo te, in questo e altri post in cui non mie parole ma tue su lunghezze o meno , etc etc ... Ma la cosa importante , limitandomi a questo , è la prova pratica poetica comparata donata da Emy a cui si è aggrappolata la forte competenza di Erminia , cosa che infatti al di la di posizioni, gusti , sguardi diversi , ha sollevato anche il tuo.

Anonimo ha detto...

Il fatto è che la poesia fa quello che vuole e non è ( quasi ) mai quella che avevamo pensato un attimo fa .
Per Anna il giudizio di "valore" andrebbe quindi espresso prendendolo con le molle , con molti "forse" e "probabilmente" ora che ormai tutto è stato scritto visitato declinato nei secoli dei secoli .
Diciamocelo con semplicità che siamo tutti artigiani dell'echeggiamento , del canto di sirena e del deja vu .
Nondimeno Anna Cascella , come tutti noi , aspira ad una riconoscibilità , a sentirsi dire che possiede una personalità di scrittura , una sensibilità espressiva chiaramente individuabile ; e infatti non abbiamo difficoltà ad accordargliela , fermi restando le filiazioni e i canti di sirena di cui sopra .
Di una cosa probabilmente Anna può essere orgogliosa senza correre il rischio di sopravvalutarsi : ha evitato accuratamente sentimentalismo e dintorni che a ben guardarci intorno è cosa rara .

leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

facile evitare i sentimentalismi, come donna, ma raro come poetessa, vero. io sento molto raramente donne nella vita fare dei sentimentalismi. sono gli uomini, invece, che ne fanno, senza volere generalizzare, molti di piu'. erminia

Anonimo ha detto...

Non tutti, altri abbracciano.E non è sentimentalismo, ma lo comprende. Evitare sentimentalismi è prerogativa della poesia lombarda, perché siamo gente così. E comunque nelle poesie di Anna Cascella, almeno in queste, il sentimento ha la maturità del realismo. Inutile ricamarci sopra, a meno che non si voglia conversare sorseggiando il tè.

mayoor

Anonimo ha detto...

la cosa migliore al mondo e' conversare sorseggiando te'/.///
non so cosa si intenda per gente lombarda dato che i lombardi sono quasi per la meta' meridionali trasferitisi al nord in vari scaglioni...che si portano dietro come e' naturale il retaggio della loro terra e tradizione popolare...conosco al momento ben 5 intellettuali famosi che sono meridionali che insegnano in lombardia...e poeti di origine meridionale, che abitano al nord. e anna cascella e' una di questi... come fare ad individuare il ''lombardo'', il loro carattere, non so...
a salerno, ad esempio, siamo tutta gente serissima e anche permalosa...il salernitano, con un grande senso esasperato del realismo sociale della raccolta differenziata e non siamo sentimentali affatto. io sono salernitana, ma sono nata in svizzera (davvero)
:)
e.

Anonimo ha detto...

Vede Erminia? Qui mettiamo l'articolo dovunque (l'Ennio, il Giorgio, L'Erminia), anche nel tè :)... ottimo, grazie.

m.