sabato 8 settembre 2012

Luca Ferrieri
Appunti su Fortini
e l’ecologia della lettura



«E’ sempre più difficile anche solo venire a conoscenza dell’esistenza dei veri libri che ci interessano, è sempre più difficile approvvigionarsi, scegliere, e infine separarsi dall’ondata di libri che ci viene buttata addosso: a qualcuno come compito di lavoro, a tutti come un caleidoscopio di assaggi e di avanzi, destinati a produrre una perenne lettura di Sisifo». Così scrive Luca Ferrieri in questo interessante saggio, pubblicato sul sito di POLISCRITTURE assieme agli altri interventi arrivati per il n.9 su Fortini che si possono consultare qui. Lo ripropongo anche sul blog MOLTINPOESIA perché contiene indirettamente spunti notevoli  per procedere a una necessaria e auspicabile  una “ecologia dei blog”. [E. A.]



Con questo intervento voglio raccogliere, anche se in forma non ancora sufficientemente elaborata e sistematica, alcune osservazioni sull’apporto che Franco Fortini ha dato al concetto e alla pratica dell’ecologia della lettura e ai suoi possibili sviluppi.
1. Nell’ultima fase della sua vita, Fortini mostrò molto interesse al tema dell’ecologia della lettura, sia dal punto di vista teorico che pratico. L’interesse nasceva sicuramente da un’elaborazione precedente, riconducibile ai molti luoghi della sua opera in cui si accenna alla necessità di un’ecologia della letteratura, della scrittura e della lettura, che, anche se non sono temi sovrapponibili, sono sicuramente collegati[1]. Ma si trattò anche di un’elaborazione profondamente legata al lavoro che Fortini svolse nella scuola e poi nell’università, e a quello nei giornali e nei mezzi di comunicazione di massa. Non a caso l’emergere della tematica è coeva all’accentuazione che Fortini impresse negli anni Ottanta e nei primi Novanta al lavoro politico nelle “redazioni”:
“Anni fa scrissi, enfaticamente, che il luogo del prossimo scontro sarebbero state le redazioni. Quel momento è venuto, il luogo è questo. Chi tiene famiglia, esca. Chi ha figli sappia che un giorno essi guarderanno con rispetto o con odio alle sue scelte di oggi”.

Così scriveva nel testo di una lettera-appello diffusa nel novembre 1994 pochi giorni prima della sua morte e che rimane, dal punto di vista politico, uno dei suoi testamenti spirituali, così come Proteggete le nostre verità resta quello poetico, posto a chiusura di Composita solvantur (1994). La necessità di opporsi, di dimettersi, di sfilarsi dal coro dei cortigiani o dei fiancheggiatori di un potere sempre più totalitario e violento, insieme alla accorata preoccupazione per le sorti della eredità culturale e morale di un’intera generazione politica, sono fortemente presenti in tutti e due i testi e, come vedremo, sono al centro della stessa formulazione di un’ecologia della lettura. Fortini elaborò questa proposta, che è innanzitutto una proposta di lavoro politico-culturale, anche a contatto con quanto allora si muoveva nei settori periferici della intelligenza sociale, con cui egli, a differenza di molti intellettuali anche di sinistra, ebbe sempre un rapporto di frequentazione e di scambio. In particolare Fortini discusse di questi temi in alcune assemblee pubbliche organizzate a Cologno Monzese dall’associazione culturale Ipsilon, sulla base di un documento, presentato da questa associazione e intitolato Primi appunti per un’ecologia della lettura (1989).
2. L’elaborazione fortiniana sul tema dell’ecologia culturale emerge come un nodo tematico centrale della sua riflessione saggistica: in un certo senso è la cartina di tornasole del suo rapporto con la tradizione letteraria, con l’analisi dell’industria culturale e del consumo letterario di massa. Il tentativo di silenziare l’intera opera di Fortini, seguito alla sua morte, contro cui protesta con la sua stessa esistenza questa rivista, vede un’ulteriore recrudescenza proprio su questo tema, che spesso non appare degno di molta considerazione neanche ai critici più vicini. Quando lo si affronta, si tende a liquidarlo come uno dei tratti idiosincratici dello scrittore e soprattutto dell’intellet­tuale, un aspetto del suo brutto carattere e della sua “mania di polemizzare”. Il tema appare soggetto ad alcune spinte apparentemente divergenti che esprimono in realtà le tensioni interne alla riflessione fortiniana: non (solo) una contraddizione[2], ma una latitudine estrema, che esprime bene la sua capacità di cogliere la realtà da punti di vista molto lontani tra loro. Punti di vista che non devono mai, secondo Fortini, essere forzati a una conciliazione, adornianamente falsa, o a una sintesi pseudo hegeliana, ma che devono rimanere fermi, come specchi antitetici, come segnavia, come indicatori dell’ampiezza della oscillazione. Se la verità si coglie agli estremi, gli estremi devono essere sufficientemente distanti. In particolare la proposta dell’ecologia culturale (usiamo per ora un termine generico, che comprenda le tre ecologie indicate sopra: letteratura, scrittura e lettura) nasce in Fortini da due preoccupazioni quasi opposte: quella dell’obbedienza e quella delle molte disobbedienze[3], quella della tradizione e quella della rivoluzione, quella dell’inattualità e quella del cambiamento dello stato presente.
3. La posizione fortiniana origina innanzitutto da un’accurata e precisa analisi dell’industria culturale: aggiornando la riflessione francofortese, Fortini evidenzia come il neocapitalismo e l’avvento della “società dell’informazione” abbiano di gran lunga accentuato i tratti totalitari, manipolatori e insieme “creativi” dell’industria culturale, abbattendo consolidate barriere, come quella tra cultura “alta” e “bassa”. Lo scopo dell’industria culturale, oltre a quello di trasformare la cultura in diversivo e oggetto di consumo, diviene quello di rendere indistinguibili le vere differenze (di classe, di potere, di capitale culturale) occultandole sotto una girandola di differenze indotte e governate a scopo manipolatorio. Il risultato è che, in un universo di merci, l’oppressione assomiglia alla libertà “come una perla coltivata somiglia a una autentica”[4]. Tanto che Fortini proporre di correggere “leninisticamente” l’hegeliano aforisma di Adorno “Non si dà vita vera nella falsa” in “Non si dà vita vera se non nella falsa”[5].
La visione fortiniana della macchina culturale moderna e postmoderna non mostra mai un segno prevalentemente ideologico, ed è sempre sostenuta da una profonda conoscenza tecnica del campo e costruita sul campo. Fortini aveva esperienza diretta dei funzionamenti e delle logiche aziendali (come altri intellettuali “olivettiani”, da cui peraltro lo dividevano profonde divergenze in merito alla possibile esistenza di una “comunità” di impresa). Quando parlava di scuola o di redazioni o di editoria, quando osservava come in Italia non esistesse uno “stato civile del libro”, come le recensioni fossero tutte avulse dall’analisi del contesto industriale in cui il libro veniva prodotto, sapeva bene di cosa stava parlando. Oggi la situazione è leggermente cambiata, perché l’idea di letteratura industriale e l’analisi della letteratura come industria si sono fatte un po’ meno eccezionali ed eretiche; ma, a giudicare dalla direzione che hanno preso certe correnti critiche, ad esempio quelle della scuola di Spinazzola[6], direi che la rotta è esattamente opposta a quella caldeggiata da Fortini, e si orienta verso un fiancheggiamento, neutrale e “scientifico”, della letteratura di consumo. Compito della critica, per Fortini, sarebbe piuttosto quello di approfondire “ la lettura delle Affinità elettive nel reparto torni automatici / la distinzione fra Angst e Sorge alla ottava ora di cottimo…”, come recitano alcuni versi de Una volta per sempre[7].
4. La prima declinazione del termine ecologia fornita da Fortini è riferita quindi alla letteratura e alla scrittura. L’osservazione da cui parte lo scrittore è perfino banale e riguarda la crescente produzione di testi di tipo letterario, scientifico e informativo che affolla scaffali e vetrine di ogni tipo e che rende sempre più difficile un vero lavoro di selezione e di scelta. Per ovvia che sia, questa diagnosi sull’ipertrofia culturale ed editoriale del “sistema” è tuttora oggetto di una stizzosa scomunica da parte di tantissimi addetti ai lavori che continuano a vedere nella crescita della produzione editoriale, anzi del numero di titoli pubblicati, sempre inversamente proporzionale a quello delle copie vendute, un indicatore di progresso culturale. Il che la dice lunga su che cosa significhi progresso e colloca proprio nella critica del progressismo culturale e politico il fondamento dell’ecologia della letteratura di cui parla Fortini.
Il primo elemento critico su cui punta il dito Fortini è il rapporto, inversamente proporzionale, tra quantità e qualità. L’industria culturale ha bisogno di moltiplicare un’offerta, che in realtà è sempre più omologata, per adattarla alle caratteristiche individuali dei consumatori: questo falso pluralismo è sempre stato, e giustamente, una delle bestie nere di Fortini. Al contrario di quello che pretende esso rappresenta lo strumento principe dell’omologazione, perché mentre circonda di suppellettili e di variabili esornative il saldo pensiero mainstream (che poi diventerà unico), si accanisce con violenza contro quei testi e quelle opere che si pongono fuori dal cerchio protetto della “democrazia culturale”. Come è stato dimostrato in numerose occasioni, la storia dell’industria culturale, democratica e pluralista, è lastricata di censure preventive sempre più brutali, e quando esse non bastano, anche di interventi repressivi posteriori e postumi. La stessa sorte mediatica e accademica di Fortini è un esempio di questa parabola.
5. Il grido di protesta di Fortini è innanzitutto denuncia di una difficoltà e di una situazione personale ormai insostenibile, anche questa però indicativa di una trasformazione in atto del ruolo e della condizione dell’intellettuale. Alla domanda su quali siano i libri dimenticati dagli italiani, Fortini risponde:
“… venti anni fa, avrei potuto rispondere facilmente. Ancor esisteva per me il libro che dal nudo frontespizio diceva qualcosa e con quella induceva passione o ragionamento, odio o commozione. Quei sentimenti o pensieri non sono scomparsi ma li vedo troppo diversamente illuminati. Se per età del mondo o mia, non riesco davvero a deciderlo. I libri non mi sono più né amici né nemici. Gli scaffali non mi danno neanche la tristezza della carne. Dispongo di un metraggio definito di ripiani. E così da vent'anni una sorta di decimazione perpetua, una politica sordida dettata ora da impennate verso il sublime e l'assoluto ora da tenerezze inconsulte e più spesso da occorrenze occasionali, avviavano libri e libretti, opuscoli e riviste lontano dagli occhi e dal cuore, talvolta nei sacchi neri della nettezza urbana. Tutti i libri ne fanno uno solo. A notte emettono un ronzio profondo e impreciso come quello della città. Finisco col credere che qualunque libro, purché letto, possa sostituirsi a un altro, a tutti. Quando, per un dono dell'insonnia o del sogno, misuro che cosa mi resta di cinquant'anni di letture, mi sento come il carcerato che di continuo compara lo spazio prescritto, la realtà imposta, con il discorso del libro che ha tra mano. Me ne viene un atteggiamento davvero assai simile a quello del prigioniero: tutti i libri cooperano a un solo fine, a un unico discorso, a una domanda sempre più incalzante; oppure non esistono più, si fanno aria derisoria, memoria disgregata, obitorio di neuroni”[8].
I libri da cui Fortini è fatto prigioniero, in misura sempre più massiccia e invasiva, sono quelli che non gli interessano, inviatigli per una recensione, un parere o una lettura (o, peggio ancora, un concorso letterario)[9]; mentre per acquistare quelli che desidera gli mancano i soldi[10]. Può sembrare una situazione particolare, tipica dell’uomo di studi inserito (perché tale Fortini fu sempre, seppur fuori dal coro) nella macchina di produzione culturale, e quindi relativamente privilegiata anche quando mal retribuita. Ma in realtà si tratta di una tendenza che in misura proporzionale tocca ormai tutti coloro che leggono molto e appassionatamente. E’ sempre più difficile anche solo venire a conoscenza dell’esistenza dei veri libri che ci interessano, è sempre più difficile approvvigionarsi, scegliere, e infine separarsi dall’ondata di libri che ci viene buttata addosso: a qualcuno come compito di lavoro, a tutti come un caleidoscopio di assaggi e di avanzi, destinati a produrre una perenne lettura di Sisifo.
6. L’ecologia si configura così come una opzione di risparmio (economico e intellettuale) e di lotta allo spreco. Come scelta di non scegliere, di non salire su una giostra in cui i giochi sono già fatti. Si domanda Fortini:
“se un democratico imperio o meglio un moto proprio, divino afflante Spiritu, riducesse - anche solo per due o tre anni - del 50% il numero delle pubblicazioni, delle recensioni e dei discorsi che ruotano intorno alla industria editoriale, non ne discenderebbe un salutare miglioramento nell'uso della parola scritta, oltre che un più veloce smaltimento dei magazzini e dei remainders?”[11]
L’ecologia è innanzitutto difesa e autodifesa dall’inquinamento culturale. Quando i libri divengono “un alibi”, “uno dei maggiori segni della nostra miseria”[12], allora si impone “una deliberata rinuncia” al falso pluralismo, e la “disinfestazione e la riduzione della biblioteca immaginaria e intimidatoria che ronza tra una parola e l'altra, detta o stampata dai media”[13]. “Meno libri e libri migliori”[14]. “I libri che si leggono davvero […] lo sappiamo, stanno in pochi scaffali, in due valige”[15]. Di fronte alla volontà prometeica o consumistica di leggere tutto, o leggere “di tutto”, la scelta ecologica è quella della misura, dell’autodisciplina, della dieta del sapere[16].
7. E’ solo negli ultimi anni che l’attenzione di Fortini si sposta gradualmente dall’ecologia della letteratura (intesa come una sorta di rasoio di Occam da vibrare contro la sovrabbondanza inutile) all’ecologia della lettura o come qualche volta dice, della scrittura-lettura [17]. Non che Fortini non si fosse già occupato, in molteplici circostanze, del ruolo della lettura e del lettore nell’inter­pretazio­ne e nella ricezione dell’opera letteraria. Lo sviluppo della sua idea di letteratura, in parziale controcanto con Lukács e con la sua idea di totalità, si era svolto proprio intorno a quello che aveva chiamato il privilegio del lettore[18], ossia la sua capacità di “integrare la unilateralità di determinati testi”, di cogliere quindi quella verità del testo che per Fortini è collocata fuori di esso[19], e di afferrare quindi la totalità delle relazioni storico-sociali che si esprimono nella tipicità letteraria ed artistica. In sostanza Fortini corregge in senso soggettivistico l’oggettivismo lucacciano e per questa operazione ha bisogno di enfatizzare il ruolo del lettore e della lettura, anche se si terrà sempre a debita distanza dalle semiotiche sia italiane (Eco) che francesi (Barthes).
Ma la lettura cui ora fa riferimento, associandola all’idea di ecologia, è qualcosa che viene da più lontano, in un certo senso da tutta la precedente elaborazione culturale e che però emerge con nettezza, come un frutto giunto a maturazione, solo nelle ultime opere e nell’ultima pratica politica.
8. La concezione della lettura che ha Fortini è estremamente ricca e composita. Coerentemente con la posizione sull’industria culturale (non dimentichiamo che l’ecologia della lettura è innanzitutto una critica della lettura), Fortini manifesta un forte interesse per la lettura strumentale, quella che ubbidisce a fini pratici e non prioritariamente letterari. Quello che per altri può essere un limite, o un rischio di lesa autonomia e di subordinazione, per lui è un valore aggiunto: la lettura strumentale è una lettura di servizio, quando si sottomette a un agente esterno lo fa con cognizione di causa e per libera scelta. In un certo senso la proposta di ecologia della lettura usa la lettura strumentale come forma di valutazione e selezione delle letture, per vedere quale guadagno esse consentano e per chi. Non c’è nulla di male nell’usare la lettura, o nel farsene usare, e l’uso della lettura più forte che Fortini sa immaginare è proprio quello di chi non la possiede e deve impadronirsene. Ecco perché Fortini ripeteva spesso come un apologo la poesia di Hugo A qui la faute?[20]: un comunardo torna dal rogo appiccato a una biblioteca e viene sottoposto da un suo sodale a un fuoco di fila di rimproveri, ruotanti intorno all’accusa di essere un pazzo, di aver agito contro i suoi stessi interessi, di aver distrutto un suo bene, la sua unica ricchezza, il suo medico, la sua guida, il suo difensore…, e alla fine risponde semplicemente “Io non so leggere”. Fortini si identifica con il “non lettore incendiario”[21] anche perché siamo tutti oggi vittime di analfabetismi di ritorno: non solo quello di tipo tecnologico o mondano, di cui a Fortini non interessa granché, ma quello che comporta “l'impossibilità di saper leggere e scrivere il nuovo 'volgare', il nuovo dialetto, quello che solo apparentemente ha qualcosa a che fare con la lingua che ho scritta e letta da settant'anni”[22].
La prima operazione ecologica che la lettura deve compiere è dunque quella di spogliarsi del suo privilegio, di capire il suo parziale anacronismo, di rendersi utile. Se la lettura non sa parlare a chi non sa leggere merita di essere bruciata: Fortini non ha lacrime per la distruzione dell’inneces­sario, e la sua necessità la lettura se la deve conquistare sul campo. Il rapporto tra lettura e non lettura è visto da Fortini fuori da ogni mistica culturale: i non lettori vanno rispettati, non irretiti, specie quando lo sono perché culturalmente e socialmente esclusi. E’ per questo che Fortini non ha remore a consigliare, in taluni casi, di non leggere certi libri (come fecero, a suo tempo, i “Quaderni Piacentini” sollevando una lunga scia di polemiche). Leggere qualcosa o qualunque cosa può non essere molto diverso, o migliore, di non leggere per nulla. “Non letture ma opere di bene”[23]. Scrive Fortini:
“La frase pubblicitaria di una collezioncina diretta da Scalia diceva: «Non ci sono libri da leggere e libri da non leggere; ci sono solo i libri che non si sono letti». No. Ci sono i libri da non leggere, salva naturalmente la libertà di chiunque di leggere quello che vuole; le scelte sono tuttavia necessarie. Indicarle è un compito altissimo, il più alto compito che ci possa essere per un gruppo culturale. E allora il gruppo comincerà a contare nella scuola, nell'editoria, nel modo di lavorare, nel linguaggio, nella sintassi, creerà un nucleo. La sua forza di attrazione potrà diventare enorme”[24].
Fortini pensa all’ecologia della lettura come a una pratica di gruppo, una manifestazione di quella “ricerca dei propri compagni”[25] a cui esortò ripetutamente i più giovani. E pensa che questo approccio possa essere contagioso (non tanto la lettura quanto l’ecologia della lettura): è forse la forma più alta di elogio che Fortini possa concederle, quella di metterla al centro di una “rivoluzione culturale”.
9. Qui però si verifica uno di quei contrappassi cui accennavamo all’inizio, come una delle più affascinanti “doppiezze” fortiniane (ripeto, non si tratta di una contraddizione, ma di una polarità). La concezione della lettura strumentale convive con una visione della lettura di tipo tradizionale, classico (non dimentichiamo che Fortini è un classico[26]…, e qualche volta anche un classicista), perfino aulico, non priva di venature spirituali[27]. La tradizione, per Fortini, non sta in una biblioteca o in un’edizione filologicamente corretta, ma “in uno specifico senso dei passaggi”[28]. Quando parla di lettura l’universo di riferimento di Fortini è spesso formato da autori come Agostino, dalla elaborazione monastica (peraltro importantissima nella storia della lettura). La lettura si pone e si propone come una via di accesso alla verità, alle nostre verità. Assiomatica e diretta allo scopo come era la lettura strumentale, ma di segno esattamente opposto. Leggiamo questo passo:
“La lettura mi è stata quasi sempre conflitto e costrizione volontaria. So di essere stato capace di attenzione sostenuta, anzi fortissima, persino esasperata: lo 'studio' nel senso del modo 'studiarsi di'. Ma dopo aver fantasticato invidiosamente intorno all'agio delle biblioteche e del sapere libresco, so di non essere stato, in questo, né Faust né il Famulus. Qualche volta ho subito la tentazione, anche puerile, di travestirmi da erudito. Nella grande sala Secondo Impero della Bibliothéque Nationale, l'incanto della cerimonia di attesa del turno, tenendo in mano il tesserino plastificato, la discesa ai cataloghi, il paralume... Niente, non era stata altro che una vecchia musica di nostalgia e consolazione: ritrovarmi come quando ero poco più che ragazzo fra i legni scuri e i plutei delle biblioteche di Firenze”.
In molte e molte pagine di Fortini torna a farsi sentire questa “musica di nostalgia e di consolazione”, qui vista come una tentazione da respingere: un’idea di lettura antica e nobile, concepita come colloquio con chi è venuto prima e chi verrà dopo[29]. Qualcosa che ha a che fare proprio con la questione dell’eredità e del passaggio di testimone. Perché Fortini è sempre stretto tra la propria “aspirazione all’inattualità”[30] e il bisogno di parlare ai lettori presenti, quelli che ha accanto e in cui ripone le residue speranze di un cambiamento. Questo pendolarismo rintocca continuamente, spesso a distanza di poche righe. Si confessa “mediocre lettore”, per aver letto “senza porgere l'orecchio alla pagina, come voleva Contini”, perché sempre teso a spiare, come Baudelaire, l’“eco lontano di un libro o di una sommossa”[31]. Ma sa bene, nella indistinguibile miscela di superbia e modestia che lo caratterizza[32], che non è così, essendo Fortini non solo un lettore finissimo, ma un critico letterario tra i più importanti del Novecento italiano. E confessa allora (in modo molto più credibile) di leggere “su chiamata” come leggeva Agostino (Confessioni, VIII, 12), udendo una voce di fanciullo dal giardino vicino che cantava “Prendi e leggi” (Tolle et lege) e che lo induceva ad aprire, come dietro un ordine, il libro[33]. Insomma una concezione della lettura alta, spirituale, quasi ascetica, un’idea di lettura come preghiera[34], convive con l’idea di una lettura pratica, spendibile, artigianale. Il Fortini che scoppia a piangere leggendo La felicità domestica[35] è lo stesso che si chiede per quale ragione oggi si dovrebbe leggere Guerra e pace[36]. Ma alla fine quando rammenta i propri “momenti capitali di lettura” (uno stupendo largo che precede il fitto dialogo di Fortini: leggere e scrivere) quello che resta nella memoria, dei seminari senesi, della campagna nera oltre le vetrate della facoltà, di quel ragionare insieme sui nessi sottili di un’ottava o di un inno, è “l’improvviso luccichio del fosforo sulla pagina, che annulla i secoli e fa sorridere la cerchia degli astanti”[37].
10. Una concezione della lettura che invece trova scarsa o nulla udienza in Fortini è quella edonistica (anche se il termine è improprio) di stampo barthesiano. Benché in alcune occasioni esprima ammirazione per “la forza dell'intelligenza e della moralità intellettuale”[38] dell’autore francese, in più occasioni prende le distanze dalla teoria del piacere di leggere “cara a Barthes”. Superiore al piacere, per Fortini, è la “gioia”; ma in ogni caso la sua visione della lettura inclina verso il tragico e la lettura per piacere tende fatalmente a essere vista come una lettura di evasione, “fuga dal reale”, obbligo o consumo che per lui sono la stessa cosa[39]. “Le letture per molta gente sono come delle eiaculazioni. È una cosa che si deve fare: perché si è in treno, perché si deve fare un esame... Quando io vedo le ragazzine che leggono in tram Uomini e no, penso cosa fosse per noi Uomini e no, nel '46. Era carne, sangue; adesso la ragazzina lo porta per prendere un diploma, non gliene importa nulla, ed è giusto che sia così”[40]. La storia di Fortini lettore (raccontata nel citato Fortini: leggere e scrivere) contraddice, almeno per quanto riguarda la propria stessa pratica, questa scomunica, perché abbozza il ritratto di un lettore appassionato e versatile e di una variegata fenomenologia di letture. Si va infatti dalle letture pratiche (di cui abbiamo già detto) a quelle fatte per il lavoro di consulente (che gli procurano “fastidio e intolleranza per la lettura”, che la rendono “peggio che un dovere, un mattatoio”[41]), a quelle “dei vicini” (ossia nate da un passaparola con compagni e collaboratori), a quelle ab irato “per troppo melensi o saccenti o faziosi entusiasmi altrui”, e finalmente a quelle “libere, di piacere, o rimorso, o oltranza appassionata, spesso di inganno volontario”. Dovrebbero cadere sotto la condanna del piacere di leggere e invece Fortini le descrive con una pennellata felicissima e un senso di liberazione appena temperato dal riferimento all’autoinganno. In particolare nell’“oltranza appassionata” compare, a sorpresa, la cifra dell’eccesso e dello scialo tipica di Barthes (e Bataille), mescolata all’intransigenza, alla volontà di spingersi sempre oltre, e a una sfumatura di ira e di indignazione (oltranza richiama oltraggio e la risposta ad esso). E quando, in poesia, Fortini dice a se stesso “Non è vero che non siamo stati felici”[42], uno degli esempi di felicità che lo soccorre è quello di quando leggeva “dello sconfitto sfuggito di mano ai potenti”.
11. A fronte di questa ricca e controversa fenomenologia della lettura, la proposta di un’ecologia appare più restrittiva, come se ad essa Fortini assegnasse proprio il compito di vagliare e ridurre lo spettro delle letture possibili. Nella parte conclusiva di questi appunti vorrei avanzare l’ipotesi che la straordinaria intuizione di Fortini si sia fermata (per insufficiente tempo di elaborazione, per eccesso di diffidenza o di coerenza, per altri più che ragionevoli motivi) alla sua parte negativa, distruttiva, sottrattiva, e che quindi un compito possibile per essere fortiniani senza Fortini sia proprio quello di suggerire e verificare le possibili direttrici di ampliamento. Potrei dire che alla pars destruens andrebbe aggiunta una pars construens se questo non significasse fare torto alla coscienza dialettica (così viva in Fortini) che nella negazione è già contenuto anche un primo fondamentale atto costruttivo. Finché è possibile occorrerà quindi preservare all’ecologia della lettura le radici che la legano al pensiero negativo.
12. Vi sono, a mio parere, almeno due direttrici di sviluppo dell’ecologia della lettura che negli accenni fortiniani sono solo adombrate[43]. La prima fa riferimento a un’etica della lettura e vede l’ecologia come una forma, forse la più alta, di responsabilità e di responsabilizzazione del lettore[44]. Non si tratta quindi solo di combattere l’inquinamento indotto dall’industria culturale, ma di cogliere la fortissima interconnessione tra testo e ambiente. L’unità testo-ambiente (che comprende, anche se non esaurisce, quella testo-lettore) è alla base della visione della lettura come ecosistema. Un bilancio di impatto testuale dovrebbe certamente verificare, come dice Fortini, il grado di “corruzione dei linguaggi”[45], lo sconquasso prodotto dall’omologazione massmediale, l’impoverimento dell’esperienza e l’inibizione dello scambio di esperienze che certe letture producono. Ma dovrebbe anche assumere consapevolmente il punto di vista della salvaguardia e della riproduzione dell’ecosistema della lettura, analizzando più da vicino come nasce un lettura e come si nasce alla lettura[46]. Il concetto di lettura vivente di Dennis Sumara[47] o la teoria transazionale della lettura di Louise Rosenblatt[48] possono fornire alcuni spunti in questa direzione. Questo percorso porta, anche attraverso approcci interdisciplinari, a un ampliamento naturalistico del concetto di lettura, intendendo sia che la lettura ci ha cambiato biologicamente sia che i rapporti tra natura e cultura (e quindi lettura) sono ben lontani dalla schematica contrapposizione che in passato è stata ipotizzata. L’ecologia della lettura si incontra qui con i concetti di sostenibilità dell’informazione e della comunicazione[49].
13. La seconda direttrice di sviluppo parte dall’idea che la lettura non sia solo l’oggetto dell’opera­zio­ne ecologica, ma anche il suo possibile soggetto; ossia che a partire dalla lettura, in particolare da un certo tipo di lettura intensiva, sia possibile operare sulle relazioni umane e sulla loro dimensione ecologica. La lettura in quanto tale diventa così una forma di approccio ecologico all’ambiente, e nell’espressione “ecologia della lettura” il genitivo torna ad essere prima di tutto soggettivo. La lettura è il processo che consente e favorisce la sopravvivenza delle idee nell’am­bien­te. Qui il riferimento è a Gregory Bateson e alla sua “ecologia della mente”[50], che ha mostrato come la lettura sia “una differenza che fa una differenza”, ossia una delle modalità con cui le idee entrano in relazione tra loro, si connettono e si riproducono. La lettura è un sistema enantiomorfo, contiene i contrari senza eliderli. Essa si depone sull’ambiente, come la mappa sul territorio, registrando tutte le differenze, altimetriche, di pressione, di confine. L’ecologia della mente ci insegna ad esplorare le interconnessioni che, come dice Bateson, legano il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e noi con loro. La lettura è fatta esattamente da queste interconnessioni, e attraverso di esse, attraverso le giunture[51] del testo, l’approccio ecologico cerca di separarla da quella logica di dominio, degli uomini e della natura, che l’ha segnata per secoli. E per questa via il concetto di “ecologia della mente” può incontrarsi con l’idea di “mente collettiva” che Pierre Lévy[52] vede all’opera sul web. Qui la “struttura che connette” prende la forma di una continua circolazione di saperi, di una mobilitazione delle intelligenze basata sul principio ecologico “nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità”.
14. Mi rendo conto che accostare contributi di così diversa natura, alcuni sicuramente molto distanti dalla impostazione di Fortini, possa apparire se non sacrilego sicuramente fuorviante. Sono convinto però che un’iniezione di sincretismo (che è cosa diversa da sia dal pluralismo che dall’eclettismo, che agiscono per sommatoria o per giustapposizione) sia quanto oggi occorra per far tesoro di contributi provenienti da campi ideologici e disciplinari diversi. La nozione di ecologia della lettura, si è detto, ha un fondamento tecnico, nasce sul campo, e ha bisogno di essere continuamente aggiornata e riempita con le nuove esperienze e scoperte che sul campo appunto si fanno. Ma sono anche convinto che nella pre-elaborazione fortiniana qualcosa già ci fosse che spingeva in questa direzione, e che oggi ci autorizza a percorrerla. In Fortini infatti la visione dell’ecologia non è né sempre né tutta “in levare”: anche quando per esempio ci ricorda che essa richiede “di fare aria intorno alla parola scritta”[53], di “agire per introdurre quote di silenzio dove l'urlio e la confusione impediscono ormai di udire qualsiasi parola”[54], fa capolino un’idea di pienezza e di armonia, estetica oltre che etica, che va oltre la selettività dell’operazione chirurgica. “Solo quando avremo imparato a guardare una rosa in un bicchiere”, dice Fortini in termini quasi batesoniani, “potrà rinascere un’opposizione allo stato presente di cose”[55]. Non possiamo e non dobbiamo leggere in modo misticheggiante[56] questa affermazione di Fortini, che oltretutto appare in un contesto quasi militante. Ma non possiamo neanche leggervi una semplice coincidenza, come se tale fosse la ricorrenza del simbolo della rosa[57] (e di altri simboli) nella sua poesia. Preferisco pensare che questa parte di elaborazione fortiniana, incompiuta e forse amputata, si sia espressa più facilmente nella sua poesia, e trovo anche questo molto significativo agli effetti di una ecologia della lettura, perché la poesia, attraverso i suoi stessi elementi formali, ha dato spesso asilo alle istanze di pulizia, di nettezza e di bellezza da cui essa origina.
15. Per illustrare e completare quanto detto, voglio chiudere allora con la citazione di un componimento poetico fortiniano del 1972, “L’ordine e il disordine”, che a sua volta chiude la raccolta Una volta per sempre[58]:
“La ragione dell’ordine, la dimostrazione del disordine, e tu règgile. L’uno che in sé si separa e contraddice, e tu fissalo; finché non sia più uno. E poi torni a esserlo, e ti porti via”.
Mi sembra di poter dire che anche alla luce di questi versi l’idea di ecologia della lettura sia in Fortini una sorta di istanza regolatrice, di vaso comunicante che raccoglie e purifica la tendenza alla separazione e alla divisione che alimenta tutta la sua riflessione e che ha ispirato la sua vita (“Storia ed esperienza mi hanno insegnato / che si deve oggi tendere non ad unire ma a dividere”[59]). Perché, certo, questa separazione va ben fissata negli occhi: chiunque pensi di cavarsela con l’oc­cul­ta­mento o la circumnavigazione commette un errore. Ma una volta che quell’uno è stato diviso e non è più uno, allora, in qualche modo, in qualche forma, deve tornare ad esserlo. L’ecologia promette di superare la scissione in cui la lettura, la lettura presente e del presente, è situata e limitata. In nome dell’utopia ma anche di quella protezione invocata da Fortini[60]. Che cessa di avere un sapore conservatore, resistenziale, reducistico, per divenire il ponte che getta la verità oltre l’ostacolo “e ti porta via”.


[1] Riferimenti, più o meno ampi, a questi argomenti sono rintracciabili ad esempio in Insistenze (Milano, Garzanti, 1985: Per un'ecologia della letteratura, L'informazione inutile, Per uno stato civile del libro, La strage dei libri, L’ignoranza volontaria, ecc.); in Riprendiamo a discutere sul senso del progresso culturale, "L'Unità", 19.10.1988; in I sorrisi dei mentitori, "Azimut", (1989), 51, pp. 75-76; in Contro lo snobismo di massa, "Laboratorio-Samizdat", Cologno M.se (MI), (1989), 7, pp.24-30; in Extrema ratio, Milano, Garzanti, 1990 e Non solo oggi: cinquantanove voci. Roma, Editori Riuniti, 1991.
[2] Termine che per Fortini non ha affatto una connotazione negativa: cfr. Luigi Lollini, Combattenti della frontiera in “Uomini usciti di pianto in ragione”. Scritti su Franco Fortini, Milano-Roma, Lumhi-Manifesto libri, 996, pp. 53-60.
[3] Nonostante o forse proprio in virtù della schietta indipendenza, politica e intellettuale, che contraddistinse la sua vita, Fortini fu uomo anche di grandi obbedienze autodecise: “Cercare i nostri eguali osare riconoscerli / lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati / con loro volere il bene fare con loro il male / e il bene la realtà servire negare mutare” (Franco Fortini, L’ospite ingrato, Casale Monferrato, Marietti, 1985, p. 37). Le disobbedienze di Fortini sono più celebri (Franco Fortini, Disobbedienze, Roma, Manifestolibri, 1997, 2 voll.): tra tutte mette conto segnalare quella che si sostanziava nell’ingratitudine intellettuale e nella sua rivendicazione (“Lo so: / mangio nel piatto / dell’am­ministra­zio­ne pubblica e anche in quello  / dell’editoria. E ci sputo / dentro, seguendo l’esempio perverso / dei bidelli, dei reclusi e dei tipografi” – ivi, p. 122).
[4] Franco Fortini, Insistenze, cit., p. 262.
[5] Riportato in Hans Magnus Enzensberger, Contro l’industria culturale, Bologna, Guaraldi, 1971, p. 67.
[6] Cfr. Vittorio Spinazzola, Alte tirature, Il Saggiatore, 2012.
[7] Franco Fortini, Una volta per sempre, Torino, Einaudi, 1998, p. 168.
[8] Originariamente su "Nuovi Argomenti", XXXIII (1986),19; ora in Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 425-6.
[9] “So come si toglie di mezzo a una prima occhiata un testo o un manoscritto. So che anche la più onesta e scrupolosa giuria di inediti somiglia a un ospedale di prima linea a corto di anestetici" (Franco Fortini, Consigli (?) per giovani poeti, “Il Sole-24 ore”, 25-4-1993, p. 19). “Non è solo la mancanza di spazio a limitare il numero dei libri. E' una deliberata rinuncia, una scelta ormai definitiva” (Franco Fortini-Paolo Iachia, Fortini. Leggere e scrivere, Firenze, Paolo Nardi Editore, 1993, p. 10). E’ questo il motivo che costringe periodicamente Fortini alla “opprimente cerimonia che […] caccia in un sacco nero libri e libretti da trascinare sul pubblico marciapiedi e affidare ai monatti municipali” (Franco Fortini-Paolo Iachia, Fortini. Leggere e scrivere, cit., p. 5).
[10] Franco Fortini, La strage dei libri in Insistenze, cit., p. 227.
[11] Franco Fortini, Si stampi meno...e meglio, “Il Sole-24 ore”, 6-12-1992.
[12] Franco Fortini, Non solo oggi: cinquantanove voci, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 22.
[13] Franco Fortini, Insistenze, cit., p. 288.
[14] Franco Fortini, Non solo oggi, cit., p. 24.
[15] Franco Fortini, Ha vinto l’archivio, “L’Espresso”, 31-10-1993, p. 219.
[16] Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994, cit., p. 310.
[17] Franco Fortini, Insistenze, cit., p. 291.
[18] Franco Fortini, Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Torino, Einaudi, 1989, p. 216. Cfr. anche Velio Abati, L’idea fortiniana di letteratura, in “Uomini usciti di pianto in ragione”, cit., pp. 127-139.
[19] “Se voglio sperar di capire Zanzotto o Cavalcanti ho davvero bisogno di sapere di quanto si estende il riarmo giapponese, come il Pentagono fa ammazzare i sandinisti in Nicaragua e se la nostra inflazione è manovrata e da chi” (Franco Fortini, Insistenze, cit., p. 228).
[20] Victor Hugo, L’année terrible, Paris, Gallimard, 1985.
[21] In una delle serate tenute a Cologno Monzese per la discussione del citato documento dell’associazione culturale Ipsilon, Fortini si espresse in questi termini (trascrivo dalla verbalizzazione della riunione): “Quando ho ascoltato il signore che non legge perché non ha tempo di leggere, io sono stato preso da una forte simpatia per questo signore, perché egli ha fatto presente che legge esclusivamente le cose che gli servono per il suo lavoro, e io trovo che questo sia un atteggiamento sano, positivo. L'uso pratico della lettura, cioè lo sfruttare la lettura a fini pratici, perché è uno strumento che serve per l'informazione, per farsi avanti nella vita, per vincere un concorso, per imparare come curare un mal di denti, è qualcosa di positivo, e molte persone non hanno le conoscenze sufficienti per sapere che cosa a loro sarebbe utile”. In un articolo scrisse: “Sono d'accordo con Zanzotto, le letture migliori oggi sono quelle pedanti: i libri di tutti, le grammatiche, i dizionari e le enciclopedie" (Radici comuni, “Il Manifesto”, 23-9-1990, p. 38).
[22] Franco Fortini-Paolo Iachia, Fortini. Leggere e scrivere, cit., p. 96.
[23] Franco Fortini, Addio a Gutenberg?, “L’Espresso”, 11-3-1994, p. 185.
[24] Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994, cit., p. 365.
[25] Franco Fortini, Un giorno o l’altro, Macerata, Quodlibet, 2006, p. 4. Ma la citazione originaria è del 1962.
[26] Come dice Donato Salzarulo, I lampi della magnolia, La poesia e lo spirito, 2010, <http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2010/01/11/vivalascuola-32/>
[27] Questa tradizione non deve, secondo Fortini, essere lasciata alla destra (“Fino ad oggi la lettura come esercizio di attenzione e di dialogo silenzioso è stata praticata « a destra», in modi e in ambienti che ereditavano da un secolo di spiritualismo e di estetismo”: Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto, cit., p. 193).
[28] “… da ieri (o secoli or sono) a domani (o secoli avvenire), da vita a morte, da malattia a salute, da padri a figli come da figli a padri, da amori a odi e viceversa; senso che tutti possono avere e che a tutti può esser tolto, senso di quel che è conscio e di quel che non lo è di storia e non-storia. È senso della necessità di preparare agli altri, a tutti gli altri, le condizioni - perché chiamarle «materiali»? Ogni condizione lo è - a che l'uso del valore, ossia delle differenze e del giudizio che le accompagna, non subisca oblii o interruzioni maggiori di quelli utili a generare un più alto sentimento della qualità e dei doveri della tradizione” (Franco Fortini, Non solo oggi, cit., p. 280; pure in Insistenze, cit., p. 55). Anche Pagnanelli (nel suo Fortini, Ancona, Transeuropa, 1988, p. 143) parla di quella che per Fortini è "la forza innovativa ed eversiva della tradizione".
[29] L’idea di lettura come “colloquio con i morti” o con gli antenati ha una lunga storia: da Seneca, a Plinio, a Cartesio, a Quevedo, a Milton, a Swift…
[30] Romano Luperini, La lotta mentale. Per un profilo di Franco Fortini, Roma, Editori Riuniti, 1986, p. 92.
[31] Franco Fortini-Paolo Iachia, Fortini. Leggere e scrivere, cit., p. 9.
[32] Franco Fortini, Un giorno o l’altro, cit., p. 4.
[33] Sull’episodio cfr. Luciano Canfora, Libro e libertà, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 53-54. Fortini ne parla in Dialogo ininterrotto, cit., p. 193.
[34] “Aveva ragione la Weil quando diceva che anche il lavoro manuale può essere preghiera; e se la lettura può essere preghiera, la preghiera può essere lettura” (Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto, cit., p. 364), in cui è interessante anche l’accostamento tra lettura e lavoro manuale. La tensione verso l’assoluto, che è sempre in agguato dentro questa concezione della lettura, trascina la critica fortiniana del pluralismo verso la prospettiva del Libro unico, che ha come emblema il Vangelo, che Fortini considerava un esempio di “libro per tutti”, così come la lettura pratica o militante ha come emblema il giornale. Fortini (in Leggere e scrivere, cit., p. 69) nota come molte sue poesie, ma anche suoi articoli, cominciassero brechtianamente con “Leggo…” intendendo “Leggo sul giornale”. Ma lo stesso discorso potrebbe valere per la lettura “come esercizio di attenzione e di dialogo silenzioso”, il cui riferimento più canonico resta il Libro religiosamente inteso.
[35] Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto, cit., p. 367.
[36] Ivi, p. 367.
[37] Franco Fortini-Paolo Iachia, Fortini. Leggere e scrivere, cit., p. 9.
[38] Franco Fortini, Sono postumo anch’io, “L’Espresso”, 22-8-1993, p. 159.
[39] Attenzione a distinguere l’obbligo (scolastico o sociale) dalla costrizione volontaria: su questo crinale si gioca tutta la visione fortiniana della lettura.
[40] Franco Fortini, Dialogo ininterrotto, cit., p. 367. E’ forse pleonastico rilevare come l’elaborazione barthesiana sia più ricca di quel che traspare dai riferimenti fortiniani, e non sia in alcun modo riducibile a una pratica della lettura come loisir o diversivo. Cfr. anche Nicolas Carpentiers, La lecture selon Barthes, Paris, L’Harmattan, 1998.
[41] Franco Fortini, Insistenze, cit., p. 228.
[42] Franco Fortini, Una volta per sempre, cit., p. 233. Cfr. anche Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini¸ Lecce, Piero Manni, 1999, p. 20.
[43] Per un approfondimento, qui non possibile, rimando ad alcuni miei lavori, scusandomi per l’autocitazione: Luca Ferrieri, Per un'ecologia della lettura, “Biblioteche Oggi” 1990, 4, p. 421-450; Introduction to the ethics and ecology of reading, “Information for Social Change”, 30 (Summer 2010), < http://www.libr.org/isc/issues/ISC30/articles/5.pdf>.
[44] Tematica presente, ad esempio, in Ezio Raimondi, Un'etica del lettore, Bologna, il Mulino, 2007.
[45] Franco Fortini, Dialogo ininterrotto, cit., p. 310.
[46] Questo è un discorso leggermente diverso da quello su come si diventa lettori, e per questo è oggetto di un’etica e di un’ecologia e non puramente di una pedagogia della lettura. Vi sono infatti lettori che non nascono mai alla lettura (anche se leggono), e letture che restano per sempre orfane dei loro lettori.
[47] Dennis J. Sumara, Private readings in public. Schooling the literary imagination, New York, Peter Lang, 1996.
[48] Louise M. Rosenblatt, Writing and reading. The transactional theory, Champaign, Ill., Center for the Study of Reading, 1988.
[49] Si veda: Rafael Capurro, Passion of the Internet and the art of Living, 2003 <http://www.capurro.de/illinois.htm>; Idem, Ética de la información. Un intento de ubicación, “International Review of Information Ethics”, (2005), 2, p.p. 87-95.
[50] Gregory Bateson, Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976.
[51] Cfr. Wolfgang Iser, L'atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 266.
[52] Pierre Lévy, L'intelligenza collettiva, Milano, Feltrinelli, 1996.
[53] Franco Fortini, Non solo oggi, cit., p. 24.
[54] Franco Fortini, Insistenze, cit., p. 292.
[55] Franco Fortini, Riprendiamo a discutere sul senso del progresso culturale, "L'Unità", 19.10.1988, p. 12.
[56] Contro la mistica del silenzio Fortini si è ripetutamente espresso: ad esempio in Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine, Milano, Garzanti, 1990, p. 28.
[57] Romano Luperini, La lotta mentale, cit., p. 23 e segg.
[58] Franco Fortini, Una volta per sempre, cit., p. 352.
[59] Franco Fortini, Memorie per dopodomani. Tre scritti 1945 1967 e 1980, Siena, Edizioni di Barbablù, 1984, p. 17.
[60] Oltre al verso già citato in chiusura di Composita solvantur, si può far riferimento a questa frase di Fortini: “Vorrei invece sapere protetto quel che ho avuto caro e venerato: non libri, altrui o miei, ma un modo fondamentale di attenzione, di volontà buona, amore di amore” (Franco Fortini-Paolo Iachia, Fortini. Leggere e scrivere, cit., p. 96).

2 commenti:

Unknown ha detto...

Per primo indico il duplice motivo per cui mi è piaciuta molto questa lettura, per secondo l'aspetto critico, inteso come debole, dell'approccio.

La lettura nel contesto delle ultime conversazioni , piu recenti post, si inserisce molto bene in alcuni rilievi sia poetici che politici sollevati da quella parte di " noi" che non riesce a coinvolgere un'altra parte significativa, di quello stesso noi, in discorsi, impegni, analisi, azioni, con minimi denominatori seppur provvisori di consapevolezza..di coscienza del fenomeno ultraindustriale che coinvolge il settore della vita culturale della societa degli italiani con strumenti identici a qualsiasi altro mercato..dei profumi o dei farmaci, delle mozzarelle o dei detersivi .

Mi stupisce che ancora non vi sia alcun commento a questo notevole post e studio, immagino quanto e come faticoso sia stato redigerlo. Al contempo ho una grande paura che se dovessero arrivare interventi, possano essere di contenuto rivendicativo di questo o quel pensiero autentico o piu autentico di Fortini, oppure meri esercizi di stile e teoria senza pratica o desiderio per un piccolissimo futuro diverso.

Non ho le competenze per dirlo, ma questo studio di Ferrieri sicuramente contiene forte di per sé la domanda che ognuno dovrebbe rivolgersi , che sia o meno parte piu attiva ( scrittore?) o piu passiva ( lettore ?), della filiera in cui altri, abili del dio mercato, lo predigeriscono o fanno nascere o morire nella loro ecografia degli standard o dei gusti standard, parametri così necessari alla produzione industriale e tanto piu post-industriale.

Quanto appena scritto, mi introtuce al secondo motivo, in cui la lettura forse volendo sottendere, non rivela qualcosa per il miglior desiderio di quel "noi" ..mi riferisco alla duplice mancanza (voluta o meno, non so se in Fortini o successivamente), duplice nel duplice pure diversa ma congiunta, volta ad un indirizzo operativo per la pratica sia della resistenza all'invasione degli ultracorpi sia alla progettazione di spazi e prodotti che vi sfuggano promuovendo la conoscenza e contenendo gli effetti necrosi dei primi.

Intendo riferirmi al fatto che il problema della produzione culturale di massa, incide diversamente sulla possibilità di "bio-approvvigionarsi" del lettore, rispetto all'approvvigionare o "bioesprimersi" di uno scrittore fuori dagli standard( dei gusti, compresi quelli quelli fintamente "sovversivi", promossi dal sistema produttivo vuoi per poter meglio incanalare quindi controllare l'antistandard in standard, vuoi pertanto per escludere tutto ciò che non rientra in un determinato format)

Su questo secondo aspetto,composto dal gioco e l'incontro ( o la loro assenza) delle due parti del "prodotto" , l'industria di massa ha intensificato ogni tipo di trattamento farmacologico per le dipendenze dovute a quegli standard sia della parte "attiva" che soprattutto dei numeri sterminati in cui colpire quella "passiva". Però i primi, gli scrittori, poeti o critici o romanzieri etc, che non si sono adeguati hanno un vantaggio rispetto ai lettori.Quest'ultimi, sempre più massificati,hanno di fronte un monopolio culturale, dove vincono i vari fabio volo o del romanzo o della poesia. Anche in questo tipo di "consumi", occorre una pratica diversa, che solo i "produttori" di alimenti non contraffatti, o tossici, o di bassa qualità etc etc possono con le dovute alleanze con i consumatori, trasformare da uomo massa a massa critica. Sul "fare" c'è tanto da fare, ovviamente recuperando quella gratuità e umiltà che ha sempre contraddistinto chi ha voluto avvicinare e tenere unito o ricomporre il basso all'alto, la bellezza alla sua mancanza, la fatica al fancazzismo, la costruzione alla distruzione, l'autonomia alla dipendenza, lo spirito della ricerca alla pseudoconoscenza etc etc.

Anonimo ha detto...

ero davvero dispiaciuta alla fine della lettura di questo scritto di Luca Ferrieri, dispiaciuta che fosse finito.
Da alcune delle parole di Fortini che vi si citano ho tratto anche una conseguenza pratica non trascurabile: la decisione di cercare tra i libri nel corso degli anni comperati o avuti in regalo quelli dei quali posso (devo) liberarmi. Non solo per far posto ai nuovi arrivati... Grazie anche per questo, Luca.
Marcella