lunedì 5 novembre 2012

Donato Salzarulo
Sui miei maestri di poesia



Pubblico qui la risposta di Salzarulo al tema proposto nel post sulla "Lista di maestri per i moltinpoesia" (qui). Spigliata e sincera com'è, può  spingere a una rilettura di  tutte le altre pervenute per tentare  qualche provvisoria conclusione. [E.A.] 

Nel laboratorio dei Moltinpoesia abbiamo conversato sulle nostre scritture poetiche. Scopo: confessarci più che le nostre “angosce dell'influenza”, il rispettoso furto di ciliegie operato sugli “spiriti magni”. In altre parole, dovevamo dirci se ritenevamo le nostre scritture sorrette dall'autorità di uno o più illustri maestri o, almeno, di qualche compagno di versi. O ancora, e in breve, con quali poeti morti e vivi avevamo più colloquiato nel corso del tempo.
Il colloquio è scambio d'idee più o meno programmato, relazione fra soggetti di pensieri, agenti di emozioni. Forse, però, prima dei colloqui intenzionali, scelti e/o volontari, nelle scritture poetiche si aziona un contagio della voce che definirei inconscio. Voglio raccontare un aneddoto che, a ricordarlo, suona tuttora sorprendente. Nella mia scuola due maestre diventarono amiche. Nulla di male, si dirà. Vero. La mia meraviglia nasceva dal fatto che la maestra più giovane, ad un certo punto, ripeteva alcune modulazioni e toni di voce dell'altra. Non era forse imitazione consapevole e, meno che meno, frutto di una scelta da attrice. Era probabilmente il risultato di un contagio. Credo che capiti, grosso modo, la stessa cosa in poesia. Si è contagiati.


Il tuo volto m’infetta a poco a poco.
Come un’ipnosi, una sotterranea
osmosi.
                 E’ l’amore
il fiore esteso dei corpi.

Pensi al nome che ti porti: lo sento
eliso e insieme lo dico sereno
e beato. Il presente divino
incarnato.




Ma non voglio parlare delle mie infezioni/affezioni che un orecchio attento e poeticamente erudito sicuramente coglierà nelle composizioni. Voglio accennare ai miei saccheggi coscienti e ai miei esercizi di ammirazione.
Saccheggi: durante l’adolescenza sono stato innamorato di una quasi coetanea che viveva a una settantina di chilometri dal mio paese. Per dimostrarci amore, avevamo scelto di scriverci ogni giorno. E, ad un certo punto, non avendo più parole, mi sono messo a rubare tutte le immagini possibili ai poeti dolcestilnovistici: sei come una rosa fresca e profumatissima, i tuoi atti d’amore salvano la mia anima e la fortificano, la tua presenza nel mondo mi fa capire il significato della parola miracolo, anzi tu sei un miracolo, ecc. ecc. Andavo a scuola e stavo studiando Cavalcanti, Guinizelli, Dante…Univo l’utile al dilettevole.
La storia non finì lì. No, intendiamoci, la storia con la mia coetanea dopo tre anni si chiuse, ma non finì il mio amore adolescenziale per i testi dei dolcestinovisti. Anzi, a partire da un certo momento in poi (1983), identificai la poesia con la donna. Anche per via di certe letture fraintese ed equivocate che in quel periodo andavo facendo: ricordo, ad esempio, scritti di Giudici raccolti in «La dama non cercata» o poesie di Montale come «Dora Markus»…
Allora scrissi, con qualche imperfezione metrica, un sonetto diventato col tempo il mio avatar. Si intitola «Dente di leone» e fu pubblicato per la prima volta su Laboratorio Samizdat, una rivista curata e prodotta dall’amico Abate.
A proposito di quest’amico, e ora accenno ai miei esercizi di ammirazione, intorno alla fine degli anni Settanta, scrisse un testo che m’era piaciuto molto: «Poesia della crisi lunga». Di questo titolo mi seduceva soprattutto l’aggettivo; glielo rubai e me lo conservai in un verso del mio sonetto-emblema: «Per questa lunga insidia…». Nell’aggettivo e nel sostantivo c’è pure  una mia risposta alla domanda,  che tante volte volte ci facciamo, sulla sostanza mutevole e sfuggente della poesia.
Nell’arco di mezzo secolo, non ho letto soltanto poesie dolcestilnovistiche e autori come Giudici e Montale. Ho letto e scritto su Zanzotto, Fortini, Celan e su tanti amici della Moltitudine poetante.
Un ultimo amico che voglio citare è Franco Arminio. Paesologo, come si autodefinisce; ma, per quanto mi riguarda, in primo luogo poeta. Il nostro colloquio “amoroso” è cominciato verso la fine degli anni Ottanta. Ancora dura. Seppur affievolito. Conclusione: non ho avuto maestri di poesia, ma singole composizioni, testi, libri che mi hanno attratto. Quasi certamente perché mi hanno aiutato (e mi aiutano) a pensare ed affrontare i problemi che avevo e che ho: quelli dell’identità (capire quale fosse davvero la mia voce e quali i miei pensieri), della mia collocazione nel mondo, del mio rapporto con gli altri, della mia “educazione sentimentale”, delle ferite dell’esistenza, del mio morire… Oltre a quelli dei dolcestilnovisti, durante l’adolescenza mi ripetevo spesso i versi di Pavese.: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi / questa morte che ci accompagna / dal mattino alla sera, insonne…»
«Come lo amavano, il niente, / quelle giovani carni!» avrei letto, poi, in Fortini…Insomma, ci siamo capiti.
Termino, recitandovi il mio DENTE DI LEONE:  

Come soffione il giallo offre l’avallo
Per questa lunga insidia che mi covo
Un bacio ti sorprenda di corallo
Sulla rosa di rossetto che rinnovo

Come alito a fior delle tue piume
Entro radente nel gioco ricorrente
E tu  - osanna al cacciatore implume! –
Resti impigliata agli stami della mente

Chi non era non era ricercato
Aveva solo un petalo sul dito
D’un tale tra l’altro trasognato

Così sei tu il dente rifiorito
Del leone che vive ingabbiato
Riprodotto dal vento e su mio invito

Ottobre 2012


5 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie Donato di averci condotto con lo stile amichevole e colloquiale che ti appartiene fra "i tuoi poeti".
Molto belle le due poesie, la seconda ,così espressiva, fa pensare, è quasi una lezione.
Anche se ogni tanto mi piace rileggermi i testi de :"l'ultima neve "
Maria Maddalena Monti

Anonimo ha detto...

Bentornato Donato!

Grazie per questa musica, per quest' amore, esiste ancora? I saccheggi sono indispensabile almeno per me.
Ciao e spero a presto . Emy

Anonimo ha detto...

Carpire per capire, è questo il messagio che colgo leggendo le parole di Salzarulo. Un testo coivolgente e appassionante. Solo questa onestà (del dire) ci rende liberi e fa bene alla poesia. Bella anche la poesia. Complimenti, Salzarulo.
Giuseppina Di Leo

Anonimo ha detto...

Sono sempre molto felice quando posso leggere un testo di Donato. Ha una grande dote di scrittura, un tono intimo delicato...E' il mio maestro. Ho imparato molte cose da lui.Molte cose che poi ho trasferito nella scrittura teatrale.Questo perchè pur essendo autore di narrativa i suoi testi hanno tante voci dentro proprio come i petali del soffione.
Grazie
Angela Villa

Anonimo ha detto...

E' proprio vero bentornato Salzarulo!Amo molto le tue poesie. Meriterebbero una pubblicazione...
Giulia