Continuavo pregando l’interlocutore ad esimermi dal paragonare Tranströmer ai poeti italiani contemporanei, come qualche scolaretto tenta di fare, per via della differenza gigantesca tra le due «cose». Ma se c'è una differenza (estetica) ce ne sarà anche una ragione, storica, dico. E che il paese sia andato, in questi ultimi decenni, in declinando e in discesa, in poesia come negli altri campi, è un fatto di allarmante visibilità.
Nelle mie vesti di critico non posso – dicevo – non stigmatizzare questo fatto, non mi sentirei a posto con la mia coscienza se non lo facessi. C'è oggi nella poesia italiana un respiro di spietata mediocrità, modesti professori hanno occupato gli scranni di comando del comparto poesia, e di lì veleggiano beati verso l'Eldorado della generale mediocrità inneggiandosi l'un l'altro e sostenendosi l'un altro. È uno spettacolo disarmante e umiliante.
Non nego (anzi, lo affermo), che comprendere una poesia di Tranströmer è enormemente più difficile che comprendere una poesia di Giudici o di Sereni o di Magrelli... ma la difficoltà ermeneutica significa semplicemente che la prima ha un livello enormemente superiore a quella dei secondi. Nient'altro che questo. Il poeta svedese è di un altro pianeta. Tutto qui.
Il linguaggio poetico è la tematizzazione esplicita di ciò che è contenuto nel linguaggio naturale; per cui il secondo viene prima del primo. È un linguaggio in quanto scritto, decontestualizzato, in cui tutto è chiaro, univoco, intelligibile da subito perché costruito per questo scopo. Esso è il prodotto della riflessione del linguaggio su se stesso, l'esplicitazione delle sue strutture di senso soggiacenti alle relazioni dei parlanti immersi nel linguaggio naturale.
Dal linguaggio relazionale del linguaggio naturale al linguaggio poetico c'è una frattura e un passo, un salto e un ponte.
La problematizzazione del linguaggio poetico si esprime (quale suo luogo naturale) in metafore e immagini. Tutto il resto appartiene al discorsivo-assertorio che serve ad unire una immagine all'altra, una metafora all'altra. A rigore, si può sostenere che un linguaggio poetico privo di metafore e immagini non è un linguaggio poetico. E con questo scopriamo l'acqua calda, ma è indispensabile ripeterlo adesso in tempi di semplicismo filosofico-poetico.
Lo scetticismo - che data da Satura (1971) - in giù nella poesia italiana e non solo, ha dato i suoi frutti avvelenati: ha ridotto la poesia italiana ad essere una derivazione minoritaria dei mezzi di comunicazione di massa, ad un surrogato di essi; l'ha resa sostanzialmente un linguaggio non differenziato da quello della comunicazione.
Che nessun poeta italiano da Satura in giù sia degno di stare allo stesso livello di un Tranströmer deriva da questo nodo non sciolto dell'Istituzione poesia così come si è solidificata oggi in Italia. La poesia che si fa oggi in Italia è un linguaggio ingessato (nel migliore dei casi) e un linguaggio comunicazionale (nel peggiore).