mercoledì 28 novembre 2012

Lidia Are Caverni
Poesie




Da “un inverno e poi… 1985:

Davanti a una statua

Lembo di pietra
in cui la forma
disfa
o si compie
prolunga in un’altra
immagine
braccia che in nuvola
protendono
Dafne in fuga
davanti al proprio io
segreta dualità
dell’essere
Veste sollevata
sul mistero
dell’eternità.




Da “Città”  “Il passo della dea” 1999

La città dai mille ricordi
ha insegne dappertutto
non puoi dimenticare ignoto
è l’oblio vedi il dolore
di chi pensa di chi ha conosciuto
la morte l’abbandono le pieghe
sulle fronti non si distendono
ovunque colori le immagini vive
di cose che più non sono
colpiscono come lamine nessuno
ci vuole abitare ma inutilmente
cerca di fuggire la memoria
l’insegue lo incatena alla porta.

Cessato non c’è altro
che l’impeto della deriva
il divorante incalzarsi
dei giorni non si chiudeva
l’offerta dei volti il distendersi
 pacato sulle rive la medusa
spargeva agonie e folgoranti
colori un odore aspro di ortica
che voleva pungere l’inverno
non offriva altro che impronte
di cane e una spiaggia solitaria.


Da “Fabulae linguarum” 2000

Lingua lacerata percossa
scritta in archetipi misteriosi
ignoti musicalmente arbitraria
che pochi decifrano stele preda
di guerra rapina trasportata lontano
sotto il disco del sole e della
notte ricercata agli Inferi
per colpire come una spada silenziosa
ctonia dal volto di falco trasportata
sulla barca che chiede monete
nascoste tra i denti di bocche
che troppo osarono dire annegata
nel tramonto emersa irrorata
di stelle.






Da “Il giorno di Ognissanti”  “Erbario d’autunno” 2002

La foglia di ninfea sognava
il cappero silente l’illanguidita
discesa lungo il muro il tepore
di meridiana essere acquatico
desiderava la terra il nero oblio
di radice perduta nel nulla
l’erigersi del cielo l’erompere
dell’albero fiero il frangersi
del ramo sotto il peso d’uccello
sospesa galleggiava nel peduncolo
breve e il suo cuore sognava.




Da “Il volo della farfalla”  Il Croco 2003

Il cigno bianco temeva il gelo
il laccio che chiudeva la gola
l’agguato che generava la morte
il ghiaccio disegnava contorni
da cui non si poteva uscire uccelli
giravano intorno aspettando
che splendesse la fiamma dell’ultimo
falò la notte incombeva lucida
di stelle e l’erba gemeva
 nell’agonia dell’ultimo inverno.



Da “Le montagne di fuoco” 2005 Prefazione di Giorgio Linguaglossa

Per la tua la mia salvezza montagne stendono
rocce vibrare invisibile di insetti di terreni
dalle profonde radici affioranti tra erbe
malate di freschezza dove volano farfalle
dalle ali nere uccelli si posano a cercare
brividi di acque lasciate dalla notte
pronte a formare nuvole disposte a navigare
nel vento per disperdere piogge serene
illuminate di sole dove il cuore si placa
nel nulla.




Da “L’anno del lupo” 2006 Prefazione di Walter Nesti

Accarezzavano altre pelli
lo splendore opaco di cometa
che avremmo voluto inseguire
la sua coda era una catena
d’insulti per chi la voleva
prigioniera la notte taceva
il brulichio di stelle.




Da “Animali e linguaggi” 2006 Prefazione di Michele Boato

Un uccellaccio preso a pedate
dalla gente capitò sulla strada
chissà come si ribellò non ne posso
più gridò spalancando il becco
son carnivoro anch’io e un morso
lo so dare e addentò un polpaccio
 proprio a me gli rispose un ometto
 col giornale e l’ombrello legato
sotto il braccio massaggiandosi
il dolore il becchime l’ho sempre
dato ai piccioni sul tetto e briciole
di pane d’inverno ai passerotti
è un’ingiustizia è vero riconobbe
l’uccello purtroppo va così che chi
troppo è pestato e si ribella
non sempre vede chi gli fa del male.




Da “Il prezzo dell’abbandono” 2009 Prefazione di Pietro Civitareale

Nei giorni che mi fiorivano suonavano
canzoni d’uccelli nel cielo terso
a cosa avresti voluto sapere il mio segreto
un annusare lieve nel vento un ricciolo
di mare che avvolgeva il cuore un parlare
d’erba fra la spiga erta del grano un fosso
d’asfodelo un cilindro di tifa da spumeggiare
lontano un impeto sentito di fiamma
che il riso ravvolgeva a portare saggezza
un passo di danza che nella sera si perdeva.






Da “Fiore bianco notturno” 2010 Prefazione di Giuseppe Panella

Abbarbicato il laccio era una coda
di topo bagnata dalla luna intorno
il buio chiudeva il cerchio denso
delle molteplici essenze del vivere
volavano gli insetti facevano bruciare
la pelle tremante per l’improvvisa
 febbre allucinati sguardi che non
dissipavano fogliami di spesse foreste
dove agguati si tendevano in fondo
si stendeva il mare un’acqua nera
che non donava pace.




Da “colori d’alba” 2010 Prefazione di Franco Manescalchi

Colori d’alba si diffondono nell’aria
rosata del mattino non volano gli uccelli
tace anche il vento immota ogni foglia ogni cosa
si disfa nell’attesa il sole sale nel suo trionfo
sconfigge l’immobilità dei pensieri la silenziosa
lucidità di stella il fragile annidarsi dell’ombra
splendide le case si ammantano di riverbero
i volti smagati di stupore guardano il divenire
del giorno si rintana la nottola perduta
di malinconia cantano gli uccelli di luce.



*Lidia Are Caverni, nata a Olbia  il 3/11/41, ha trascorso infanzia e adolescenza a Livorno, da molti anni risiede a Mestre. E’ insegnante elementare in pensione. Scrive sin da giovanissima. Ha pubblicato tredici libri di poesia, tra cui “Un inverno e poi…” 1985; “Nautilus” 1990;  “Il passo della dea” 1999; “Fabulae lingua rum” 2000; “Le montagne di fuoco” 2005 con la prefazione di Giorgio Linguaglossa;”L’anno del lupo” 2006 con la prefazione di Walter Nesti; “Animali e linguaggi” 2006 con la prefazione di Michele Boato; “Il prezzo dell’abbandono” 2009 con la prefazione di Pietro Civitareale; “Fiore bianco notturno” 2010 con la prefazione di Giuseppe Panella; “Colori d’alba” 2010 con la prefazione di Franco Manescalchi.
Di racconti: “Il giorno di primavera”1992; “La fucina degli dei” 2000; “Il satiro e la bambina” 2000; “L’albero degli aironi” 2004; “I giorni del breve respiro” 2007 racconti autobiografici;
Romanzi per l’infanzia “Clotilde e la bicicletta” 2000; “Il pesce verdino” 2009.
Romanzi:  “I giorni dell’attesa” col miolibro di Repubblica.
Un breve saggio sul linguaggio nella scuola elementare: “Discorso sul linguaggio”.
Ha pubblicato con la Casa Editrice Bruno Mondadori, Passigli, Bonaccorso con distribuzione nazionale, Masso delle Fate, Raffaelli, Edizioni Orizzonti Meridionali, Istituto Italiano di Cultura di Napoli.
Ha ottenuto numerosi premi, è stata tradotta in lingua anglo-americana e rumena.
Collabora a varie riviste, fra cui Capoverso, Poiesis, Lo scorpione letterario, Atelier,  ClanDestino.
Ha collaborato con la rivista “I viaggi di Erodoto” della Casa Editrice B. Mondadori.
Sue poesie sono apparse sul blog di Antonio Spagnuolo, Fortuna Della Porta, La Recherche, José Pascal.




4 commenti:

Anonimo ha detto...

Quel tanto di umano che traspare, nel linguaggio delle ninfe diventa di natura celeste. Se umana si aggira tra gli spiriti di natura che compaiono dove non se ne possono vedere. Piante e animali come avessero colori falsati. Tutto è traslato, rifuggito. La realtà un'eco. Ma va bene, quel sapore new age piace a molti. Anche a me. Non mi ha mai infastidito, non ho mai sentito il bisogno di mettere in gabbia nessuno.
mayoor

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Echi mitologici, immagini arcaiche ( stele, spada), languori trasferiti in immagini antropomorfiche della natura (la foglia di ninfea), drammi di animali (il cigno, gli uccelli, farfalle) che si consumano in paesaggi invernali, notturni e indefiniti a simboleggiare agonie e «nulla». Poi una narrazione distesa e quasi esopica (Un uccellaccio preso a pedate…) e , nel componimento che comincia con «Nei giorni mi fiorivano…» e anche in quelli successivi, un abbandono all’elegia sempre in rapporto a una natura stavolta accogliente e armoniosa.
Questi i temi che colgo nei componimenti qui proposti.
L’assenza di punteggiatura segnala la concentrazione in un monologo interiore che vuole essere senza interruzioni, senza stacchi e a nessuno esplcitamente destinato. La voce è quella di un soggetto indefinito, svagato e rammemorante.
Non so se, come dice Mayoor, la poesia di Caverni tenda a moduli New Age. Di certo tende a sfumare il soggetto parlante e a immergere le immagini, quasi tutte ( almeno in queste poesie) di animali e di vegetali, in un tessuto di parole che si avvicendano una dopo l’altra senza scosse come in una musica armoniosa o in una pittura a pastello.
Queste le impressioni alla mia prima lettura.

giorgio linguaglossa ha detto...

quello che riscatta la poesia di Lidia Are Caverni dalla poesia di paesaggio è che nella sua poesia il differenziale non è il «paesaggio» ma la forte modalizzazione soggettivistica impressa al paesaggio attraverso una modulazione sintattica e lessicale del linguaggio arcuato e reso malleabile alla suturazione linguistica. Qua e là emergono degli echi elegiaci, però tenuti sotto controllo, come addomesticati mediante inserimenti del parlato ed espressioni del linguaggio «naturale». Quel che c'è di «artificioso» in questa poesia non è altro che la modellizzazione secondaria del linguaggio naturale, dove è chiaro che non ci può essere una modellizzazione del «naturale» che non diventi anche effetto di artificio, manualità del fabbro ferraio... In un altro mio precedente appunto critico ho parlato di «circolarità» del linguaggio poetico di Lidia Are Caverni, quella circolarità che contraddistingue anche il ballo, la danza, l'onda sonora della lingua...

Lidia Are Caverni ha detto...

Lidia Are Caverni
Ringrazio quanti sono intervenuti con un commento, soprattutto Ennio Abate che mi ha ospitato in Moltinpoesia.
I temi affrontati nella mia poesia sono molteplici:da Fabulae linguarum basato su un lavoro linguistico di Umberto Eco sulla poesia adamica, a L'anno del lupo che era poi il 1970 ed era l'anno dedicato alla campagna per la salvaguardia del lupo selvatico, in cui l'amore per la natura trae in superficie l'interiore vissuto personale.
Ci deve essere per me una frattura nella considerazione della natura da cui nasce la poesia. Giorgio Linguaglossa l'ha individuata in altri suoi interventi in cui ha definito "crudeli" i miei in apparenza puliti, ordinati così detti paesaggi.
Ennio Abate ha colto nel segno definendo "esopiche" le espressioni tratte da Animali e linguaggi sono infatti 52 favole di animali e portano la prefazione di Michele Boato, direttore dell'Ecoistituto veneto, a cui da molto tempo collaboro.
Il mio è stato un lungo percorso che mi ha condotto a sfiorare vari punti e vari momenti.
Ancora vi ringrazio