mercoledì 5 dicembre 2012

Ennio Abate
Rileggendo «I poeti del Novecento»
di F. Fortini (1)


Inizio, con questa scheda di lettura, una sorta di ripasso in forma di brevi sunti o di commenti ragionati sui vari capitoli di questo, che è stato uno dei miei libri di formazione. Tenterò mano mano anche dei confronti con altri autori che  si sono occupati della poesia italiana del Novecento fino ai nostri giorni. Benvenuti suggerimenti e critiche. [E.A.] 

Questo excursus storico-critico è stato pubblicato dall’editore Laterza nel 1977 ed è uno dei volumi (il 63°) della LIL (Letteratura Italiana Laterza). Fortini tratta in 4 capitoli: - l’età espressionista (Lucini, futuristi,  i lirici come Boine, Jahier, Sbarbaro, Bacchelli, Campana, Rebora, Onofri e Valeri); - la figura di Umberto Saba; - l’ età che va da Ungaretti agli ermetici (Cardarelli, i «moderni» come Quasimodo, Penna, Bertolucci, gli ermetici come Fallacara, Betocchi, Parronchi, Bigonciari e Gatto, l’antinovecentismo, il dialetto e Tessa); -  Montale e l’esistenzialismo storico ( Pavese, Noventa, Montale, Luzi, Sereni, Erba, Caproni, Fortini, Pasolini, Leonetti, Roversi, Giudici, Risi); le avanguardie e il presente (la neoavanguardia, Zanzotto e alcune brevi note sui “giovani”di allora).

Il cappello critico parte da una domanda: Chi sono  gli iniziatori (gli innovatori) della poesia del Novecento? Per alcuni il vero primo poeta «moderno» italiano è Pascoli, che avrebbe annullato ogni distinzione tra «alto» e «basso», dando spazio  ai «valori asemantici e fonosimbolici». Altri (Sanguineti in particolare) indicano Gozzano (o Lucini) e i futuristi (con attenzione a Palazzeschi e Govoni); e scelgono così una  linea di rottura con la tradizione letteraria dei secoli passati, che ha portato a un abbassamento di livello «tanto nella tematica quanto nel linguaggio». I più vedono, invece, in Ungaretti «il vero padre della poesia del Novecento», dando così risalto a una linea, operante dal 1925 al 1945, che va dai «vociani» agli «ermetici».

Fortini si chiede poi se abbia  senso optare per l’una o per l’altra di tali tendenze.
Risponde di no. Scegliendo la tendenza che meglio di altre parrebbe aver prodotto un «mutamento decisivo nelle forme e nei temi della poesia italiana», si finisce per applicare in poesia i concetti di «progresso» e «regresso». Questo  per lui è solo un pregiudizio “moderno”. Questi concetti, inutilizzati nell’analisi critica di opere da noi remote, si sono imposti sotto la  spinta di fattori esterni tipici del Novecento; e  cioè per l’azione di «movimenti, gruppi, riviste e scuole, tutti segnati da caratteri concorrenziali e dominate da esigenze pratiche» (p. 3). Spesso mantenuti sottintesi nel lavoro dei critici, hanno  fatto  privilegiare quasi automanticamente il dopo sul prima e «il momento dell’innovazione su quello della conferma». 
Quale la conseguenza negativa? La più evidente per lui è che alcune figure di  alta statura (Saba, Tessa, Noventa) sono finite in ombra; altre (Campana o Quasimodo)  sono state invece ingigantite.
L’imporsi di questa complessiva «linea della modernità»  non è avvenuta però a capriccio o soltanto sulla base di scelte soggettive. Ha coinciso, invece, con un mutamento profondo  della lingua e dei temi avvenuto  tra fine secolo e prima guerra mondiale.  I critici, che avrebbero dovuto  indagarlo a fondo, non l’hanno  fatto, continuando ad occuparsi soprattutto delle grandi personalità,  dei singoli,  e delle opere eccellenti.  Contini aveva colto questa contraddizione e aveva tentato di muoversi su due linee parallele, badando sia alle trasformazioni della lingua che ai singoli autori e alla loro psicologia. Più tardi è stato Mengaldo a concentrare i suoi studi proprio sulla lingua della poesia novecentesca. E così ha potuto  svelare molti  aspetti sfuggiti alla linea «moderna» e “progressista”: «il perdurare delle influenze pascoliane e dannunziane [ in Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Sbarbaro e Montale], il  recupero dei classici (in chiave espressionistica o neoclassicheggiante), l’influenza degli autori stranieri, la sopravvivenza di situazioni e tendenze regionali, la fortissima vivacità dei dialetti, l’insistita apertura al lessico d’uso, e così via» (p. 4) . Ne è venuto un quadro del primo Novecento molto più mosso e vario.
Dopo il primo mutamento d’inizio secolo, l’altro più significativo è cominciato per Fortini verso la fine degli anni Cinquanta, quando il linguaggio della cultura e della poesia devono  fare i conti con le nuove forme di vita indotte dal capitalismo (dal «boom economico»). Abbiamo il fenomeno della «nuova avanguardia» più o meno combinatosi con la tradizione del secolo (il simbolismo, l’espressionismo).  Nel frattempo muta l’immagine che di se stessi hanno i poeti. Se si analizza il tema in Gozzano, Sereni o Montale, si nota che svanisce man mano «il senso di partecipazione a una corporazione privilegiata e gloriosa» e si arriva alla «idea che la comunicazione letteraria e poetica sia invero una funzione del linguaggio, che chiunque può usare, a fini di conoscenza e di educazione» (p. 5). Siamo con quest’affermazione nel pieno della situazione d’oggi, ai problemi dei moltinpoesia.

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Da Emy


Eugenio Montale:

La storia
La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Ma questa è una provocazione!
Hai scelto proprio la poesia giusta!
Qui Montale, il liberale, dà una sberla al Fortini, marxista.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Emy:

Su Montale, che per Fortini era il "piccolo borghese che si crede grande", vedi anche quanto scrissi qui:
http://moltinpoesia.blogspot.it/2012/07/per-una-poesia-esodante-ennio-abate-la.html

Anonimo ha detto...

...mi spiace per la sberla a Fortini, ma in questa poesia trovo verità, anzi, dire realtà...purtroppo. Emy

Anonimo ha detto...

Grazie ad Emilia vado a rileggermi Montale!
Paolo Pezzaglia

Giancarlo Landriani ha detto...

E' vero, Emy, Montale è grandissimo anche nel suo periodo finale! Ma quali mai saranno i giovani (ormai vecchi) poeti segnalati da Fortini?

giancarlo

Giovanni Liberato ha detto...

Fortini avrebbe definito Montale "un piccolo borghese che si crede grande".Che giudizio volgare!

giorgio linguaglossa ha detto...

è alla fine degli Anni Sessanta che inizia a profilarsi l'iceberg della Piccola Borghesia in fase di espansione e di crescita demografica e ideologica. Questo fenomeno (sociale, storico) diventa preponderante sia per i partiti di massa (DC e PCI) che anche per gli artisti. Come rispondono i poeti a questa emergenza? (perché di vera emergenza si tratta): direi in vari modi: Sanguineti tira fuori dal cilindro il coniglio della neoavanguardia (in realtà una tigre di carta), i milanesi tirano fuori dal cassetto l'idea anceschiana della Linea lombarda, i poeti più tradizionali come Montale tira fuori dalla sua redingote il contratto di recensore del "Corriere della Sera", Pasolini si dedica al cinema e al saggismo panflettistico, Ripellino si rifugia nei Paesi dell'Est a studiare quelle letterature e a fare poesia incomprensibile in Italia, Sereni e Giudici sono i più scaltri: affondano la poesia it. nel piano "basso" di un quasi parlato e di un quasi quotidiano e fondano la seconda linea lombarda, che però produrrà soltanto epigoni di seconda mano. Una isolata: Helle Busacca mette fine alla poesia producendo un atto d'accusa incendiario e febbricitante contro il Paese Italia (che replica e contraccambia con un silenzio funebre sulla sua opera). Fortini tenta da marxista di tenere il periscopio ben attento puntato contro il Moderno e per la tradizione ma si deve misurare con un cedimento di tutto l'Apparato degli addetti alla poesia alla piccola borghesia; anzi Fortini vede con chiarezza che la poesia it. si sta imbucando in un vicolo cieco e lo vede chiarametne attraverso la poesia sperimentale di Zanzotto e minori ma non sa e non può indicare una via di uscita dalla GRANDE CRISI DELLA PICCOLA BORGHESIA. Non può e non sa perché è arrivato troppo presto.
Ma noi che guardiamo a quegli eventi da Dopo il Novecento, cioè dalla CRISI DI RECESSIONE degli anni Dieci, possiamo vedere le cose con maggiore chiarezza. Detto il soldoni tutta la poesia it. del secondo Novecento manifesta la propria incapacità (culturale) a fronteggiare la crisi di supremazia che la piccola borghesia impone al paese con la sua crescita smisurata e rapidissima. Qui sta il punto. Che Montale risolva la CRISI con un gioco di prestigio: è un piccolo borghese che si finge alto borghese. Fa una poesia di scetticismo ludico ironico. E siamo già ai giorni nostri. Ora si tratta di rimettere le cose a posto. Cioè che la poesia non può avere niente a che fare con la piccola borghesia it.na

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a G. Liberato:

Lei banalizza quel giudizio.
Per precisione e completezza riporto il brano da un saggio del 1971 di Fortini su "Satura":

"E' possibile (chiediamoci) fare un uso giusto di *Satura*? Sì, se non avremo nessuna indulgenza per il piccolo borghese truccato da grande borghese che ci parla da queste pagine, si può, anzi si deve fare onore all'autore di un grande personaggio [« il goffo e imperfetto», che ha il suo doppio «aqulino, dotato di superiore intuito e in rapporto diretto con la divinità»], da mettere accanto a quelli di Gogol e di Svevo e di Joyce e di Beckett, di un personaggio saturo di nobiltà e di miseria, la cui «fisionomia intellettuale» è delineata con mano di maestro»

[F. Fortini, «Satura» nel 1971, in «Saggi italiani 2», p. 123 Garzanti, Milano 1987]

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

E quali sarebbero le "verità"?
Temo che a volte si applaude un poeta senza capire cosa ha veramente messo nei suoi versi.
Qui Montale ha messo una "polpetta avvelenata" che va ben oltre la "sberla a Fortini".
Riporto da uno studio su di lui di Romano Luperini:

"La polemica di Montale è indirizzata non solo contro i contenuti ideologici della civiltà occidentale, ma anche contro i criteri e le forme del pensare e del ragionare. *La storia*, ad es., non è affatto solo la contestazione delle idee comuni sulla storia; è anche soprattutto una implicita e ironica messa sotto accusa degli strumenti stessi della logica. Anzi, "Il culmine dell'insensatezza è nell'uso del linguaggio della ragione e della conoscenza"."

[R. Luperini, Storia di Montale, p. 224, Laterza, Bari 1999]

Anonimo ha detto...

Beh, con la massimachiarezza vi dico che, leggendo questa poesia ho trovato pensieri che spesso mi passano per la mente pensando alla "storia", spesso crollo davanti ad eventi che si ripetono , cerco di trovare un senso a queste ingiustizie,ipocrisie e mi sembra che sia tutto un giro maledetto e implacabile di una ruota che gira e che forse tutti noi prima o poi diamo una mano per farla girare... . "Gli altri nel sacco si credono più liberi".....oggi più che mai. Anche i poeti crollano, ma questo è Montale e a certi uomini certe cose non si perdonano, come non vengono perdonate a Fortini sono poeti dai quali tanti si aspettano idee chiare, ferme, niente crolli, altruismo,capacità di leggere nel futuro, come dovrebbe essere... ma non so ...tutto ciò non è Poesia , non è soprattutto arte. Chiediamoci qualche volta quante volte abbiamo detto ciò che pensiamo , e in quale situazione abbiamo preferito stare zitti per non rivelare ciò che la nostra morale ci ha obbligati a nascondere solo perchè la strada che abbiamo imboccato è quella senza dubbi,senza mettere mai in discussione noi e le nostre debolezze , che poi alla fine non sono altro che la forza che ci mette in luce davanti alla verità che tentiamo ogni giorno di capire. Emy

Anonimo ha detto...


Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

da Emy



Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Emy:


"Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo."

Sì, certamente...
Ma uscendo fuori dalla poesia e tornando terra terra, tu sai chi non era Montale e cosa non voleva nell'Italia del suo tempo?
E prova a dire cosa "non siamo" oggi e "ciò che non vogliamo".

Anonimo ha detto...

Me lo sono chiesto, caro Ennio, e preferisco stare nella poesia.... Montale come tutti gli altri grandi era una uomo del suo tempo che si è formato per gran parte della sua vita come autodidatta , fuori dai condizionamenti... sostenendo con forza le sue idee, ma si sa i tempi sono maestri ed il suo tempo è stato uno dei più terribili. Iproblemi esistenziali non fanno storia creano sempre grandi dubbi, cedimenti ma anche certezze per chi vuol andare avanti. E' stato per me un grande e leggerlo , sempre mi fa riflettere ed emozionare. Emy