venerdì 1 febbraio 2013

SEGNALAZIONE.
Dal blog "Poesia & poemas:
Vinicius de Moraes


Riprendo questa poesia dall'interessante blog (qui) "Poesia & poemas" di Patrizia Ercole [E.A.]

L’avere (O haver) di Vinícius de Moraes


Resta, al sommo di tutto, questa capacità di tenerezza
Questa perfetta intimità con il silenzio
Resta questa voce intima che chiede perdono di tutto:
- Pietà! perché essi non hanno colpa d’esser nati…
Resta quest’antico rispetto per la notte, questo parlar fioco
Questa mano che tasta prima di stringere, questo timore
Di ferire toccando, questa forte mano d’uomo
Piena di dolcezza verso tutto ciò che esiste.

Resta quest’immobilità, questa economia di gesti
Quest’inerzia ogni volta maggiore di fronte all’infinito
Questa balbuzie infantile di chi vuol esprimere l’inesprimibile
Questa irriducibile ricusa della poesia non vissuta.
Resta questa comunione con i suoni, questo sentimento
Di materia in riposo, questa angustia della simultaneità
Del tempo, questa lenta decomposizione poetica
In cerca d’una sola vita, una sola morte, un solo Vinícius.
Resta questo cuore che brucia come un cero
In una cattedrale in rovina, questa tristezza
Davanti al quotidiano; o quest’improvvisa allegria
Di sentir passi nella notte che si perdono senza memoria…
Resta questa voglia di piangere davanti alla bellezza
Questa collera di fronte all’ingiustizia e all’equivoco
Questa immensa pena di se stesso, questa immensa
Pena di se stesso e della sua forza inutile.
Resta questo sentimento dell’infanzia sventrato
Di piccole assurdità, questa sciocca capacità
Di rider per niente, questo ridicolo desiderio d’esser utile
E questo coraggio di compromettersi senza necessità.
Resta questa distrazione, questa disponibilità, questa vaghezza
Di chi sa che tutto è già stato come è nel tornar ad essere
E allo stesso tempo questa volontà di servire, questa contemporaneità
Con il domani di quelli che non ebbero ieri né oggi.
Resta questa incoercibile facoltà di sognare
Di trasformare la realtà, dentro questa incapacità
Di non accettarla se non come è, e quest’ampia visione
Degli avvenimenti, e questa impressionante
E non necessaria prescienza, e questa memoria anteriore
Di mondi inesistenti, e questo eroismo
Statico, e questa piccolissima luce indecifrabile
Cui i poeti a volte danno il nome di speranza.
Resta questo desiderio di sentirsi uguale a tutti
Di riflettersi in sguardi senza curiosità e senza storia
Resta questa povertà intrinseca, questa vanità
Di non voler essere principe se non del proprio regno.
Resta questo dialogo quotidiano con la morte, questa curiosità
Di fronte al momento a venire, quando, di fretta
Ella verrà a socchiudermi la porta come una vecchia amante
Senza sapere che è la mia ultima innamorata.


postuma, in Poesie e canzoni, 1981 (traduzione di Piero Ceccucci)


Vinícius de Moraes (poeta e musicista brasiliano, (1913-1980). Pubblica il suo primo libro di poesie O caminho para a distância nel 1933, e nel 1938 parte come borsista per Oxford dove studia lingua e letteratura inglese. Qui si verifica l’incontro con la lirica di Shakespeare, determinante per il raggiungimento di quella maturità poetica che lo porrà all’attenzione della critica più qualificata. Entra poi nella carriera diplomatica avendo così la possibilità di fare amicizia con jazzisti e cineasti di fama, tra cui Louis Armstrong e Orson Wells, che lo proietta nel mondo dello spettacolo. Vinicius de Moraes è inventore con João Gilberto della bossa nova, diventando divulgatore straordinario della musica popolare e della cultura brasiliana nel mondo.


O Haver – Vinicius de Moraes
Resta, acima de tudo, essa capacidade de ternura
Essa intimidade perfeita com o silêncio
Resta essa voz íntima pedindo perdão por tudo
- Perdoai! eles não têm culpa de ter nascido…


Resta esse antigo respeito pela noite, esse falar baixo
Essa mão que tateia antes de ter, esse medo
De ferir tocando, essa forte mão de homem
Cheia de mansidão para com tudo que existe.


Resta essa imobilidade, essa economia de gestos
Essa inércia cada vez maior diante do Infinito
Essa gagueira infantil de quem quer balbuciar o inexprimível
Essa irredutível recusa à poesia não vivida.


Resta essa comunhão com os sons, esse sentimento
Da matéria em repouso, essa angústia da simultaneidade
Do tempo, essa lenta decomposição poética
Em busca de uma só vida, uma só morte, um só Vinicius.


Resta esse coração queimando como um círio
Numa catedral em ruínas, essa tristeza
Diante do cotidiano; ou essa súbita alegria
Ao ouvir na madrugada passos que se perdem sem memória.


Resta essa vontade de chorar diante da beleza
Essa cólera cega em face da injustiça e do mal-entendido
Essa imensa piedade de si mesmo, essa imensa
Piedade de sua inútil poesia e de sua força inútil.


Resta esse sentimento da infância subitamente desentranhado
De pequenos absurdos, essa tola capacidade
De rir à toa, esse ridículo desejo de ser útil
E essa coragem de comprometer-se sem necessidade.


Resta essa distração, essa disponibilidade, essa vagueza
De quem sabe que tudo já foi como será e virá a ser
E ao mesmo tempo esse desejo de servir, essa
Contemporaneidade com o amanhã dos que não têm ontem nem hoje.


Resta essa faculdade incoercível de sonhar
De transfigurar a realidade, dentro dessa incapacidade
De aceitá-la tal como é, e essa visão
Ampla dos acontecimentos, e essa impressionante.


E desnecessária presciência, e essa memória anterior
De mundos inexistentes, e esse heroísmo
Estático, e essa pequenina luz indecifrável
A que às vezes os poetas dão o nome de esperança.


Resta essa obstinação em não fugir do labirinto
Na busca desesperada de uma porta quem sabe inexistente
E essa coragem indizível diante do grande medo
E ao mesmo tempo esse terrível medo de renascer dentro da treva.


Resta esse desejo de sentir-se igual a todos
De refletir-se em olhares sem curiosidade e sem história
Resta essa pobreza intrínseca, esse orgulho, essa vaidade
De não querer ser príncipe senão do seu reino.


Resta essa fidelidade à mulher e ao seu tormento
Esse abandono sem remissão à sua voragem insaciável
Resta esse eterno morrer na cruz de seus braços
E esse eterno ressuscitar para ser recrucificado.


Resta esse diálogo cotidiano com a morte, esse fascínio
Pelo momento a vir, quando, emocionada
Ela virá me abrir a porta como uma velha amante
Sem saber que é a minha mais nova namorada.


15/04/1962 – Extraída do livro “Jardim Noturno – Poemas Inéditos”, Companhia das Letras – São Paulo, 1993, pág.









 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Che c'è da dire quanto ti si gonfia il cuore...se non -Meraviglioso!- . Immobile : Emy

Anonimo ha detto...

forse il punto più alto del "saudade brasiliano" un turbinio di sentimenti anche contraddittori, a volte un sentimento di arresa alla situazione reale "una facoltà di sognare di cambiare la realtà" ma "dentro questa incapacità di non accettarla se non com'è ", la speranza è una piccolissima luce indecifrabile. La felicità è sempre in bilico come "A Felicidade" di "Orfeo Negro" che è come una piuma che il vento porta per l'aria".
Saudade come nella bellissima bossa nova "Aquas de Marco" del grande Jobim metafora della vita e del suo inevitabile procedere verso la morte cui però non mancano piccoli slanci di "promessa de vida". Ma provate a sentire "O Haver" (you tube) con un lieve accompagnamento musicale e la comparsa improvvisa della voce magica di Milton Nascimento(ne sono sicuro quasi al 100X100). E come se il sottofondo fornisse più pregnanza ai significati. Vinicio fa ricordare gli altri grandi come Chico Buarque (Construcao è da sentire) che ha vissuto anche in Italia e che nelle sue canzoni prendeva elegantemente per i fondelli la dittatura brasiliana in modo molto ironico e tutti quelli che come Caetano Veloso, Gilberto Gil.... hanno contribuito a far nascere il Tropicalismo movimento musical-culturale degli anni 60 del 2° millennio molto criticato dai tradizionalisti. Enzo