domenica 22 gennaio 2012

Alda Cicognani
Tre poesie

         
Scegliere un uomo

                          I

scegliere un uomo  come scegliere un uovo
                     lì sullo scaffale in un contenitore
una giornata calda  uova calde  minacciose
così innocentemente bianche  ovoidali
                      con quel dono all’interno
non si pensa al colesterolo nel tuorlo
avvolto nella chiara spessa di opale

è nel cuocere un uovo al tegamino l’atto
il più sensuale di tutta la gastronomia
                      dopo la preparazione dell’ostrica
un attimo per l’ostrica  ma un attimo sacrale

venerdì 20 gennaio 2012

Luigi Cannillo
Sette poesie
da "Cielo Privato"


*
Anni di presunta gloria
lanciati in alto
come berretti in giubilo
quando le cene d'estate spalancavano
le porte generose al vicinato
e poi precipitarsi lustri al varietà
Spinti senza passato
a proseguire il secolo
tempo a cambiali per gli adulti
firmato testa bassa a cancellare
lividi di fatica e frenesie notturne
A noi risparmiavano il racconto
delle adunate le corse nei rifugi
perché le ferite e il cambio di uniformi
la storia accantonata per i grandi
Per me ai confini del silenzio
le gare il teatro in solitaria
eroi di carta e gli ostacoli davanti
Nessuno adesso si permetta
il lusso della nostalgia
bruciano i documenti fra le mani
senza mai consumarsi
Resta la storia il tempo che strattona
e i suoi schiaffi, la pelle
che ne brucia ancora
Questa la nostra corona
il campo di battaglia senza tregua

Francesco Leonetti
Tre
delle "Poesie scelte 1942-2001"



Riassunti mondiali (1994)

1.
I corpi in trincea a buchi / bombardati da velivoli.
E quindi si solleva in su / la crosta terrena stessa.
È lava rossa, espansa; / è movimento come in noi, si esulta.
Ma per bloccare l'impeto / caldo umano sono scaricati
addosso i massi giù / dai mostri meccanici in cielo.
Oh non c'è un bel essere / diabolico fra noi capace
di rispondere ribelle e / battere l' irragione al dominio.

2.
Qui c'è solo la cosa del lavoro e la foia.
Ma stiamo per ore allo schermo mirando.
Le giostre, le sfide, con camere addosso.
Da vedenti. Il caracollante occidentale
attacca coi suoi fendenti a spada corta.
L'altro d'oriente col sandalo pesta fango:
per levare gli schizzi fulminei nella cura
di percezione del dettaglio trasversale
durante i sobbalzi dei passaggi continui.
La stilla infine all'occhio acceca quello ...
Ma non era che un' ombra, una sagoma esposta:
si ripresenta, duplicata presenza, il cavaliere
    dell' occidente e un musulmano è in campo.
Qui si combatte a pezzi per le lunghe notti.
Solo il guardare i grandi ci è concesso.
Ahi mai nessuno muore fra i campioni presto.

3.
Vengono i mali giù dai mostri meccanici in cielo.
Un bell' essere diabolico non c'è più in noi indigeni.


martedì 17 gennaio 2012

Lucio Mayoor Tosi
Area C + Zero orizzontale.


AreaC

Una città che fa scivolare l’acqua per i platani fin dentro i polmoni
come inchiostro. La notte fradicia, le cose vere senza colore.
Come stai?
Ero sola. Laggiù i semafori, qua parcheggiate le auto. Avevo pensieri
qualcuno parlava e parlava. Il cuore in affanno.
Le guance dentro la fotografia, di velluto. La città di grafite. Il cuore
dentro la notte fradicia spenta, sul lettino. Un lenzuolino. Altrove.
Qui le auto, le ombre che balzano sui platani. Tu come stai che la città
è morta non si sa per quale spavento.
In centro hanno messo un pendolo. Uno di sinistra dopo l’altro di destra.
Quasi la stessa faccia. Di grafite e lenzuolino.

Amedeo Anelli
Tre poesie
da "Contrapunctus"

Contrapunctus VIII
                             
                                    Negli occhi di mia madre
Di sopra il tempo camminava sulle travi.
D'inverno la legna di traversa mandava fumo.
Il fuoco crepitava.
Cigolava lo sportellino in ghisa,
mentre guardavi nel fuoco
e tutto era silenzio.

Silenzio era il manto di neve sopra i campi,
silenzio erano gli alberi canditi dal gelo
silenzio era il rumore degli stivali sulla neve.
Silenzio era il fischio del treno,
che si perdeva fra luce e nebbia.
Ma la voce cresceva
cresceva il pungitopo in giardino,
cresceva l'ombra nelle tue spalle,
si alzava la nebbia nella luce.

Giorgio Mannacio
Cinque poesie
da "Dalla periferia dell'impero"


ENTROPIA
Di quel delitto atroce,
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce.
Il giudizio del tempo, lento e distratto,
sa mettere d'accordo
vittima ed assassino,
il boia che ride
e il pianto senza ritegno di un bambino.
Infinito disordine si cela
nell'apparente uniformità della polvere,
la sua multiforme, poco indagata origine.
Fu, forse, anche vertigine
di capelli disciolti in giochi e danze
o annodati con fiori, anime strette
in vesti di seta
inseguiti e strappati nelle stanze.
Ora non ha più suono
lo strato grigio, indifferente
e rimane un messaggio mai chiarito,
ultima traccia,
la frase del giudizio e del perdono:
quando ritornerai tra le mie braccia.

sabato 14 gennaio 2012

Francesco Dalessandro
Da "L'osservatorio"
con una nota di Giorgio Linguaglossa



I PARTE – L’OSSERVATORIO

2     
  
Un fiume di luci cangianti dal bianco
al rosso defluente alle sette
serali d’una domenica d’ottobre
in cui gli ultimi spiccioli di questa
estate straordinaria per caldo
e dolore si spendono, dal buio
dell’inversa corsia a chi torna – bava
brillante di lumaca più che corso
di luminarie nella notte (persa
l’ora legale) presto caduta, scia
del giorno assolato in cui sonnecchia pronto
al risveglio improvviso il primo freddo –
un fiume sordo-lento defluisce
e pulsa vita nell’opposto verso
nel giro del ramo che si piega
e divarica dal tronco in minori
affluenti, in un delta di quartieri
periferici o stagna nel traffico;
un fiume che nel cupo defluire
non sai ancora cosa reca se altro
dolore – sia graffio o puntura –,
o l’abbandono di un corpo
all’altro nell’enfasi perfetta
del desiderio (e il riposo che il dopo
amore fa sereno, rende necessario);
o forse l’ansia reca nel ritorno
a casa dove in due si è più soli
che soli, cupa smania il desiderio
ardente non cancella il dolore
ma ne cresce l’angoscia e incresce
al cuore, e più che stella splende
sull’antro famelico e l’affama
diana?
  

Giuseppe Pedota
Dopo il moderno?



Per intensificare il confronto tra il Laboratorio Moltinpoesia e gli amici romani  che hanno cominciato ad intervenire su questo blog,  anticipo stralci consistenti di un saggio di Giuseppe Pedota [Cfr. Nota alla fine]. Rielaborato da appunti sparsi, uscirà presto, per i tipi delle edizioni CFR nella collana di critica curata da Giorgio Linguaglossa. Fu scritto tra il 2005 e il 2010, anno della sua scomparsa. E nelle intenzioni dell’autore doveva contribuire al rilancio della rivista di letteratura «Poiesis», che a Roma tra il 1993 e il 2005 funzionò nella cosiddetta  condizione postmoderna come «una zattera di naufraghi»(Andrej Silkjn). La successiva dissoluzione del gruppo originario (G. Linguaglossa, D. Mafia, G. Stecher, G. Pedota, L. Stace, C. Santese e A. Silkjn) ha impedito la prosecuzione di una riflessione in comune sul tema che Pedota qui affronta: il passaggio dall’epoca dell’impegno, che è durata fino agli anni Settanta del Novecento e teneva  assieme cultura e politica progressista (di sinistra), all’epoca del “disimpegno” o della sfiducia nella necessità o possibilità di un cambiamento della società capitalistica. (Per la precisione «Poiesis» parlava di «Epoca del Tramonto» in un’accezione fortemente heideggeriana).

Leopoldo Attolico
Otto poesie
da "La realtà sofferta del comico"



A SBARBARO E UNGARETTI
Un intero tragitto
Montesacro
-Porta Pia
nel costipato inverecondo "36"
con l'afrore mefìtiço di cipolla
respiratomi in viso da una donna cannone
ho fatto pensieri liberatori molto vicini
ai profumi colorati dei licheni di Camillo.
Non sono stato mai
tanto
attaccato alla vita



APPARIZIONI
Ad alta voce nella platea "IN" del Barberini:
«Ma che caspita, coglionazzo che sei
dare dieci euro alla lucciola
ma chitticredi, Onassis?»
«Stai calma ché se li rnerita!»
Le lucciole sono scomparse.
Lei è l'ultima

giovedì 12 gennaio 2012

Mario Mastrangelo
So' scunusciute



So’ scunusciute ’e ffemmene ca stanno
rint’ ê ccase difronte,
nun se ne sanno ’e ffacce, ’e ggeste, ’e vvoce,
quanno girano svelte
rint’ ê stanze scuiete,
ca stanno llà ’e rimpetto, ma luntane
so’ cchiù d’ ’e scie r’ ’e stelle cumete.

Sulo, a ’e barcune, ’e loro veré lasciano
– simbolo ’e vite addó ’e ccose cchiù ìnteme
so’ nzieme palpitante e priggiuniere –
nu filare ’e mutande culurate
a ’o viento come fossero bandiere.

mercoledì 11 gennaio 2012

Maria Maddalena Monti
La tendina



In alto, nella vecchia casa
piano  piano  sposti la tendina.
Subito ricade
e  la notte precipita ricordi.
Si spegne la luce nella stanza.
Al buio,
appoggiati al legno del portone
due ragazzi - baci ingordi -.
 Nella lotta,
cadono ripari.
 Poi un riso indifferente,
un’unghia che stride sopra il vetro:
“Mettiamoci alla luce..
la vecchia…la guardona
ci vedrà."

Ma era per quel giovane respiro,
per quel dolce fiato caldo
che stacca il gelo delle ossa.

martedì 10 gennaio 2012

Dante Maffia
Cinque
delle "Poesie torinesi"


  
LA DIRIMPETTAIA

Ha il balcone spalancato,
va da un lato all'altro della stanza
(dev'essere forse il salone perché
si vede chiaramente un divano celeste
e una chitarra appesa alla parete di destra).
Ogni tanto qualcuno la chiama
o forse canta a bassa voce: la vedo aprire
e chiudere la bocca come nei film muti.
Penso che se al posto di lei ormai vecchia
(anche se quando la incontro in strada è sempre
elegante e con molto rossetto sulle labbra
e la cipria al punto giusto) ci fosse una ragazza
dai capelli lunghi biondi con le labbra
carnose io starei per ore a godermela. Invece
mi affretto a chiudere per evitare
di diventare un po' lei, d'essere coinvolto
nel ritmo del suo andare e venire per la stanza.

Giorgio Linguaglossa
Due poesie
da "La Belligeranza del Tramonto"


Giocavano a dadi con i meteci

 Un angelo zoppo ci venne incontro
e disse, senza guardarci: “malediciamo il nome di Dio.”

Eravamo incomprensibili. Stavano tutti al bar
a bere caffè, quando, a mia insaputa, cominciai a zoppicare.

Erano tutti zoppi gli avventori del bar e gobbi.
avevamo la gotta e la gobba ci spuntava dalle spalle.

A quel tempo dall’Albero vennero i bastardi
con le risposte pronte e gonfiarono le vele
e gettarono le ancore.

Io fissavo il loro occhio di vetro…

domenica 8 gennaio 2012

Paolo Pezzaglia
Forse Euridice

Edward Poynter, Orfeo ed Euridice


I

Dal pontile
parte l'ultimo caicco
per l
'isola greca.
Razionalità e prudenza
frenano ogni impulso
mentre il sole declina
tra nuvole sempre più grigie
e la tua bellezza,
pallida amica sera,
è immutabile,
come il malessere
della mia anima divisa,
che il traghetto
potrebbe dividere per sempre.

venerdì 6 gennaio 2012

CRITICA
Leopoldo Attolico - Ennio Abate
Sul giudizio di valore


Cranach, Giudizio di Paride

Riprendo  uno dei commenti alla poesia La grande casa immersa tra gli aranci di Giorgio Linguaglossa [qui], quello di Leopoldo Attolico, che offre uno spunto notevole per affrontare lo spinoso tema di come giudicare una poesia o la poesia di un qualsiasi autore. Gli replico con una nota. Ma spero che sia solo l'avvio di una riflessione a più voci. [E.A.]

Leopoldo Attolico:
 
Tentare un giudizio di "valore" su un singolo testo firmato è impresa non da poco , che si tratti di Calogero , di Ripellino o di Linguaglossa come in questo caso .
Io preferirei sempre pronunciarmi su un testo anonimo perché credo che nel "giudicare" la creatività firmata esista sempre una sudditanza o comunque un condizionamento psicologico - inconfessabile ai più - mediato dai connotati pubblici , privati , o riconoscibilmente "storici" dell'interessato . Non credo che il pubblico e il privato ( l'anonimo ) siano irrilevanti - almeno qui nella nostra italietta dell'esserci e dell'apparire ; quando come sappiamo basta apparire a certi livelli editoriali per essere percepiti come vincenti oggetto di sviolinate , buonismo critico ecc. .
Poniamo che Ennio Abate pubblichi in forma anonima una poesia introducendola con " Propongo un testo di un poeta emergente ". Già quell'"emergente" scatenerebbe le riserve mentali di larga parte dei commentatori e delle conseguenti valutazioni critiche ( dopodiché Ennio ci svela che l'autore è - poniamo - Lucio Piccolo ... ).

giovedì 5 gennaio 2012

Cristina Alziati
Otto poesie da "Come non piangenti"


*
A mio padre

Ti sei lavato, hai indossato abiti intatti,
poi la mente mi slitta ad ogni passo.
Non ho voluto vederti, di certo
ti avranno sdraiato.
Solo vorrei sapere, oppure è un sogno,
che non fu angoscia la tua meticolosa
cura - i documenti posati sulla panca
la sedia che portasti nel giardino, il nodo -
ma un qualche imperscrutabile, ma lieve,
stato. Tutto è con te, segreto.
Forse a spartirne il peso io serbo,
dell' atto tuo, l'altro versante - il tonfo
della sedia sulla pietra, e la tua assenza
e il dondolio, che cullo, lento, lentissimo
del corpo sotto il pergolato.

lunedì 2 gennaio 2012

Suggerimento di lettura
per commentatori di blog



Un amico mi ha segnalato il sito di minima Et moralia, che conoscevo di sfuggita. Sono andato a visitarlo e con sorpresa  ho trovato questo intervento di Anna Maria Ortese, di cui copio l'inizio. E' una lettura che suggerisco indistintamente a tutti i commentatori che si affacciano su questo blog. [E.A.] 

Non c’è forse, dopo l’Italia, un altro Paese al mondo dove ciascun abitante abbia come massima ambizione lo scrivere, e ce n’è pochi altri dove quel che ciascuno scrive – pura smania di dilettante o regolarissima professione – scivoli, per così dire, sull’ attenzione dell’ altro, come la pioggia su un vetro. Ma scivola è un’ espressione in]dulgente: inquieta, offende, avvilisce, si vorrebbe dire. Ogni abitante-scrittore se ne sta sul suo manoscritto come il bambino, a tavola, col mento nella sua scodella, sogguardando la scodella, cioè il manoscritto, dell’ altro: e se quello è più colmo, sono occhiatacce, lacrime… si sente parlare del tale, del tal altro che ha pubblicato o sta per pubblicare un nuovo libro. Subito, chi ha questa italianissima passione dello scrivere, o dello scrivere ha fatto il suo mestiere, si precipita a vedere di che si tratta, e in che cosa il rivale si mostri inferiore a quel che se ne dice, o si temi.
Se il sospetto, la paura, si rivelano infondati, è un sollievo tinteggiato di nobile comprensione: «Un buon libro… Hai letto l’ultimo libro di T.? Certo potrebbe far meglio… L’ho sfogliato appena – e me ne dispiace – ma non ho mai il tempo di leggere…». Ed è vero: perché se appena alle prime pagine il rivale appare quel che si desidera – un mediocre – cessato l’ allarme, la sua modesta fatica non interessa più. Quando già alle prime pagine, invece, lo scrittore-lettore si rende conto di trovarsi di frontea un’ autentica novità e forza, il colpo che ne riceve è così brusco che, lì per lì, non riesce a fiatare, e se ne sta zitto e disfatto nel suo angolo. Di continuare non se ne parla, prova una specie di nausea. In un secondo momento, però, scoppia la reazione: si tratta di un’ opera indegna, una vera truffa letteraria, «ma dove andiamoa finire di questo passo… vedrai che a quello gli danno un premio…», e così via. E il premio qualche volta arriva, e allora è un dolore, un lutto generale, e si cominciano a scrivere articoli abilissimi dove si parla perfino del primissimo elzeviro dello studente di Caltagirone, o si elevano entusiastiche lodi all’ingegno di V., che, novantenne, ha ristampato l’intera mole delle sue opere, insipide e pesanti come patate: e solo si tace il nome del vero colpevole, l’ultimo arrivato, che nonè stato al gioco d’infilare le parole l’una dopo l’altra, semplicemente, ma ha «adoperato» la parola, l’ha mortificata mettendola al servizio di alcuni interessi.


[L'intervento completo di Anna Maria Ortese si legge QUI]

Anonimo (?) irlandese
May the road rise up to meet you



Faccio miei – e ve li inoltro - questi auguri di autore irlandese a me ignoto:  può darsi che siano scritti anche nelle scatole dei famosi cioccolatini di Dublino, i preferiti di Joyce (ma lui non avrebbe mai scritto una cosa simile...): attendo eventualmente il commento chiarificatore di Provenzale, se non è ripartito per il Far West...
Paolo Pezzaglia


May the road rise up to meet you
May the wind be ever at your back
May the sun shine warm upon your face and
The rain fall softly on your fields and
Until we meet again
May God hold you in the hollow of his hand


domenica 1 gennaio 2012

Giulio Stocchi
Il debito sovrano




Il cielo è alto
Sulla proda del fosso il cane
Annusa nel vento

Cicale sospese
Hanno ripreso il canto
Eco larga luce lenta

Nel riflesso dell’acqua
Elusiva un’ala
Lieve disegna
L’arabesco la scia
Al pesce e va via

sabato 31 dicembre 2011

Marcella Corsi
L'anima, dirne in poesia


non che non si possa ma ora come ora (ruberie
giochi perversi fiscali evasioni furberie) mi ruberebbe
quasi l’anima un bell’ all'anima de' li mortacci tua
(e de' tu' nonno)
e seguitando

sarei disposta a vendere l’anima al diavolo per poche
parole nette dirette precise che cercano e offrono
che non si fanno scudo né per sé strumento
che in danno anzi di sé siano capaci di dire e pre-
sentire (all'anima
delle parole
potrebbe dire l’autore

dei troppi versi dove si mostrano animelle pietose
del tutto o quasi di sé prese che non riescono a bucare)


Moltinpoesia
Dialetto terra del rimorso?

Sul dialetto in poesia oggi
Una discussione del 2009 con un inserto del 2004

Il dialetto - questa è la mia ipotesi - è forse la nostra terra del rimorso, come diceva Ernesto De Martino del mondo contadino che in Italia  verso gli anni Cinquanta si stava avviando alla sua apocalisse (quella indotta dalla modernizzazione industriale). Il post di Giorgio Linguaglossa «Lingua delle maschere» (o lingua delle nacchere?)[qui] ha riproposto la controversa questione della funzione del dialetto nella poesia contemporanea. Ed ha suscitato una vivace discussione. Segno che l’argomento  ha ancora risonanze profonde in quanti  sono legati al dialetto sia da questioni biografiche e storiche e sia da un investimento che potrebbe dirsi mitico. A riprova di quest’attenzione pubblico i documenti di precedenti riflessioni  del 2009 e del 2004. Le faccio precedere da questi due video trovati su You Tube.  Con le loro immagini  in b/n, pulite e drammatiche,  restituiscono una piccola sensazione dello spessore arcaico che si cela  in alcune  pieghe della nostra discussione oscillante tra  nostalgia e  realismo. [E.A.]





venerdì 30 dicembre 2011

Giorgio Linguaglossa
La grande casa
immersa tra gli aranci


G. Zannini

La grande casa immersa tra gli aranci.
U
n vento freddo la percorre a ritroso.
Nel cofanetto, i gioielli di mia madre, il bocchino d'avorio,
le lettere avvolte in un nastro azzurro, il quaderno viola dove è scritto
                                                                                           
[ il destino.
Sullo stipite del tempo, l'algida immortalità dell'angelo:
"Vivete in casa e la casa non crollerà."

Alberto Accorsi
Orfica



Ogni  parola è una pala 
che scava: 

Barciuldin 
Filos 
Cicin 

E io mi avvicino timido 
con il mio rametto 
in mano 

Victor Cavallo (Vittorio Vitolo)
Ce n'ho abbastanza



ce n'ho abbastanza per comprarmi una bottiglia di vodka
un chilo di arance un amburg il pane tondo una birra
un pacchetto di marlboro.
E poi mangio l'amburg col pane tondo tostato e
bevo la birra e fumo la marlboro e poi spremo due
arance con la vodka.
E poi esco e incontro la più grande figa della mia
vita con gli occhi verdi e le ciglia nere e la bocca
rossa e le mani nervose e decidiamo cazzo di non
fare nessun film di non scrivere nessuna stronzata di non recitare
nessuna cagata e di non andare in campagna
e di non occuparci della casa né della merda né dei
capelli né dei comunisti.

giovedì 29 dicembre 2011

Segnalazione
Sul sito de "L'OSPITE INGRATO"

27 dicembre 2011
Brodskij legge Miłosz: “Figlio d'Europa” (1946). 
Quattro versioni a confronto 

Sara Martinelli, Magdalena Rasmus

scrittura/lettura

CLICCA QUI

I versi di Miłosz, nati dalle ceneri disperse di una civiltà, non cantano tanto l’offesa e il dolore, ma ci sussurrano «il senso di colpa di coloro che sono rimasti tra i vivi», e in virtù della loro poesia, ci insegnano «a porci in relazione con questa colpa». Una colpa avvertita, pare, da Brodskij stesso, e che si rivela ancora nelle parole pronunciate nell’atto di ricevere il Nobel, quando il poeta ricorda tutti coloro ai quali quell’onore non è spettato, con riferimento ai nomi della letteratura russa (Mandel’štam, Pasternak, Cvetaeva, Achmatova) falcidiati – fisicamente o artisticamente – in un secolo “carnivoro” come è stato il XX. Lo stato d’animo del sopravvissuto traspare costantemente anche dai suoi versi, per esempio nella lunga ninnananna al figlio rimasto in patria, Kolybel’naja Treskogo Mysa (Ninnananna di Cape Cod), dove leggiamo: «cтранно думать, что выжил, но это случилось»14(È strano pensare che sono sopravvissuto. Ma questo è accaduto). Ma l’ingiustizia e l’orrore subìti non indulgono mai a un facile compianto né ad alcun tipo di autocommiserazione, secondo quella lezione impartita dall’arte che Brodskij e Miłosz apprendono dai loro predecessori classici, così

[…] ciò che il poeta enuncia è una versione spaventosamente asciutta dello stoicismo, che non ignora la realtà, per quanto assurda e orribile possa essere, ma la accetta come una nuova regola che la persona deve assumere senza rinunciare ad alcuno dei suoi valori, già ampiamente compromessi.

mercoledì 28 dicembre 2011

Felice Accame
Nuovi fatturanti e vecchie libidini

Olindo Guerrini, noto con gli pseudonimi di «Lorenzo Stecchetti», «Argia Sbolenfi», «Marco Balossardi»,«Giovanni Dareni», «Pulinera», «Bepi» e «Mercutio» (1845 - 1916)

Oggi sono stato alla Libreria Odadrek di Milano,  vero e quasi unico covo carbonaro contro il mercantilismo culturale nella città della  Grande Finanza trionfante su Tremonti e Monti vari, e Felice Accame, che insieme a Carlo Oliva conduce quasi tutte le domeniche  a Radio popolare la trasmissione La caccia. Caccia all'ideologico quotidiano (informazioni qui), mi ha segnalato questo suo dotto e irriverente testo. Bersaglia soprattutto  gli psicanalisti, ma anche  una certa tipologia di poeti. E, perciò, lo riprendo su questo blog anche per il preciso riferimento alla notizia polemicamente commentata mesi fa in Miss Poesia e Miss Pecunia (qui). (Tra parentesi. Pare che la Casa della Cultura - o Cucchi stesso?-  abbia rinunciato all'incestuoso matrimonio tra le due miss). [E.A.]


Rifugiatosi a Bruxelles, il rivoluzionario Giuseppe Ferrari scrisse I filosofi salariati, un’opera in cui accusa i filosofi francesi in particolare e i filosofi in genere di essere pronti a cambiare filosofia a seconda di chi sale al potere. Anni dopo, il poeta Olindo Guerrini, in arte Lorenzo Stecchetti, gli dedicò una poesia:

 

 

I FILOSOFI SALARIATI

 

Or non più tra le rabbie e le contese

Povera e nuda va filosofia,

Ma fa la ruota a scuola e per la via,

Tira la paga e noi facciam le spese.

 

Se regnano la forca e il crimenlese

Di San Tomaso fa l’apologia,

Se torna in alto la democrazia

Inneggia alla repubblica francese.

 

Ah, panciuta camorra di ruffiani

Che della verità strame vi fate.

Ogni giorno che splende ha il suo domani

 

A rivederci, maschere pagate,

A rivederci, illustri mangiapani,

A rivederci sulle barricate!

Gianmario Lucini
Buon anno con fantasia sovversiva



  
Fosse per me, li farei scoppiare
in un sol botto - e dove dico io -
quei petardi che le cagnare
umane corrotte dal sentire

intruppato del ventennio deflagrano
già ora nel silenzio della notte:
tutti insieme e con un solo schianto
a spazzare gli avanzi di promesse,

sorrisi cattivi a trentadue denti
dei parassiti in giacca e cravatta,
insieme ai ladri, ai servi cretini,
e alle prostitute di regime.

Passato il buonismo erga omnes, dovere alla memoria di chi ci insegnò ad amare anche i nemici, io torno al vecchio peccato della satira amara, che mi cresce dentro cattive fantasie, che confesso pur senza invocare assoluzione.

Un Buon Anno e ogni bene a tutte le eccezioni.

Gianmario

martedì 27 dicembre 2011

Enzo Giarmoleo
"Scatti" di Leonard Freed
e Parole di Lawrence Ferlinghetti



Il pittore, lo scultore … c’è anche il poeta che, pur non potendo cambiare il paesaggio, l’andatura delle persone, delle cose, delle architetture, ha più tempo per osservare, ha sicuramente qualche minuto in più di un semplice scatto.  Il tempo gli permette di speculare sulle immagini che può rivedere in momenti successivi, anche se non sono mai le stesse ma è “avvantaggiato” rispetto al fotografo.  Può cambiare gli “scatti” delle parole a tavolino o anche in movimento su un bloc note.  Nella poesia “I vecchi italiani morenti” di Lawrence Ferlinghetti, le parole diventano immagini fluide, frutto di attente osservazioni: i dettagli somatici, gli atteggiamenti dei personaggi in azione, addirittura le forme, l’antropologia delle mani, la foggia degli indumenti, la forma degli orologi – quasi si sente il suono della campana, l’andatura pesante dei piccioni, sembra di vederli.  La parola che descrive diventa immagine senza soluzione di continuità tra fotografia e poesia. 

Quella cosa in Lombardia
(Fortini-Carpi)


lunedì 26 dicembre 2011

Critica
Alessandro Ettore Cimò
La poesia, ahimè, non è morta!


Non conosco di persona Alessandro Ettore Cimò, autore del saggio che qui pubblico.  Di lui , però, avevo letto su un sito di teoria politica «Ventiquattro tesi per un Conflitto Poetico Totale»  e, nel lontano gennaio 2011, gli avevo replicato con un dettagliato «Commento alle tesi di Alessandro Ettore Cimò». La nostra discussione riprende ora con questa messa a punto delle sue precedenti tesi, intitolata in modo significativo e paradossale, La poesia, ahimè, non è morta!  
Nel presentarla, avverto i moltinpoesia che si tratta di uno scritto teorico non di agevole lettura  e che tocca una questione - l’ambivalenza del rapporto tra poesia (o cultura) e potere - che oggi sembra per pochi, mentre fino agli anni Settanta è stato in primo piano nel dibattito culturale italiano in tutta l’area della «poesia critica» (Pasolini, Fortini, Leonetti, Volponi, Majorino, ecc.), più o meno influenzata da Marx. Chi vuole può benissimo saltare.