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Oggi che la poesia è diventata per molti oggetto di banalità quotidiane è forse arrivato il tempo di svolgere alcune variazioni di pensiero sulla sua immortalità.
Che la poesia sia immortale è affermazione comune. Essa è più vera e al tempo stesso meno impegnativa e importante di quanto appaia.
Si può iniziare una analisi non canonica di essa dall’osservazione – senza illusioni – sul destino delle grandi opera di architettura. Al pari delle case dei terremotati, anche le Mura Aureliane si stanno sbriciolando . Il sito archeologico di Pompei conosce altra cenere. Nella prospettiva del tempo storico di lungo periodo, di tali gioielli nulla rimarrà in piedi. Se ipotizziamo – cosa possibile date le nostre enormi capacità tecniche – che essi possano essere ricostruiti “ come se la distruzione non fosse avvenuta “ , è onesto riconoscere che si tratterebbe comunque di “ cose diverse dall’originale “ , di “ copie o falsi “ .
Identica sorte attende opere mirabili della pittura. Identicamente ipotizzabile, cioè, sia la loro fine sia la loro riproducibilità come “ falso “ in senso proprio ( se la quantità e qualità dei restauri finisce per sostituirsi al dipinto ).
Per tali manifestazioni artistiche dello spirito umano si può dire che l’immortalità è assicurata da una serie più o meno perfetta di falsi.