lunedì 9 aprile 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Fuori di sesto"
di Tiziano Salari



L’EPOCA DELLA STAGNAZIONE SPIRITUALE
Tiziano Salari Fuori di sesto Neos, Rivoli, 2012

Storicamente, l’immediatezza sensibile della lirica dell’epoca classica della filosofia tedesca fa sì che in essa l’oggetto sia immediatamente prensile, sia a disposizione del lettore in quanto riconosciuto. Nell’età classica della lirica («Agli dei di Hölderlin e al cielo stellato di Kant»), in Hölderlin e in Leopardi,  c’è ancora corrispondenza tra soggetto e oggetto, c’è una esperienza che richiede di essere tradotta in poesia, e la forma-poesia assume una configurazione riflessa e conclusa in se stessa tra un soggetto in posizione desiderante e un oggetto in stato desiderato.
Oggi, le cose della lirica nell’età post-lirica, stanno in modo ben diverso. L’epoca della stagnazione spirituale si preannuncia senza squilli di tromba o clangori di ottone: non c’è più una corrispondenza tra il soggetto e l’oggetto, non c’è più una esperienza significativa, non c’è più alcuna riconoscibilità tra il lettore e l’esperienza significativa descritta nella poesia. Il lettore è abbandonato a se stesso tamquam l’autore. In un poeta come Wallace Stevens questo processo è già molto visibile: la poesia si avvia a diventare quel clicchete clacchete di cui parlava il poeta statunitense, la poesia resta senza alcun destinatario. Così, anche nei suoi momenti di maggiore gaiezza, come nella poesia di Stevens, la poesia attecchisce al «lutto» di una perdita. Così è nella poesia di Salari, colpita anch’essa dalla melancholia del «lutto».

domenica 8 aprile 2012

Patrizia Villani
Sette poesie
da "Conversazioni necessarie"

E.Hopper, Morning sun

Incompiuti

Incompiuti moriamo
perché altri nascano calpestando resti

come noi abbiamo calpestato altri,
indifferenti nella cruda gioventù
che pretende vigore fisico e bellezza.

È la vita: s'impara tardi la compassione
quando le oscene infermità si fanno avanti.

È la vita: giudichiamo oggi errori del passato,
allestendo per domani nuovi processi
con mani certe, le nostre.

Incompiuti e soli moriamo,
un ultimo sguardo al panorama eterno

che ci conferma il destino dell' età
nella luce fragile della rivelazione:

è la vita, e noi di più non siamo.

Meeten Nasr
Emmaus


Rembrandt, Cena ad Emmaus

Cleopa pensa:
Via, via, lontani da Jerusalem,
città del peccato universale!
 Non posso non amare quel Maestro
che tutti amava e da tutti era riamato.
Lui dolce, lui vero!
Da lui la nostra vita eterna.

Il viandante dice:
Di Gesù Nazareno tutto ignoro.
Ma a te, Cleopa, e al tuo socio taciturno
mentre andiamo svelerò certe Scritture
che annunciavano l’avvento del Messia.

L’oste racconta:
Già il sole era al tramonto, rosso il cielo
come sangue, come vino in tre bicchieri
quando i viandanti sedettero alla mensa
apparecchiata sotto il portico, all’aperto.
Due erano a me ben noti, invece l’altro
aveva bionda  la barba, azzurri gli occhi e franco
il bel viso arrossato, quasi sfidato avesse il vento.
Portai loro tre piatti, un lume, un pane. E fu silenzio.
Ma quando il giovane afferrò il pane e lo spezzò
dicendo “questo è il mio corpo”
ambedue gli altri si levarono gridando:
“Rabbi! Rabbunì! Nostro Signore!”
E si fece gran luce, in quel portico e nel mondo.
                                                                                                                                       


venerdì 6 aprile 2012

Ennio Abate
Il poeta e la morte.
Omaggio a Armando Tagliavento.

Armando Tagliavento (1930-2012)
E' morto ieri pomeriggio all'Ospedale Sacco di Milano Armando Tagliavento, il "bidello-scrittore", di cui avevo pubblicato su questo blog alcune poesie e una mia riflessione del 2006 sulle sue scritture (qui e qui). Per ricordarlo ancora, pubblico  le poesie uscite sulla rivista Il Monte Analogo n.1 del 2003  e un inedito (credo...), che mi  consegnò negli ultimi anni durante alcune visite nel suo appartamento di Via Chiari 3 a Milano. [E.A.]

DISCUSSIONE
Ennio Abate
E' così facile lo sposalizio
di Poesia e Scienza? (2)

 

Questo post riprende la discussione sviluppatasi nei commenti di quello precedente dallo stesso titolo (qui). [E.A.]

 

SECONDA LETTERA A ROBERTO MAGGIANI.

 

Caro Roberto,

avviatosi il dialogo tra noi, mi permetto ora il tu. Per scrupolo intellettuale, per evitare di spostare l’attenzione sul mio punto di vista, per non sembrare uno che parla solo sulla base di un’intervista, trascurando il discorso più completo  da te svolto, ho  riletto  il  tuo saggio «Poesia e scienza: una relazione necessaria?» (CFR 2011). E aggiungo a quanto finora detto le seguenti considerazioni:

mercoledì 4 aprile 2012

Laboratorio Moltinpoesia
alla Libreria Linea d’ombra di Milano
del 2 aprile 2012
su "La morte e la fanciulla".
Resoconto di Giorgio Mannacio.


L'incontro si è aperto con una riflessione un po' estemporanea sul sostantivo Morte che in tedesco è di genere maschile e in italiano femminile. Il tedesco consente un senso quasi romantico  al titolo del lied La morte e la fanciulla, più impervio in italiano. Di seguito si è parlato, in termini generali, del rapporto morte/tempo e dell'atteggiamento dell'uomo rispetto all'evento morte. Giovanna ha dato alla propria riflessione un taglio " filosofico" con echi heideggheriani ( l'uomo che vive nel tempo ed è egli stesso tempo), direzione che comporta connessioni importanti con la memoria e, quindi, la letteratura. A questo punto ho suggerito agli amici il libro di Giorgio Agamben Il linguaggio e la morte ( Einaudi 1982 ), saggio molto suggestivo anche se - forse - un tantino " cerebrale ". Evelina ha insistito "stoicamente" - nell'affermata assenza di paura per la morte - sulla dignità della vita attiva e responsabile, (unico ) aspetto veramente da considerare. Sono seguite letture di poesie (dei presenti e di altri poeti ) rispetto alle quali vorrei rilevare - uscendo da una elencazione puramente notarile - la  presenza di una impostazione religiosa in una poesia di Maria Maddalena  ribadita anche dalla sua riproposizione di un testo di padre Davide Maria Turoldo. Le altre - e ciò mi sembra coerente con il riaffermato rilievo che noi sperimentiamo solo la morte degli altri e come effetto sulla nostra sensibilità - hanno, con accenti diversi " descritto" situazioni di perdita, abbandono, lontananza. Non è mancata una esorcizzazione in chiave satirico-grottesca (Braccini).  Grazia mi è parsa singolarmente drammatica (con tratti " ungarettiani " ); Luisa sempre coerente (l'immagine dei morti/farfalle è inusitata, ma non peregrina ) al suo accostarsi gentilmente alle cose; il recupero del dialetto in Ennio una riaffermazione di un radicamento "storico" difficilmente estirpabile. Ho confessato la mia impotenza - che mi ha portato a non leggere testi miei - nel trovare una soluzione esteticamente valida al tentativo di definire la morte nella sua struttura , indipendentemente da ciò che essa provoca in noi in termini di dolore. Un grazie di cuore per la partecipazione.

martedì 3 aprile 2012

Roberto Bugliani
Apertis verbis



un gran imbroglio, e sapevano i farabutti
guidar bene le danze, colla faccia allegra a dirci
come solerti i servi a far da sponda!
era la perdita da cui cavar profitto
quando il miraggio ci fotteva tutti senza
e ciechi ci rendeva e remissivi
ora che squilibri strutturali salgono a galla
enfi del disastro, ora che bagliori
e i latrati, quanti, dei mastini a guardia!
i vincoli esterni, che vuol dir catene
e vassallaggio e artigli nelle carni
in eleganti panni il canagliume, che lo schermo affolla
giannizzeri e scherani, sempre quelli
del guai non si esce, semmai è colpa nostra
bisogna farci tedeschi, e cinesi se non basta
se non violenza è questa, la è spaccar vetrine?
un trepestio nel vuoto, la voce roca di nebbia, non
il freddo calcolo per pietà né errore ha fine
non rimorso arresta il misfatto, finché c'è roba all'incanto
e sangue da cavare, per asimmetrico gioco e sporco  
in moneta straniera ha conio la menzogna

lunedì 2 aprile 2012

Gezim Hajdari
Poesie
con una Nota di G. Linguaglossa


da POESIE SCELTE (1990 – 2007) Besa, Nardò, 2008
     *
Quanto siamo poveri.
Io in Italia vivo alla giornata,
tu in patria non riesci a bere un caffé nero
.
La nostra colpa: amiamo,
la nostra condanna: vivere soli divisi 
dall'acqua buia.

Annamaria De Pietro
Quindici poesie


Prosopopea di Orfeo (*)


Da fiume a fiume lei fluì – Euridice –.
Da serpe a serpe discese e scendeva
– ed io a ponente scesi, e giù strisciai
e lacerai la veste contro il sasso
dello stipite in fumo, e la bagnai
contro un’acqua che al sasso discendeva,
e io non sapevo donde avesse passo.

domenica 1 aprile 2012

César Vallejo
Un uomo passa con il pane in spalla…


Un uomo passa con il pane in spalla.

Potrò scrivere dopo sul mio sosia?

Un altro si siede, si gratta, cava un pidocchio dall’ascella, lo schiaccia.

Con che ardire parlar di psicoanalisi?

Un altro mi è entrato nel petto con un palo nella mano.

Parlare poi di Socrate col medico?

Passa uno zoppo e dà il braccio ad un bimbo.

DISCUSSIONE
Ennio Abate
E' così facile lo sposalizio
di Poesia e Scienza?



Con interesse, ma sempre più scuotendo la testa, ho letto l'intervista (qui) di Paolo Polvani a Roberto Maggiani, poeta e curatore del sito La Recherche. Riallacciandomi in parte a quanto scritto nel dialoghetto n.2 tra Samizdat e il Poeta Invisibile (qui), pubblico questa lettera di commento critico, sollecitando una discussione a più voci. [E.A.] 

Gentile Roberto Maggiani,
guardo con favore ogni tentativo di scuotere i poeti dal sogno della poesia “pura”, autosufficiente, sacralizzata e per lo più evanescente. Ma - anticipo la mia opinione - ho trovato  il suo modo di impostare il problema del  rapporto tra poesia e scienza poco attento agli sviluppi storici di entrambe e rischioso per la piega “spiritualizzante” che vedo nel suo discorso.
Oggi abbiamo tanti modi di fare poesia (semplificando: tante poesie) e tanti modi di fare scienza (tante scienze). Questa  pluralità da un lato può essere un vantaggio (più voci mostrano spesso più di alcune, magari anche eccelse), ma dall’altro è un problema in più, confonde certi tracciati sicuri; ed è segno comunque di una crisi  che, come tutte le crisi, può avere esiti imprevedibili e persino disastrosi. (Nulla è scontato e gli esempi, passati e attuali, non mancano).
In passato poesia e scienza ebbero ciascuna una propria indiscussa e autorevole unità. Oggi non più. Si pone allora un problema: i molti produttori della enorme e caotica valanga di testi scritti o spesso anche  di  espressioni orali, che classifichiamo ancora col termine 'poesia', e i veri e propri eserciti di esperti in saperi formalizzati e specializzati (o iperspecializzati), che, al servizio di istituzioni (macro e micro) economiche e politiche e spesso soprattutto militari (aspetto, quest’ultimo, niente affatto trascurabile), fanno quella ‘ricerca’,  che ancora indichiamo col nome di 'scienza' (o 'scienze'), possono davvero incontrarsi,  ascoltarsi, dialogare? 
E, di conseguenza, si pone pure una serie di obiezioni angoscianti: ci sono, cioè, le condizioni minime (e indispensabili) per permettere un dialogo, un ‘rapporto’ tra poesia e scienza? E di che tipo? La convinzione (speranzosa) che, pur partendo da presupposti e strumentazioni diversi, poesia e scienza siano due modi di conoscenza che attingono allo stesso “reale”, o l’ipotesi che potrebbero attingervi, che fondamenta hanno?

venerdì 30 marzo 2012

Massimo Parizzi
Da Seamus Heaney
a Katherine Mansfield


Per continuare e approfondire anche sul blog i temi trattati nell'incontro del 27 marzo (2012) alla Palazzina Liberty di Milano sulle traduzioni di Marcella Corsi dai Poems di Katherine Mansfield pubblico l'intervento di Massimo Parizzi che va letto idealmente assieme a quello di Patrizia Villani (qui). [E.A.]  

Ho letto i racconti di Katherine Mansfield, e poi le sue poesie, oltre una ventina d’anni fa. Ora Ennio Abate e Marcella Corsi, invitandomi qui, mi hanno obbligato a rileggerla, e a leggere per la prima volta altre sue poesie e pagine di diario. E di questo, oltre che dell’invito, davvero li ringrazio. Ma, quando della Mansfield ancora non avevo letto nulla, dei versi di un altro poeta mi avevano messo su di lei, come dire, una pulce nell’orecchio. E, facendo i compiti, mi sono accorto che non mi uscivano di mente. Ho quindi deciso di proporvi uno sguardo su Katherine Mansfield attraverso quest’altra poesia. È di Seamus Heaney, mi piacque molto e provai a tradurla. Il suo titolo è Apprendistato. Ve la leggo.

giovedì 29 marzo 2012

SEGNALAZIONE
La morte e la fanciulla


Prossimo incontro del Laboratorio Moltinpoesia
 alla Libreria Linea d’ombra di Milano
 Lunedì 2 aprile 2012 ore 17,30
Letture e dialoghi sul tema
La morte e la fanciulla
ovvero I poeti e la morte

La fanciulla: 
Via, ah, sparisci!
Vattene, barbaro scheletro!
Io sono ancora giovane; va’, caro! 
E non mi toccare.
La morte: 
Dammi la tua mano, 
bella creatura delicata!
Sono un’amica, 
non vengo 
per punirti.
Su, coraggio! 
Non sono cattiva.
Dolcemente dormirai 
fra le mie braccia!
(traduzione di P. Soresina, Garzanti)
 L’incontro, curato da Ennio Abate e Giorgio Mannacio, è aperto a tutti.
I partecipanti potranno leggere testi propri o di altri.
Libreria Linea d’ombra
Via San Calocero 29 Milano
Telefono: 028321175 Fermata MM  Linea verde Sant’Agostino

mercoledì 28 marzo 2012

Patrizia Villani
L’arte della traduzione


Per continuare e approfondire anche sul blog i temi trattati nell'incontro del 27 marzo (2012) alla Palazzina Liberty di Milano sulle traduzioni di Marcella Corsi dai Poems di Katherine Mansfield pubblico l'intervento di Patrizia Villani. Seguirà in un prossimo post quello di Massimo Parizzi. [E.A.]   


1. Premessa


Prima di parlare del lavoro di Marcella Corsi sulle poesie di Katherine Mansfield è necessario fare una premessa sulle caratteristiche di quell’operazione sul testo che è la traduzione. Vorrei chiarire in primo luogo che considero la traduzione un’arte, e non una scienza, ma occuparsi di traduttologia aumenta il livello di consapevolezza del traduttore sulle caratteristiche e la quantità dei problemi da affrontare, e lo studio della teoria rende più chiaro il percorso che ci porta da un testo A nella lingua di partenza a un testo B nella lingua d’arrivo.
E allora incominciamo con una definizione: tradurre significa innanzitutto comprendere e interpretare un sistema di segni concretizzati in una lingua e in una data opera, ma significa anche interpretare le componenti extra-linguistiche, e cioè l’esperienza complessiva, la particolare visione del mondo che costituisce il substrato, l’humus della lingua e del testo.

lunedì 26 marzo 2012

SEGNALAZIONE



 Quintocortile


Viale  Bligny 42 - 20136  Milano - tel.338. 8007617

 in collaborazione con

Milanocosa e CFR Edizioni

Invita
mercoledì 28 marzo - h. 18
alle presentazioni e letture di
Immigratorio di Ennio Abate (CFR 2011)
Winterreise, la traversata occidentale di Manuel Cohen (CFR 2012) 
 Ne parleranno:
Adam Vaccaro, Ennio Abate, Manuel Cohen, Gianmario Lucini 
In esposizione:  
 MONOCOLORI, 'Insolita Mail-Art'
a cura di 
  Donatella Airoldi e Mavi Ferrando 
 Info:
Associazione Culturale Milanocosa - Adam Vaccaro - Tel. 347 7104584 begin_of_the_skype_highlighting            347 7104584      end_of_the_skype_highlighting, info@milanocosa.it 
Associazione Quintocortile -  Mavi Ferrando, Donatella Airoldi - Tel. 338 8007617 begin_of_the_skype_highlighting            338 8007617      end_of_the_skype_highlighting, quintocortile@tiscali.it 

domenica 25 marzo 2012

SEGNALAZIONE

Prossimo incontro
del
 Laboratorio Moltinpoesia
a cura di Ennio Abate



O valley of waving broom,
O lovely, lovely light,
O heart of the world, red-gold!

Oh valle ondulata di ginestre,
incantevole, incantevole luce,
cuore del mondo, oro rosso!

Le traduzioni di Marcella Corsi
dai POEMS
di Katherine Mansfield

Ne parlano Patrizia Villani e Massimo Parizzi

Martedì 27 marzo 2012 ore 18
Palazzina Liberty
Largo Marinai d’Italia, 1 - Milano

sabato 24 marzo 2012

Francesca Diano
Congedi.
Viatico in undici stazioni


Le Sorti, Francesco  Marcolini – Giuseppe Porta inc. Venezia 1540 
I
L’ESCLUSA

Andavo per strade coperte di polvere
L’orlo della mia gonna sfilacciato
Non si curava di fango o sterco
I piedi scalzi – segnati dal rifiuto persino della terra.
Signori o plebei – non facevo alcuna differenza
Nessuna presenza era presenza
Ed ogni assenza – assenza.
Mi dolevano le ossa – ero una casa diroccata
Disabitata persino da me stessa
Preda di predatori e depredata di me.
Ero povera – di quella povertà che non conosce
Nemmeno il nome di miseria
Perché al mondo non c’era creatura
Che mi guardasse se non come sgualdrina.

Giuseppina Broccoli
Destrudo


F. Bacon

Immedicabile,
inerte
come ramo di gelso
alla fugacità delle corolle.
Storpiata dalla mascella ferita
la parola si guasta,
si mutila in suoni labiali molesti,
dilata significati
di sgarbata privazione.
Il chiasso metropolitano
inquieta l’ inerzia,
disperde l’ultima resa di Clara
lungo un tratturo di collina.

mercoledì 21 marzo 2012

DISCUSSIONE
Ennio Abate
Sull’interpretazione
di una poesia di Wallace Stevens



Su Alfalibri supplemento al n.17 di alfabeta 2 ho letto la poesia di Stevens commentata da Guido Mazzoni. La ripropongo su questo blog, ma mi soffermo soprattutto sul commento. Per due motivi. Il primo: vi ho colto un cenno al discorso di Lukács che avevo  messo in bocca a Samizdat (qui): « Oggi il «volgo», dal punto di vista di Lukács, potrebbe essere il singolo imprigionato nella sua «individualità privata personale», con minime e falsate relazioni con gli altri e spesso solo di fronte alle «pure potenze astratte» che ci dominano. Pensa ai disoccupati, ai poveretti che se ne stanno chiusi in casa al computer a spedire curriculum a tutto spiano». Mazzoni, infatti, in modi simili scrive: «Lo stato di cose che rafforza la dipendenza oggettiva degli esseri particolari dai meccanismi alienati, incontrollabili dell’economia, della tecnica, della politica è lo stesso che spezza ogni legame fra gli individui». 
Il secondo: trovo inaccettabile la “rassegnazione all’americanizzazione”  o al «destino dell’uomo occidentale», di cui già parlò Romano Luperini in L’incontro e il caso (Laterza 2007) [Cfr. un mio commento qui]. Mazzoni correda la sua lettura di dotti richiami al nichilismo teorizzato da Nietzsche e alla freudiana «pulsione di morte», che sarebbero « componenti normalizzate della vita psichica collettiva», e di due frasette dai (per me) “novissimi qualunquisti” Carver e Houellebecq.  Nietzsche, Freud e i postmoderni: ecco  il contenuto della valigetta della generazione  accademica umanistica che oggi fa la spola tra Italia e USA e cura la formazione della massa studentesca precaria nelle nostre disfatte università; e tratta allo stesso modo - non è impertinente l'accostamento! - anche questioni politiche "locali" come quella della TAV (Cfr. qui) per non dire della "riforma del lavoro". 
Non vorrei implicare lo stesso Stevens in questa critica che rivolgo al commento di Mazzoni. E perciò  chiedo: sono gli occhiali postmoderni e disincantati di Mazzoni a produrre questa interpretazione del testo di Stevens, che invece potrebbe essere letto anche in altro modo? O è lo stesso testo qui esaminato che si presta e suggerisce solo tale interpretazione? Mi piacerebbe sentire la vostra opinione.  [E.A.].

martedì 20 marzo 2012

Roberto Bertoldo
La polis che non c'è (6)
Poesia civile della rivendicazione



Concludendo il discorso  su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile pubblico gli appunti di lettura di R. Bertoldo su Il disgusto di Gianmario Lucini [E. A.] 

Gianmario Lucini, Il disgustoEdizioni CFR, Piateda (SO) 2011.

La parola poetica di Lucini ne Il disgusto viene lasciata libera, almeno questa è l’impressione di lettura, di adattarsi alla volubilità emotiva dell’autore. Ne viene fuori un’espressione variegata che contempla tanto il linguaggio lirico elitario, esito dell’ampia apprensione culturale e poetica di Lucini, quanto quello prosaico popolare, esito dell’umano civismo dell’autore. Forte della pregnanza poetica presente in genere nei poeti della sua generazione ma, rispetto a questi, capace di restare libero da influenze ideologiche, Lucini riesce a guardare le nostre colpe sociali dal di dentro. La poesia civile di Lucini è dunque poesia della rivendicazione, non tanto però nei riguardi dei poteri quanto, come il Foscolo disgustato, nei riguardi del popolo. Un popolo “di lacché” (p. 57), un popolo che non è un “popolo” (p. 58); così come i poeti sono senza civiltà (p. 40 e p. 41), sono “mercenari” (p. 44), portati solo a un canto utilitaristico (p. 53); insomma, un popolo che è “nemico”, ma un nemico con «mie sembianze» (p. 39).

Roberto Bertoldo
La polis che non c'è (5)
Poesia civile del resoconto

Concludendo il discorso  su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile pubblico gli appunti di lettura di R. Bertoldo sulla mia raccolta Immigratorio [E. A.] 

 Su Ennio Abate, Immigratorio, Edizioni CFR, Piateda (SO) 2011

La scelta dell’intersezione di due generi come la prosa e la poesia per realizzare la pulsione narrativa originaria ha prodotto, in Immigratorio, un depotenziamento lirico interessante per le scelte stilistiche che lo veicolano. La sottile trama veristica presente a livello lessicale e epistemologico – pensiamo a Zichilibò, Babbasciò, ma anche al vecchio pittore Ans che consiglia a Vulisse di «lavorare dal vero» (p. 47), anche se poi Vulisse abbandona in parte il disegno «dal vero» (p. 48) – trova espressione sia nelle elencazioni ellittiche e nelle ripetizioni che l’autore usa a fini descrittivi non simbolici, sia nella struttura popolare, quasi da canzone, da cui l’uomo emerge in modo ecumenico.

sabato 17 marzo 2012

Ennio Abate
I moltinpoesia (2)


Dialoghetti a puntate tra Samizdat e il Poeta Invisibile
sul ‘noi’ che non c’è e alcuni modi  provvisori per edificarlo
Seconda puntata: la «sporca religione dei poeti»

Poeta invisibile - Dicevi di sentire puzza di sacrestia anche nella poesia d’oggi? Spiegami...

Samizdat - La religione ci stordisce da secoli coi suoi incensi. E in poesia  tuttora la fa da padrona. Faccio un esempio. Malgrado gli studi di Auerbach sul realismo di Dante, te lo presentano come il poeta mistico per eccellenza, il pellegrino cantore di Dio, tutto "trascendenza". Eppure scommetto che se vivesse oggi, quel suo realismo gli farebbe riscrivere la Commedia all’incontrario, dal paradiso all’inferno; e forse ancora più giù; e persino le sue solennissime terzine gli si sconnetterebbero dallo sdegno. Vabbè, nella cultura europea e occidentale alcune radici saranno pure lì, nella religione e nel cristianesimo. Ma tacere sui frutti tossici che hanno prodotto e producono, continuare a innaffiarle pur se diventate di plastica, mescolare religione e Vitelli d’oro capitalistici  è, per credenti e non, indecente.

Sabino Caronia
Valentino Campo
ovvero l’arte di scavare pozzi



«La migliore poesia degli anni Novanta parte da lì, dal punto in cui pratica come un foro nel terreno alla ricerca di un misterioso combustibile (“l’arte di scavare pozzi”, dirà Valentino Campo): l’interrogazione del fondamento che non c’è».
Queste parole di Giorgio Linguaglossa nel recente volume Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana 1945-2010 (Edilazio 2011) ben si prestano ad introdurre alcune nostre considerazioni sulla poesia di Valentino Campo.
E appunto al Nostro, come risulta dal componimento che apre la raccolta L’arte di scavare pozzi, La quarta guerra sannitica, non resta altro da fare che ripartire dalla «quarta guerra sannitica», e quel componimento di esordio vuole essere appunto una metafora dell’intellettuale contemporaneo: «Scrivo da una zattera di pietra. / Ho inciso ogni tronco con la testa / del giavellotto, / unto di sterco il mio volto. / Cosa ci faccio / in questa selva di vetro? / i romani dove sono? / non li vedo. / Non so la rotta / la mia e di questo scoglio, / non cerco indizi in alto, tra le foglie. / Affilo punte di selce / preparo il rancio, / passo in rassegna ombre / poi scavo, / ancora.».

SEGNALAZIONE
Roberto Maggiani
Nella frequenza del giallo


*

Stromatoliti

Ricordarsi tutto ciò ch’è andato perso –
a fatica ritrovarlo –
risalire le pendici del monte
dal quale cademmo
sul terreno della preistoria
pelosi e con il cranio piccolo
in un pianeta che ha dovuto evolversi
impervio
attraversato da cataclismi –
a fatica ricomporre la conoscenza.
Siamo gli ultimi trenta secondi
di una evoluzione di ventiquattro ore
e ringrazio per l’ossigeno i cianobatteri
delle stromatoliti11.

mercoledì 14 marzo 2012

Giorgio Linguaglossa
Ancora sulla poesia dell'essenzialità
di Tomas Tranströmer



Presi di sorpresa dell'assegnazione del Nobel a un poeta quasi sconosciuto in Italia avevamo accolto la notizia un po' scherzandoci su (qui). Linguaglossa  ci ripropone ora la sua figura e due  poesie [E.A.]

È fin troppo chiaro che con il Nobel per la poesia a Tomas Tranströmer, i membri dell’Accademia giudicante   esibirono un coraggio insolito, innanzitutto perché Tranströmer era un poeta isolato e non rientrava nel concerto dei poeti di rappresentanza o da vetrina mediatico-culturale oggi di moda in Europa. Di fatto, il massimo poeta svedese vivente è uno sconosciuto in Italia, dove gli editori maggiori non lo hanno mai considerato degno di pubblicazione, in quanto non rientrante nella ristretta cerchia dei poeti sostenuti dal mondo accademico. Del resto, anche il mondo accademico svedese ha faticato non poco per accorgersi della portata del poeta.

Emilia Banfi
Della guerra restano avanzi



Della guerra restano avanzi
di tutte le guerre come pasti
scaduti avvelenati dai comandi
dalle prese di potere che non rispondono
ai figli che stanno a guardare come forme
iniettate di sangue infetto nelle piccole vene
avanza lo stupore il malore il sempre come
chiodo nelle piccole mani -Come Gesù- dice la nonna
-Vieni qui non guardare non è per te questo morire-.
I fiori nascosti a marcire sulle grigie tombe seccano
al sole d’agosto al passante che guarda che non ha visto
il fondo dei fondi lo sguardo sospeso tra il monte e il mare.
Non capire non leggere il nome guarda solo la pietra
perché solo di questo si tratta.

Hans Jonas
L’isola della verità


Ci condussero in un boschetto di tigli in fiore
su un’isola al di là del mare abitata da uomini bianchi.
E ci dissero: «questa è l’isola della verità,
qualunque cosa toccate diventa verità. Ed essa è. Per sempre».

Fu così che toccai il prato verde. Ed esso divenne prato verde.
Poi toccai il cielo con un dito. Ed esso divenne cielo azzurro.

Lucianna Argentino
Poesie
dalla raccolta inedita
“L'ospite indocile”



Sta in quel di più – visione delle madri
lei che parla senza staccare la lingua dal dolore
e continuamente lo rifà presenza
di se stessa e di quel che
del suo motivo le avanza.

lunedì 12 marzo 2012

DISCUSSIONE
Una rivoluzione poetica
partita da Genova?


Nella mailing list dei  moltinpoesia è partita una piccola discussione tra favorevoli e contrari al   MANIFESTO DI GENOVA DELLA RIVOLUZIONE POETICA  firmato da Ferlinghetti - Jodorowsky -Bertoli - Pozzani - Costa - Giannoni - Ganz. Lo ricopio dal Web e e chiedo commenti o interventi. Invito anche quanti hanno già espresso opinioni in merito nella discussione interna ai moltinpoesia a riportarle qui sul blog, come meglio credono. [E.A.]

MANIFESTO DI GENOVA DELLA RIVOLUZIONE POETICA
  1. La poesia è prima di tutto un atto, vivere nel migliore dei modi e dei mondi possibili. Si sostanzia anche nello scrivere, certo, però solo dopo - dopo! - e solo come atto ed espressione del vivere. Altrimenti c'è solo arte, letteratura, poesia. Ridicolo.
  2. Noi vogliamo dare luogo e voce alle vere istanze di crescita ed emancipazione di questo tempo, non alle sue mode e modi.